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Rimedi per l'esecuzione delle decisioni della Corte e.d.u.
di Mattia Arleo, Dottorando di ricerca in Procedura penale - Università degli Studi di Salerno
L'art. 91 del d.lgs. n. 150/2022 prevede che, quando la decisione con cui la Corte europea dei diritti dell'uomo abbia accertato una violazione dei diritti riconosciuti dalla Cedu o dai Protocolli addizionali alla stessa e la decisione sia divenuta definitiva in data anteriore all’entrata in vigore del decreto-legislativo, il termine di cui all'art. 628-bis, comma 2, c.p.p. decorra dal giorno successivo all'entrata in vigore del decreto medesimo. La norma interviene, quindi, sul termine “ordinario” previsto dall’art. 628-bis c.p.p., disponendo che esso decorra dal giorno di entrata in vigore del decreto-legislativo per tutti i casi in cui la decisione della Corte e.d.u. sia divenuta definitiva prima dell'entrata in vigore del decreto-legislativo medesimo. Lo stesso accade quando la Corte e.d.u. abbia disposto, ai sensi dell'art. 37 della Cedu, la cancellazione dal ruolo del ricorso a seguito del riconoscimento unilaterale della violazione da parte dello Stato. È stabilito, inoltre, dal comma 2 del medesimo articolo che, per i reati commessi in data anteriore al 1° gennaio 2020, la prescrizione riprenda a decorrere in ogni caso in cui la Corte di Cassazione disponga la riapertura del processo ai sensi dell'art. 628-bis c.p.p. L'art. 91, quindi, ha lo scopo di garantire una piena e corretta attuazione di un'altra previsione normativa, l'art. 628-bis c.p.p., la cui portata è estremamente innovativa.
The art. 91 of Legislative Decree no. 150/2022 provides that, when the decision with which the European Court of Human Rights has ascertained a violation of the rights recognized by the ECHR or by the additional Protocols to the same and the decision has become definitive on a date prior to the entry in force of the legislative decree, the term referred to in art. 628-bis, paragraph 2, Code of Criminal Procedure effective from the day following the entry into force of the decree itself. The law intervenes, therefore, on the term "ordinary" provided for by art. 628-bis c.c.p., providing that it runs from the day of entry into force of the legislative decree for all cases in which the decision of the Court e.d.u. has become definitive before the entry into force of the legislative decree itself. The same happens when the ECHR has ordered, pursuant to art. 37 of the ECHR, the cancellation from the register of the appeal following the unilateral recognition of the violation by the State. Furthermore, paragraph 2 of the same article establishes that, for crimes committed prior to 1 January 2020, the statute of limitations resumes in any case in which the Court of Cassation orders the reopening of the trial pursuant to art. 628-bis c.c.p. The art. 91, therefore, has the purpose of guaranteeing a full and correct implementation of another regulatory provision, the art. 628-bis c.c.p., the scope of which is extremely innovative.
Sommario:
1. Lo spirito della riforma - 2. Equo processo e giusto processo - 3. Il nuovo rimedio dell’art. 628-bis c.p.p. - 4. I rapporti tra diritto interno e diritto convenzionale - 5. La norma transitoria - NOTE
1. Lo spirito della riforma
Con il d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150 [1] il legislatore ha riformato, con un intervento ad ampio raggio, il sistema della giustizia penale, lasciandosi guidare da criteri quali la efficienza [2] dell’accertamento e la celerità dello stesso che, come noto, sono termini presenti nel titolo stesso della legge delega.
Pare che anche tale imponente riforma sia stata dettata da particolari contingenze e sia frutto di spinte che hanno indotto il legislatore a concretizzarla in tempi rapidi.
Le finalità [3] che la dottrina sta già ponendo in evidenza tengono certamente conto del contesto in cui la riforma è maturata. Si può dire, in sostanza, che essa è figlia del suo tempo.
La revisione del sistema processuale penale ha rappresentato anche l’occasione per riallineare l’ordinamento interno a quello convenzionale, soprattutto sul fronte dei rimedi finalisticamente orientati ad un adeguamento del giudicato interno alle pronunce della Corte europea dei diritti dell’uomo e su quello di un maggiore rispetto delle garanzie previste a favore del destinatario del procedimento.
La sfida degli interpreti sarà quella di verificare la tenuta del nuovo sistema rispetto ai diritti fondamentali della persona delineati dalla Costituzione e dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali.
