Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
G. Giappichelli Editore

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L'idolo del sequestro come 'atto dovuto' che impedisce la declaratoria di illegittimità in caso di perquisizione illegittima - Corte costituzionale, sent. 3 ottobre 2019, n. 219 – Pres. Lattanzi, Est. Modugno (di Carlo Morselli)


Con la sua pronuncia, la Corte costituzionale ha stabilito che l’illegittimità della perquisizione non ha come conseguenza l’inutilizzabilità a fini probatori del sequestro del corpo del reato che resta un atto dovuto.

The idol of the seizure as a “due act” that prevents the relative declaration of illegitimacy when the search is illegitimate

With its ruling, the Constitutional Court has ruled that the illegality of the search does not result in useless for probative purposes of the seizure of the body of the crime that remains a due act.

Perquisizione illegittima ed utilizzabilità del sequestro Sono inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 191 c.p.p., sollevate, in riferimento agli artt. 2, 3, 13, 14, 24, 97, comma 2, e 117, comma 1, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 8 della Convenzione per la sal­vaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con l. 4 agosto 1955, n. 848, nella parte in cui – secondo l’interpretazione predominante nella giurisprudenza di legittimità, assunta quale diritto vivente – non prevede che la sanzione dell’inutilizzabilità ai fini della prova riguardi anche gli esiti probatori, ivi compreso il sequestro del corpo del reato o delle cose pertinenti al reato, degli atti di perquisizione ed ispezione compiuti dalla polizia giudiziaria fuori dei casi tassativamente previsti dalla legge o comunque non convalidati dall’autorità giudiziaria con provvedimento motivato, nonché la deposizione testimoniale in ordine a tali attività. (Massima) [Omissis]   RITENUTO IN FATTO   1.– Con due ordinanze di tenore in larga misura analogo, del 3 ottobre 2017 (r. o. n. 14 del 2018) e del 12 dicembre 2017 (r. o. n. 93 del 2018), il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale ordinario di Lecce ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 13, 14 e 117, primo comma, della Costituzione, que­st’ultimo in relazione all’art. 8 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 191 del codice di procedura penale, nella parte in cui – secondo l’interpretazione predominante nella giurisprudenza di legittimità, assunta quale diritto vivente – «non prevede che la sanzione dell’inutilizzabilità ai fini della prova riguardi anche gli esiti probatori, ivi compreso il sequestro del corpo del reato o delle cose pertinenti al reato, degli atti di perquisizione ed ispezione compiuti dalla [polizia giudiziaria] fuori dei casi tassativamente previsti dalla legge o comunque non convalidati dall’[autorità giudiziaria] con provvedimento motivato, nonché la deposizione testimoniale in ordine a tali attività». La sola ordinanza r. o. n. 93 del 2018 assume che la norma denunciata violi, in parte qua, anche gli artt. 2, 24 e 97, terzo (recte: secondo) comma, Cost. 1.1.– Il giudice a quo premette, in entrambi i casi, di essere chiamato a giudicare, nelle forme del giudizio abbreviato, una persona imputata del reato di detenzione di sostanze stupefacenti per uso non personale. Riferisce, altresì, che gli elementi a carico [continua..]

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SOMMARIO:

Ispezioni, perquisizioni e sequestri - La quaestio sollevata. La giurisprudenza europea di riferimento - Il quadro costituzionale retrospettivo. La sentenza della Corte edu Brazzi - Il quadro costituzionale prospettico. L’incidenza, non rilevata, dell’art. 111, comma 4, Cost. - L’inammissibilità come sanzione “diffusiva”. Il sequestro quale “atto dovuto” - L’inutilizzabilità derivata - L’art. 111, comma 4, Cost.: l’applicazione pratica - Il trattamento del sequestro quale “atto dovuto” - NOTE