Invero, se l’obiettivo principale del riformatore è stato quello di garantire una maggiore celerità dell’accertamento, non è detto che tale obiettivo sia raggiungibile senza una vera e propria negazione dei diritti fondamentali dell’indagato, dell’imputato e delle parti.
La Corte costituzionale, del resto, ha già avuto modo di statuire che un processo carente sotto il profilo delle garanzie non può considerarsi conforme al modello disegnato dalla Costituzione, quale che sia la sua durata [4].
Dunque, la verifica che deve essere condotta attiene al se l’efficienza predicata dal legislatore non nasconda, in realtà, un mero efficientismo che molte volte arriva a negare i diritti e le garanzie previste a favore dei protagonisti del procedimento [5].
In secondo luogo, vale la pena chiedersi se è ancora il tempo di pensare a riforme del sistema giustizia tutte incentrate su una rivisitazione degli istituti che costituiscono le regole del gioco dell’accertamento senza mai porre l’attenzione sull’apparato organizzativo, in un’ottica che vede il momento della disciplina del codice e quello dell’organizzazione per il corretto funzionamento di quella disciplina momenti assolutamente distinti.
2. Equo processo e giusto processo
L’art. 91 del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150 si inserisce nell’ampio panorama delle disposizioni transitorie introdotte dall’ultima riforma della giustizia e nel quadro dei rimedi di coordinamento tra diritto interno e diritto convenzionale.
Nello specifico, a venire in rilievo sono i rapporti tra il giudicato interno e le pronunce della Corte europea dei diritti dell’uomo che rilevano una eventuale violazione delle garanzie previste dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali perché possa aversi un processo equo.
La questione non è di poco conto. L’art. 6 della Convenzione, infatti, individua un sistema di garanzie perché ogni processo possa mantenersi entro i binari dell’equità.
Il nostro Stato, che ha aderito alla Convenzione, si è impegnato ad attuarne i contenuti [6].
Si può dire, pertanto, che i parametri di riferimento per un giusto processo siano non solo quelli fissati già da tempo nell’art. 111 Cost., ma anche quelli previsti dall’art. 6 della Cedu.
Tuttavia, le due norme, sovrapponibili relativamente a molteplici aspetti, non lo sono con riferimento alla qualificazione giuridica di “equo processo” [7] e “giusto processo”.
Invero, se l’art. 6 Cedu qualifica espressamente l’equo processo come “diritto”, l’art. 111 Cost. nulla dice sul punto, lasciando all’interprete campo libero sul se considerare il giusto processo un diritto, un principio autonomo o, in maniera più semplicistica, un contenitore di altri principi che a livello costituzionale si riferiscono alla giurisdizione.
Alla espressa qualificazione offerta dall’art. 6 della Convenzione consegue la individuazione di rimedi volti a consentire un recupero della equità del processo laddove il diritto ad un processo equo sia stato violato.
Nel dettaglio, la questione si è posta con riferimento al rapporto tra la decisione della Corte europea dei diritti dell’uomo che abbia accertato una violazione dell’art. 6 Cedu e il giudicato interno frutto di un accertamento “iniquo” secondo i parametri convenzionali e, quindi, costituzionali [8].
3. Il nuovo rimedio dell’art. 628-bis c.p.p.
Il rimedio è stato previsto dal nuovo art. 628-bis c.p.p. che ha introdotto nell’ordinamento processual-penalistico un espediente normativo per l’eliminazione degli effetti pregiudizievoli delle decisioni adottate in violazione della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali o dei Protocolli addizionali, superando (questa volta) definitivamente i problemi che erano sorti con il ricorso all’istituto di elaborazione pretoria della c.d. “revisione europea” [9].
Il novum legislativo è di estrema rilevanza, posto che non era prima previsto un simile rimedio e che, in ragione di ciò, le maglie della interpretazione giurisprudenziale si erano allargate a tal punto da individuare una soluzione non normativa per colmare quello che era progressivamente avvertito come un vero e proprio vuoto di tutela.
Il rimedio oggi previsto dall’art. 628-bis c.p.p., invero, era già da tempo auspicato ed era stato elaborato, in prima battuta, dalla Corte costituzionale [10].