Ispezioni, perquisizioni e sequestri

Ispezioni (art. 244 c.p.p.), perquisizioni (art. 247 c.p.p.) e sequestro (art. 253 c.p.p.) rappresentano tipicamente gli strumenti e il prodotto delle investigazioni condotte dal Pubblico Ministero e operate dalla Polizia Giudiziaria (artt. 347 ss. c.p.p.) a fini acquisitivi [1], che chiamano in causa i soggetti passivi coinvolti e i loro beni. Si tratta, infatti, di iniziative coattive, la cui messa in campo non può essere “ricusata” dai soggetti incisi da quelle misure, nel momento in cui vengono instaurate. L’impiego dei relativi istituti assicurano al processo penale dati e reperti rilevanti ai fini del thema decidendum [2]. Il riferimento a tali apporti riguarda, per esempio, il perquisito, la sua sfera personale e le consistenze patrimoniali, esposte al vincolo dell’indisponibilità del sequestro, ciò che suscita il problema e l’interrogativo della individuazione di un punto di equilibrio e del bilanciamento tra i diversi interessi in gioco, del singolo e della collettività [3], i quali confluiscono nell’area dei due noti modelli processuali (inquisitorio ed accusatorio) per le grandezze giuridiche che tematizzano [4]. I tre istituti, sul piano dell’appartenenza sistematica, sono riconducibili al quadrante dei mezzi di ricerca della prova (l’altro è riservato ai mezzi di prova), che ricomprende anche le intercettazioni di comunicazioni [5]. In particolare, l’art. 247 c.p.p., al comma 1, subordina l’adozione del provvedimento di perquisizione al presupposto che sussista, e quindi sia attuale, il «fondato motivo che taluno occulti sulla persona» o il corpus delicti o cose pertinenti al reato. Oltre alla “perquisizione personale” (art. 249 c.p.p.), il codice di procedura penale prevede la “perquisizione locale” (art. 250 c.p.p.) quando «tali cose» siano in un luogo specifico (art. 247, comma 1, II periodo, c.p.p.). La perquisizione è ordinata nella forma del decreto dell’autorità giudiziaria, che può procedervi autonomamente o scegliere per l’esecuzione la propria longa manus (gli ufficiali di polizia giudiziaria delegati per mezzo dello stesso decreto). Durante la fase delle indagini preliminari, il pubblico ministero convalida la perquisizione operata dalla polizia giudiziaria, la quale, d’altra parte, trasmette, [continua ..]


La quaestio sollevata. La giurisprudenza europea di riferimento

La Corte costituzionale nella sentenza dell’ottobre 2019 [6] si occupa dei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 191 del codice di procedura penale, promossi dal G. u. p. del Tribunale di Lecce con due analoghe ordinanze del 2017, avuto riguardo – appunto – ai richiamati atti di perquisizione e ispezione, compiuti dalla polizia giudiziaria al di fuori dei casi tassativamente previsti dalla legge [7]. La quaestio sollevata evoca, quale parametro di giudizio, gli artt. 3, 13, 14 e 117, comma 1, Cost., quest’ultimo in riferimento all’art. 8 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU, Roma 4 novembre 1950) [8], censurando (il giudice a quo) l’art. 191 c.p.p. – nei termini in cui è interpretato dalla prevalente giurisprudenza di legittimità – nella parte in cui “non prevede che la sanzione dell’inutilizzabilità ai fini della prova riguardi anche gli esiti probatori, ivi compreso il sequestro del corpo del reato o delle cose pertinenti al reato, degli atti di perquisizione ed ispezione compiuti dalla [polizia giudiziaria] fuori dei casi tassativamente previsti dalla legge o comunque non convalidati dall’[autorità giudiziaria] con provvedimento motivato, nonché la deposizione testimoniale in ordine a tali attività”. In una sola ordinanza i parametri costituzionali indicati coinvolgono, nella denuncia della norma codificata, anche gli artt. 2, 24 e 97, Cost. Il giudice di merito, in entrambi i casi, valuta, nell’iter del procedimento abbreviato, la condotta di una persona imputata del reato di detenzione di sostanze stupefacenti per uso non personale, considerando che ispezione e perquisizioni avevano portato al rinvenimento e al sequestro di alcuni grammi di sostanza stupefacente. Lo sdoppiamento delle ordinanze radica in due distinte fonti il rinvio alla Corte, per quanto attiene alle indagini dei Carabinieri e risulta dal verbale di perquisizione, nella narrativa dell’antefatto che giustificherebbe un’azione “particolarmente invasiva”. Per l’ordinanza r. o. n. 14 del 2018, infatti, quella trae origine da un generico “atteggiamento asserita­mente sospetto” tenuto dall’imputato, allorché, verso le ore 14.00, si aggirava nei pressi del litorale di [continua ..]