L’intervento della Consulta, pur non essendo in linea con il principio generale della tassatività dei mezzi di impugnazione [11], era parso risolutivo di tutti i possibili vuoti di tutela che erano derivati dall’assenza di un espediente normativo che consentisse la riapertura del processo a seguito della formazione del giudicato interno e per violazione dei principi e delle garanzie convenzionali della pronuncia divenuta definitiva, in un contesto in cui l’incidenza del formante giurisprudenziale convenzionale sul diritto interno andava abbandonando le vesti dell’eccezione per assumere quelle di regola del sistema.
Invero, nessuno dubita della sussistenza di una sorta di “quarto grado” della giurisdizione con competenza riservata alla Corte e.d.u. per le ipotesi di violazione della Cedu e dei relativi Protocolli addizionali, per violazioni che riguardano sia il diritto interno sostanziale sia quello processuale.
In considerazione dei problemi sorti dall’uso della c.d. revisione europea per come elaborata dalla Corte costituzionale e per come implementata dalla giurisprudenza di merito e di legittimità, l’intervento del legislatore si è ritenuto necessario.
In primo luogo, a causa delle non sovrapponibilità della revisione ordinaria con quella coniata dalla Corte costituzionale e, in secondo luogo, per l’estrema confusione generata dalla stessa disciplina della revisione [12].
L’intenzione del legislatore della riforma va nel senso di predisporre un unico nuovo rimedio che attribuisca alla Corte di Cassazione la valutazione del dictum europeo, con un vaglio preliminare sul vizio accertato dalla Corte e.d.u., superando in tal modo l’assetto binario - da un lato, revisione europea e, dall’altro, incidente di esecuzione - fissato dalla Corte costituzionale e dalla giurisprudenza delle sezioni unite.
4. I rapporti tra diritto interno e diritto convenzionale
La norma riaccende l’interesse degli interpreti e degli studiosi per il tema dei rapporti tra diritto interno e diritto convenzionale, con particolare riferimento alle questioni relative alla incidenza sul giudicato interno di pronunce adottate dalla Corte e.d.u. in applicazione della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali [13].
La Cedu, come noto, è un trattato di diritto internazionale che ha la finalità di assicurare la tutela dei diritti fondamentali.
La peculiarità sta nel fatto che essa, a differenza di altri trattati internazionali, non si occupa di diritto internazionale, ma ha ad oggetto la tutela di diritti fondamentali della persona. Inoltre, detta tutela è assoluta e non condizionata da reciprocità, come in genere avviene rispetto ad altre fonti di diritto internazionale.
La Cedu ha un chiaro riconoscimento costituzionale. Invero, l’art. 117, comma 1, Cost. prevede che, nell’esercizio della potestà legislativa, debbano essere rispettati gli obblighi internazionali e, tra questi, gli obblighi posti dai trattati.
La Convenzione, pertanto, è norma interposta, nel senso che, da un lato, ha una copertura costituzionale e, dall’altro, che, nell’ipotesi di mancata osservanza delle regole da essa poste, si registra una violazione indiretta dell’art. 117 Cost. divenendo la stessa parametro di legittimità mediato delle norme interne.
La questione che da sempre si è posta sul piano interpretativo riguarda il rapporto tra ordinamento nazionale e ordinamento europeo. Rapporto che deve essere ricostruito sulla base dello stesso art. 117, comma 1 Cost.
Esso è retto dal principio di sussidiarietà. L’art. 35 Cedu prevede, infatti, che si può ricorrere alla Corte e.d.u. solo in via sussidiaria.
I diritti fondamentali, infatti, devono essere assicurati, in prima battuta, a livello nazionale e solo dopo che si siano consumati tutti i rimedi interni, mediante ricorso alla Corte e.d.u..
La tutela interna si garantisce attraverso due rimedi:
a) una interpretazione convenzionalmente orientata della norma interna;
b) il ricorso alla Corte costituzionale per violazione dell’art. 117 Cost. qualora non sia possibile l’interpretazione della norma interna conforme alla Cedu.
Se tali percorsi di adattamento non vengono rispettati, la sentenza adottata dal giudice interno si porrà senz’altro in contrasto con la Convenzione.
È questa l’ipotesi in cui il destinatario della pronuncia adottata in violazione delle garanzie convenzionali può ricorrere alla Corte europea dei diritti dell’uomo. Pertanto, è fisiologico che la Corte intervenga quando si è già formato un giudicato interno e che si ponga un problema di “rivedibilità” dello stesso.
La soluzione, in ogni caso, è quella della riapertura del processo [14].
Il nuovo art. 628-bis c.p.p. prevede, quindi, che il condannato e la persona sottoposta a misura di sicurezza possano richiedere alla Corte di Cassazione di revocare la sentenza penale o il decreto penale di condanna pronunciati nei loro confronti, di disporre la riapertura del procedimento o, comunque, di adottare i provvedimenti necessari per eliminare gli effetti pregiudizievoli derivanti dalla violazione accertata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo.
Il presupposto è che sia stato proposto ricorso per l’accertamento di una violazione dei diritti riconosciuti dalla Convenzione o dai Protocolli addizionali e la Corte europea abbia accolto il ricorso con decisione definitiva, oppure abbia disposto la cancellazione dal ruolo del ricorso ai sensi dell’art. 37 della Convenzione a seguito del riconoscimento unilaterale della violazione da parte dello Stato.
È previsto, inoltre, a pena di inammissibilità, che la richiesta, oltre che contenere l’indicazione specifica delle ragioni che la giustificano, possa essere presentata personalmente dall’interessato o, in caso di morte, da un suo congiunto, a mezzo di difensore munito di procura speciale, con ricorso depositato presso la cancelleria del giudice che ha emesso la sentenza o il decreto penale di condanna nelle forme previste dall’art. 582 c.p.p.
Il deposito deve avvenire entro novanta giorni dalla data in cui è divenuta definitiva la decisione della Corte europea che ha accertato la violazione o dalla data in cui è stata emessa la decisione che ha disposto la cancellazione del ricorso dal ruolo.
5. La norma transitoria
L’art. 91 del d.lgs. n. 150/2022 prevede che, quando la decisione con cui la Corte europea dei diritti dell’uomo abbia accertato una violazione dei diritti riconosciuti dalla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali o dai Protocolli addizionali alla stessa e la decisione sia divenuta definitiva in data anteriore all’entrata in vigore del decreto-legislativo, il termine di cui all’art. 628-bis, comma 2, c.p.p. decorra dal giorno successivo all’entrata in vigore del decreto medesimo.
L’art. 91 interviene, quindi, sul termine “ordinario” previsto dall’art. 628-bis c.p.p., disponendo che esso decorra dal giorno di entrata in vigore del decreto-legislativo per tutti i casi in cui la decisione della Corte e.d.u. sia divenuta definitiva prima dell’entrata in vigore del decreto-legislativo medesimo.
Lo stesso accade quando la Corte e.d.u. abbia disposto, ai sensi dell’art. 37 della Cedu, la cancellazione dal ruolo del ricorso a seguito del riconoscimento unilaterale della violazione da parte dello Stato.
È stabilito, inoltre, dal comma 2 del medesimo articolo che, per i reati commessi in data anteriore al 1° gennaio 2020, la prescrizione riprenda a decorrere in ogni caso in cui la Corte di Cassazione disponga la riapertura del processo ai sensi dell’art. 628-bis c.p.p.
La norma in esame, quindi, ha lo scopo di garantire una piena e corretta attuazione di un’altra previsione normativa, la cui portata è estremamente innovativa.
Alla Corte di Cassazione è rimesso un vaglio preliminare sul vizio accertato dalla Corte e.d.u. Nello specifico, l’art. 628-bis, comma 5, c.p.p. precisa che, fuori dei casi di inammissibilità, la Corte interna accoglie la richiesta quando la violazione accertata dalla Corte europea, per natura e gravità, abbia avuto una incidenza effettiva sulla sentenza o sul decreto penale di condanna pronunciati nei confronti del richiedente.
Operata tale valutazione, se non sono necessari ulteriori accertamenti di fatto o comunque risulta superfluo il rinvio, la Corte assume i provvedimenti idonei a rimuovere gli effetti pregiudizievoli derivanti dalla violazione, disponendo, ove occorra, la revoca della sentenza o del decreto penale di condanna.
Se, invece, si rende necessario un nuovo accertamento, la Corte trasmette gli atti al giudice dell’esecuzione o dispone la riapertura del processo nel grado e nella fase in cui si procedeva al momento in cui si è verificata la violazione e stabilisce se e in quale parte conservano efficacia gli atti compiuti nel processo in precedenza svoltosi.