Il quadro costituzionale retrospettivo. La sentenza della Corte edu Brazzi

Il Giudice investito della quaestio, che chiama in causa – possiamo dire – l’insufficienza e la scarsa attitudine del dettato inserito all’art. 191 c.p.p., la cui rubrica si intitola «Prove illegittimamente acquisite», a “gestire” una giurisprudenza riottosa a dichiarare «l’inutilizzabilità» (incipit dell’art. 191, comma 2, c.p.p.) in taluni casi nevralgici, la giudica inammissibile [30]. Già la dottrina ha messo in luce, dopo la codificazione della generale regola di esclusione probatoria denominandola “inutilizzabilità”, che il corrispondente enunciato, inserito all’art. 191 c.p.p., sia espressione di una norma «dotata di una chiarezza soltanto apparente … non … sufficientemente perspicua, sollevando una un serie di questioni interpretative di difficile soluzione» [31]. Secondo il giudice rimettente gli artt. 13 e 14 Cost. prevedono il potere, da parte dell’autorità di pubblica sicurezza, di procedere, di propria iniziativa, a ispezione personale e a perquisizione, sia personale che domiciliare, in casi di necessità ed urgenza con atti che devono essere, in tempi ravvicinati, convalidati, stabilendo la regula iuris dell’inefficacia quando non interviene la convalida. Tale esito negativo di improduttività di effetti ulteriori riafferma il carattere assolutamente temporaneo dell’ini­zia­ti­va della polizia giudiziaria, la quale desinit se non matura ed interviene il titolo della convalida: si sarebbe avuta (dell’atto coattivo, di ricerca della prova) la vita, ma non la vitalità. Però, la “morte” del­l’at­to, paradossalmente, ne conterebbe uno superstite (post fata resurgo) se la sanzione dell’inutilizzabilità non coinvolgesse anche la catena dei corollari, come, nel caso di specie, il sequestro. Si tratterebbe di una “lettura estesa” e rigorosa dell’inutilizzabilità (paninutilizzabilità) quale sanzione conseguente alla perdita di efficacia probatoria di atti formati in violazione di divieti legali. E se la Corte costituzionale avesse accolto l’interpretazione proposta ciò avrebbe avuto carattere paradigmatico e dissuasivo per “rescindere” prassi devianti da parte di organi di polizia [continua ..]


Il quadro costituzionale prospettico. L’incidenza, non rilevata, dell’art. 111, comma 4, Cost.

La Corte adita respinge l’impostazione del giudice rimettente, ma “viziando” la propria decisione per almeno due ragioni (che diventano tre, ma la terza è comune al giudice a quo, per quanto deducibile). L’organo ad quem muove dalla categoria dell’inutilizzabilità. Ovviamente, il riferimento deve concentrarsi sulla c. d. inutilizzabilità patologica, distinta dalla quella c.d. fisiologica [34] (cioè «il più importante precipitato tecnico del principio di separazione tra le fasi … concerne quegli atti di indagine che, pur formatisi validamente in ossequio alle norme che li disciplinano e senza violare alcun divieto probatorio, tuttavia non possono essere utilizzati per la decisione dibattimentale perché assunti unilateralmente nel corso delle indagini» [35]). Questa seconda forma rappresenta una figura autocorrettiva che contrassegna e delimita l’appartenenza dei due accertamenti (quello minore predibattimentale o “regionale” e quello maggiore del giudizio), ciò che permette al sistema di non scadere nel degrado antiselettivo, come si è verificato, certamente, con l’indistinto“ principio di non dispersione dei mezzi di prova”, l’idolum theatri [36], concepito, nella spirito di una controriforma, da un collegio del tutto imbevuto, ancora, della “cultura” inquisitoria e che ha rifiutato, con una manovra “ eversiva”, l’accusatorio, in blocco. Occorre contenere l’incidenza della cognizione predibattimentale nella fase (propria) di acquisizione (criterio di appartenenza “fasica”), quella tipicamente “inventiva” degli elementi di conoscenza e a doppia fonte (della polizia giudiziaria e del pubblico ministero: artt. 326, 327, 330, 347, 348, 349, 350, 351, 358, 392 c.p.p.) [37]. Così, la c.d. inutilizzabilità fisiologica rappresenta, piuttosto, il precipitato dell’anticognitivismo legato al disvalore processuale delle “investigazioni incontrollate” il cui procedimento somiglia a quello “sommario” (al vecchio rito, cioè [38]). Può anche sembrare una superfetazione la categoria dell’inutilizzabilità (art. 191 c.p.p.) – già “accusata” per «l’ambiguità della nozione … e la difficoltà di [continua ..]