L’effetto, dunque, sarà quello della riapertura del processo con una sorta di regressione “anomala” che genererà un nuovo giudizio a partire dal grado e dalla fase in cui si trovava quello che ha generato la sentenza convenzionalmente iniqua.
Con riferimento all’effetto della riapertura del processo, l’art. 91, comma 2, del d.lgs. n. 150/2022 ha previsto che, per i reati commessi in data anteriore al 1° gennaio 2020, la prescrizione riprende il suo corso in ogni caso dalla riapertura del processo ad opera della Corte di Cassazione. Si tratta, invero, di una disposizione di coordinamento con la vecchia disciplina in materia di prescrizione che ammetteva il decorso del termine prescrizionale anche nei giudizi di appello e di cassazione.
NOTE
[1] In G.U. n. 243 del 17 ottobre 2022.
[2] Sul tema dell’efficienza, L. Kalb, La «ricostruzione orale» del fatto tra «efficienza» ed «efficacia» del processo penale, Torino, 2005, passim; Giostra, Appunto per una giustizia non solo più efficiente, ma anche più giusta, in Politica del diritto, 2021, 4, p. 611.
[3] Per un primo commento, si vedano, tra gli altri, E. Aprile, Primo commento alla proposta di riforma del processo penale (la c.d. Riforma Cartabia), in Foroitaliano.it, 4 settembre 2019; G. Canzio, Il modello “Cartabia”. Organizzazione giudiziaria, prescrizione del reato, improcedibilità, in Sist. pen., 14 febbraio 2022, p. 1 ss.; Id., Le linee del modello “Cartabia”. Una prima lettura, in Il Penalista, 26 agosto 2021; M. Daniele, La riforma della giustizia penale e il modello perduto, in Cass. pen., 2021, 10, p. 3069 ss.; G.L. Gatta, Riforma della giustizia penale: contesto, obiettivi e linee di fondo della “legge Cartabia”, in Consulta on line, 23 ottobre 2021, p. 818 ss., disponibile al link: https://www.giurcost.org/contents/media/posts/21691/gatta2.pdf; G. Lattanzi, A margine della “riforma Cartabia”, ivi, p. 1295 ss.; O. Mazza, Il processo che verrà: dal cognitivismo garantista al decisionismo efficientista, in Arch. pen., 2, 2022, p. 1 ss.; G. Spangher, Processo penale e tempo, in Cass. pen., 2022, 7-8, p. 2475 ss.
[4] C. cost., 9 maggio 2022, n. 11.
[5] Sul punto, con particolare riferimento all’esecuzione penale, A. Gaudieri, Le novità introdotte nel procedimento di esecuzione, in G. Spangher (a cura di), La riforma Cartabia. Codice penale - Codice di procedura penale - Giustizia riparativa, Pisa, Pacini Giuridica, 2022, p. 673.
[6] Sui rapporti tra ordinamento interno e spazio europeo, si rinvia alla ricostruzione di L. Kalb, «Spazio penale europeo» e adattamenti del sistema processuale italiano in tema di tutela della «vittima», in AA.VV., I diritti umani e le loro rappresentazioni: prospettive interdisciplinari, Milano, Ledizioni, 2021, p. 55 ss.
[7] Sulla clausola dell’“equo processo”, si vedano C. Aranguena Fanego, Primera aproximación al derecho a un proceso equitativo y a las exigencias contenidas en el artículo 6.1 CEDH. En particular el derecho de acceso a un tribunal (art. 6), in F.J. Garcia Roca-P. Santolaya Machetti (a cura di), La Europa de los Derechos: el Convenio Europeo de Derechos Humanos, Madrid, Centro de Estudios Políticos y Constitucionales, 2009, p. 259 ss.; R. Chenal-F. Gambini-A. Tamietti, Art. 6, in S. Bartole-P. De Sena-V. Zagrebelsky (a cura di), Commentario breve alla CEDU, Padova, Cedam, 2012, p. 173 ss.; S.J. Summers, Fair trials: the European criminal procedural tradition and the European Court of Human Rights, Oxford-Portland, Hart 2007; P. Leanza- O. Pridal, The Right to a Fair Trial: Article 6 of the European Convention on Human Rights, Alphen aan den Rijn, Wolters Kluwer 2014; C. Focarelli, Equo processo e Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Contributo alla determinazione dell’ambito di applicazione dell’art. 6 della Convenzione, Padova, Cedam, 2001; L. Filippi, Equo processo. Normativa italiana ed europea a confronto, Padova, Cedam, 2009.