L’inammissibilità come sanzione “diffusiva”. Il sequestro quale “atto dovuto”

La Corte costituzionale, pur a fronte di due ordinanze di rimessione motivate e fortemente articolate, le ha giudicate inammissibili, ciò che rappresenta l’emarginazione più radicale della domanda di incostituzionalità dell’art. 191 c.p.p. Si tratta di argini, posti all’ingresso della porta d’ingresso del Palazzo della Consulta, oramai in uso, probabilmente nella forma patologica dell’abuso come si è già notato, presso altri organismi giudiziari, specialmente presso la Corte di cassazione, per sfoltire il carico giudiziario. La Corte di cassazione è divenuta (o viene raffigurato come) un corpo saturo, per l’elevata quantità dei ricorsi di cui è destinataria e, verosimilmente, temendo di essere sopraffatta [51] o ritenendo di non dovere gestire un carico di lavoro oltre un certo limite predeterminato, lancia segnali all’esterno, agli aspiranti ricorrenti. Ma, trattandosi di un sottotesto, e quindi di un linguaggio indiretto ed extradichiarativo, sta all’interprete potarlo alla luce. Così i suoi provvedimenti, specie quelli che declinano la competenza della Corte ad occuparsi di domande che non superano la soglia di ammissibilità delle doglianze addotte [52], diventano predittivi – statuiscono sui ricorsi e solo in una certa misura, e valgono anche pro futuro – per gli scenari che possono instaurarsi. La tacita finalità è quella di scoraggiare – o “disincentivare” per usare l’espressione del giudice remittente di Lecce e ripreso dalla C. cost. 3 ottobre 2019, n. 219 – l’attivazione del mezzo di impugnazione previsto (artt. 606-607 c.p.p.) strozzandolo al suo apparire, ponendo cioè, all’in­gresso di Piazza Cavour, degli argini che misurano il moto reattivo della Corte al surplus di domande di giudizio di legittimità. Oggettivamente, è questa la direzione del giudizio di inammissibilità del ricorso, che da alcuni anni è stato reclutato per servire e perseguire siffatta finalità moltiplicandosi i “pesi“ per l’ac­cesso alla Corte, come quando, nella griglia selettiva della Corte, l’eccezione di inutiliz­zabilità di una prova diventa condizione necessaria ma non sufficiente per valicare la soglia d’in­gres­so del giudizio di [continua ..]


L’inutilizzabilità derivata

I compilatori del codice di procedura penale introducendo con l’art. 191 la figura dell’inutilizzabilità quale categoria che soddisfacesse la domanda di trattamento delle “prove illegittimamente acquisite” (così la rubrica dell’art. 191 cit.) – e che risalirebbe alla dottrina di J. Goldschmidt [70] – ebbero chiaro che dell’invalidità stavano occupando spazi nuovi, un raggio d’azione e un canone interpretativo diverso dalla tradizione [71]. Però non chiarirono o definirono i rapporti con la sanzione tradizionale della nullità, licenziando un testo tanto misurato quanto inappagante, se confrontato con le diverse disposizione che disciplinano le nullità degli atti (artt. 177-186 c.p.p.). Al riguardo, sfruttando la norma di chiusura del­l’art. 185 c.p.p., il suo ventaglio onomastico, potrebbe riguardare la categoria dell’inutilizzabilità come riferibile alle «nullità concernenti le prove» (art. 185, comma 4, c.p.p.). Questa approssimativa assimilazione intersanzionatoria potrebbe pure scorgersi all’art. 134, comma 1, c.p.p.: «quando l’inosservanza non importa nullità o altra sanzione processuale». Testo inappagante, dunque, che ha attirato le osservazioni e gli interrogativi della dottrina: «alle potenzialità insite nella fattispecie si contrappongono peraltro ancora oggi i limiti derivanti dalla sua tenuta rispetto al principio di tassatività, tracciato dal divieto di analogia per la nullità, ma con criticità interpretative se adattato alla inutilizzabilità, su cui incombe … l’individuazione della fonte della invalidità da ricavarsi in base ad un unico riferimento normativo, l’art. 191 c.p.p., tanto sintetico quanto propositivo di un variegato universo di divieti probatori che … sembrano costituire un’incognita per delineare i casi di inutilizzabilità generale. Da qui la ricerca dei criteri individuativi» [72]. La Cassazione sembra allineare nullità ed inutilizzabilità ai fini dell’art. 185 c.p.p. in una decisione non più recente (ed anche in dottrina, l’accostamento non è rifiutato) [73].