[8] Sul tema della “tangibilità” del giudicato penale si veda D. Cimadomo, La risoluzione del conflitto pratico di giudicati, in AA.VV., Esecuzione penale e modifiche del giudicato, Torino, Giappichelli, 2023, p. 101 ss.
[9] Sul tema, F. Galluzzo, Rimedi per l’esecuzione delle decisioni della Corte europea dei diritti dell’uomo, in G. Spangher (a cura di), La riforma Cartabia. Codice penale - Codice di procedura penale - Giustizia riparativa, Pisa, Pacini Giuridica, 2022, p. 657 ss. Per un approfondimento sulla revisione europea, si rinvia a S. Quattrocolo, Violazioni di convenzioni internazionali e giudicato penale interno, in Riv. dir. proc., 2012, 3, p. 647 ss.; M. Gialuz, Il riesame del processo a seguito di condanna della Corte di Strasburgo: modelli europei e prospettive italiane, in P. Corso-E. Zanetti (a cura di), Studi in onore di Mario Pisani, II, Piacenza, La Tribuna, 2010, p. 275; G. Ubertis, L’adeguamento italiano alle condanne europee per violazioni dell’equità processuale, in P. Corso-E. Zanetti (a cura di), Studi in onore di Mario Pisani, 2010, Piacenza, La Tribuna, p. 614.
[10] Si fa riferimento a C. cost., 7 aprile 2011, n. 113, in Giur. cost., 2011, p. 1523 ss., con la quale il Giudice delle leggi aveva dichiarato la «illegittimità costituzionale dell’art. 630 del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede un diverso caso di revisione della sentenza o del decreto penale di condanna al fine di conseguire la riapertura del processo, quando ciò sia necessario, ai sensi dell’art. 46, paragrafo 1, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, per conformarsi ad una sentenza definitiva della Corte europea dei diritti dell’uomo». In dottrina, G. Canzio, Giudicato “europeo” e giudicato penale italiano: la svolta della Corte costituzionale, in Rivista AIC, 2/2011, 3-4; C. Conti, La scala reale della Corte costituzionale sul ruolo della CEDU nell’ordinamento interno, in Corr. giur., 9/2011, p. 1253.
[11] F. Callari, La revisione. La giustizia penale tra forma e sostanza, II ed., Torino, Giappichelli, 2012, pp. 278-279.
[12] L. Rapisarda, Il nuovo art. 628-bis c.p.p.: l’ordinamento italiano dispone finalmente di un istituto per l’esecuzione dei provvedimenti della Corte di Strasburgo, in Giurisprudenza penale Web, 3 gennaio 2023. L’autore mette in evidenza come “[…] i limiti del “nuovo” istituto (o del sub-istituto) si sono resi evidenti fin da subito, proprio a causa della farraginosità intrinseca alla stessa disciplina della revisione cui comunque doveva farsi riferimento. Ciò ha determinato l’impiego da parte della giurisprudenza successiva - accanto alla revisione c.d. europea, si intende - dell’incidente di esecuzione, il quale precedentemente era stato peraltro uno degli istituti (insieme al ricorso straordinario ex art. 625-bis c.p.p.) già impiegati dalla giurisprudenza per sopperire in via pretoria al vuoto ordinamentale».
[13] A. Ruggeri, La cedevolezza della cosa giudicata all’impatto con la Convenzione Europea dei Diritti Umani… ovverosia quando la certezza del diritto è obbligata a cedere il passo alla certezza dei diritti, in Rivista AIC, 2/2011, p. 15.
[14] L’adeguatezza del rimedio della riapertura del processo o di un nuovo giudizio è stata affermata dalla stessa Corte europea dei diritti dell’uomo nel noto caso Drassich. Invero, la Corte Europea dichiarava la violazione del diritto a un equo processo, ex art. 6, par. 1 e par. 3, lett. a) e b), Cedu, statuendo, tra l’altro sulla scorta di precedenti indirizzi giurisprudenziali, che un nuovo processo o la riapertura di quello che si era già concluso costituiva un mezzo appropriato per riparare le violazioni accertate. Si rinvia a Corte e.d.u., 11 dicembre 2007, Drassich c. Italia, par. 46.