L’art. 111, comma 4, Cost.: l’applicazione pratica

Alla penale responsabilità è riservata una disposizione ad hoc, sebbene per dettare un principio generale e generico (per esempio, si parla di “interrogatorio” e non di esame). Questo è così declinato: «La colpevolezza dell’imputato non può essere provata sulla base di dichiarazioni rese da chi si è sempre sottratto all’interrogatorio da parte dell’imputato o del suo difensore» (art. 111, comma 4, II periodo, Cost.) [74]. Questo segmento normativo dell’art. 111 Cost. ha un tratto testuale che lo accomuna all’altro, precedente, segmento presente al comma 3 del citato art. 111 («facoltà … di interrogare o far interrogare») [75]. È fuori discussione il collegamento, non estemporaneo, tra prova e giudizio [76], che nel caso sia di condanna, richiede una “speciale” prova, quella che sappia dirigere il giudice fuori dalle sabbie mobili dell’incertezza e lo guidi quindi «al di là di ogni ragionevole dubbio» (art. 533, comma 1, c.p.p. [77]). Si tratta dell’importazione, nel diritto nazionale, della “beyond any reasonable doubt rule”, vessillo del sistema processuale penale anglosassone e divenuto, per noi, «manto regale di ogni ordinamento processuale democratico» [78] . La regola acquista un valore finale: «per dichiarare l’imputato colpevole – questo, in via di prima approssimazione, il suo significato – non basta ritenere l’ipotesi affermativa della responsabilità penale “più probabile” dell’ipotesi antagonista: occorre che le prove acquisite innalzino il verdetto di colpevolezza a quote elevatissime di probabilità assoluta, confinanti … con la certezza» [79]. Ora l’esame procede con una domanda articolata e stringente: riesce a sottrarlo a tale rigoroso dubbio (alla tenaglia del) e a riportare il giudicante nell’area della certezza processuale, l’acquisizione nel pubblico dibattimento di un atto querelatorio, depositato (illo tempore) presso una caserma dei carabinieri, il cui autore in giudizio si è reso o risulta irreperibile (e quindi escludendo una colpa dell’impu­tato o un suo interesse), e leggendolo in udienza, perché atto divenuto irripetibile (c.d. irripetibilità [continua ..]


Il trattamento del sequestro quale “atto dovuto”

Il fine cui mira la perquisizione (scrutatio) è tipicamente l’adprehensio rei [91] e il mezzo per contrastarla è l’occultamento materiale, quale vis (dispiegata) uguale e contraria, valicabile mediante i gemellari occhi e mani. Alla perquisizione, quale mezzo coattivo di ricerca della prova (e non della notizia di reato), può farsi legittimamente ricorso solo se sia stato già individuato il tema probatorio, nella cui cornice lo stru­mento euristico acquista i caratteri della concretezza e specificità [92]. Così, la motivazione deve accompagnare il sequestro, poiché non può mancare almeno il fumus (il «fondato motivo» che si celino corpora delicti) [93], per giustificare il sacrificio patrimoniale. L’autorevole dottrina pone un quesito, al riguardo: «se l’autorità giudiziaria non indica per iscritto l’urgenza di intervenire oppure si risolve a indicare delle ragioni che non implicano affatto l’ur­genza? Si potrebbe profilare l’irritualità dell’operazione ... pervenire all’inutilizzabilità delle cose sequestrate, a meno che non prevalgono le usuali esigenze di efficientismo … legate al brocardo male captum bene retentum» [94], a cui fa da contrappunto l’altro simil stabunt, simul cadent. Il secondo versante di trattamento della complessa vicenda perquisitiva rappresenta il corollario della rilevanza di un nesso intrinseco non rescindibile, «e non soltanto accidentale od occasionale», tra perquisizione e susseguente sequestro [95]. Privilegiando l’impostazione conservativa, quella di uno sviluppo filoacquisitivo, «perquisizione e sequestro compongono una sequela causale ma il secondo non dipende dalla prima comunque rinvenute, cose simili sono sequestrabili … può darsi che la ricerca coattiva risulti illegittima … ma il reperto è acquisibile, dove non vigano divieti probatori» o univocamente enucleabili dal sistema» [96]. Secondo le linee dello schema anglosassone (Theory of the fruit of the poisonous tree), richiamato dalla Corte costituzionale del 2019 nella decisione in commento [97] il rapporto di dipendenza – funzionale, logica e giuridica – fra perquisizione e sequestro rende il secondo, operato a seguito di una [continua ..]


NOTE
Fascicolo 1 - 2020