La disciplina della riparazione per ingiusta detenzione attualmente vigente in Italia e in Spagna risulta ispirata ad una ratio comune: in ossequio ai canoni della inviolabilità della libertà personale e della presunzione di innocenza, porre rimedio alla restrizione cautelare subita ingiustamente. Introdotta in entrambi i Paesi in epoca coeva – a partire dalla seconda metà degli anni Ottanta – essa è stata oggetto di grande fermento giurisprudenziale interno ed europeo, che ha contribuito a modellarne progressivamente la fisonomia e l’esatto ambito di applicazione, adeguandoli ai principi costituzionali e sovranazionali vigenti in materia.
The discipline of reparation for unfair pre-trial detention currently in force in Italy and Spain is inspired by a common rationale: in deference to the canons of the inviolability of personal liberty and the presumption of innocence, to remedy the precautionary restriction unjustly suffered. Introduced in both countries at the same time – starting from the second half of the eighties – it has been the subject of great ferment of internal and European jurisprudence, which has contributed to progressively modelling its physiognomy and the exact scope of application, adapting them to the constitutional and supranational principles in force on the subject.
1. Premessa - 2. La riparazione per ingiusta detenzione in Italia - 3. Dolo e colpa grave: l’ostatività all’equa riparazione - 4. La “prisión provisional injusta” in Spagna - 5. Considerazioni conclusive - NOTE
Tematica di particolare interesse per lo studioso che si accinga ad un’analisi di diritto processuale comparato è quella relativa allo studio della disciplina della riparazione per ingiusta detenzione negli ordinamenti italiano e spagnolo. Molteplici paiono, infatti, gli stimoli in tal senso: si tratta di due regolamentazioni coeve quanto a introduzione nei rispettivi ordinamenti (risalente in entrambi alla seconda metà degli anni Ottanta) e la cui esatta fisionomia e portata applicativa è stata progressivamente forgiata nel corso del tempo in virtù dell’opera interpretatrice delle Corti interne ed europee. Diverso, naturalmente, è il contesto culturale di riferimento in cui l’istituto si colloca: un processo penale “tendenzialmente accusatorio” in Italia, un sistema “accusatorio formale” (o “misto”) – che vede la presenza del giudice istruttore (juez instructor) e in cui il pubblico ministero (ministerio fiscal) è inquadrato nell’orbita del potere esecutivo [1] – in Spagna. Paese, quest’ultimo, in cui – è bene ricordarlo – la costituzione democratica risale solo al 1978. Peraltro, giova rimarcare il ruolo determinante svolto in materia dalla giurisprudenza europea, sin dai suoi esordi incline a riconoscere a favore di chi avesse subito una carcerazione preventiva in violazione di legge il diritto alla riparazione per ingiusta detenzione, in ossequio al disposto degli artt. 5 § 5 Cedu e 9 § 5 del Patto internazionale sui diritti civili e politici, che pongono in capo agli Stati contraenti l’obbligo di predisporre all’interno dei rispettivi ordinamenti nazionali un mezzo effettivo per il riconoscimento di un indennizzo riparatore della detenzione illegale [2]. Più precisamente, l’art. 5 § 5 Cedu [3], dopo aver previsto ai primi commi i casi e i modi di privazione della libertà personale dell’individuo, prevede che «ogni persona vittima di arresto o di detenzione in violazione di una delle disposizioni del presente articolo ha diritto a una riparazione» [4]. Analogamente, l’art. 9 del Patto internazionale sui diritti civili e politici dispone che chiunque può ricorrere ad un tribunale affinché questo possa decidere sulla legalità della sua detenzione e, nel caso in cui sia stato vittima di arresto o [continua ..]
Il diritto alla riparazione per ingiusta detenzione è stato introdotto per la prima volta nell’ordinamento italiano con il codice di rito del 1988 [5]. Questo istituto è stato inserito in applicazione – tardiva e incompleta [6] – dei principi costituzionali [7] e sovranazionali [8] ampiamente preesistenti. Prima dell’entrata in vigore del codice, infatti, la dottrina aveva in più occasioni già evidenziato l’esigenza di dare attuazione all’art. 24, comma 4, Cost. anche in favore dei soggetti sottoposti ingiustamente a carcerazione preventiva [9]. Di conseguenza, l’ordinamento ha previsto una prima tipologia [10] di tutela “preventiva”, che si realizza mediante la partecipazione della difesa all’iter cautelare – anche in forma di impugnazione – ed è funzionale ad evitare l’ingiustizia in custodiendo. Sul versante repressivo, invece, di fronte ad ingiuste limitazioni della libertà già esaurite, è stata prevista una risposta riparatoria da parte dello Stato, disciplinata dagli artt. 314 e 315 del nuovo codice di procedura penale. Nello specifico, la riparazione per ingiusta detenzione, come disciplinata dal legislatore italiano, è subordinata ad un duplice presupposto [11]: la c.d. “ingiustizia sostanziale” e la c.d. “ingiustizia formale” della custodia cautelare subita [12]. La prima, prevista dall’art. 314, comma 1, c.p.p., introduce il diritto alla riparazione ex post per chi ha patito una coercizione della libertà personale legittima, ma è poi stato prosciolto per motivi pienamente liberatori [13]. È, quindi, un tipo di riparazione che prescinde dal fatto che la misura privativa sia stata, o meno, applicata secondo i criteri di legge, essendo sufficiente, per il suo riconoscimento, il proscioglimento definitivo dell’interessato con le formule previste dal primo comma della disposizione citata. La c.d. “ingiustizia formale”, prevista al comma 2 della norma de qua, invece, comporta la constatazione con decisione irrevocabile dell’illegittimità del provvedimento restrittivo [14], spettando l’indennizzo sia all’imputato che è stato prosciolto sia a quello che è stato condannato, sempre che risulti, mediante una verifica ex ante [15], [continua ..]
Una delle particolarità dell’istituto in esame, così come regolato dal legislatore italiano, è la condizione di ostatività all’equa riparazione prevista dal comma 1 dell’art. 314 c.p.p., che preclude il diritto all’indennizzo a chi, per dolo o per colpa grave, abbia causato o concorso a causare l’emissione del provvedimento restrittivo nei suoi confronti. Al riguardo, la Corte di cassazione ricorda che «dolosa deve giudicarsi non solo la condotta volta alla realizzazione di un evento voluto e rappresentato nei suoi termini fattuali, difficile da ipotizzare in fattispecie del genere, ma anche la condotta consapevole e volontaria che, valutata con il parametro dell’id quod plerumque accidit, secondo le regole di esperienza comunemente accettate, sia tale da creare una situazione di allarme sociale e di doveroso intervento dell’autorità giudiziaria a tutela della comunità, ragionevolmente ritenuta in pericolo» [40]. E con riguardo alla “colpa” – profilo che ha creato più criticità giurisprudenziali – si considera ostativa alla concessione la condotta cosciente e volontaria del soggetto richiedente che, «senza volerne e senza rappresentarsene gli effetti, consegue un effetto idoneo a trarre in errore l’organo giudiziario» [41] in ordine alla sussistenza dei gravi indizi di reità per il reato che ha fondato il vincolo cautelare [42]. Del resto, la colpa sarà grave quando l’irrogazione della misura sia stata determinata da negligenza, imprudenza o imperizia decisamente macroscopiche [43]. Il giudice della riparazione, dunque, si trova a verificare se la condotta dell’interessato – che in fase di merito si è accertata non integrante reato – abbia potuto ingenerare la falsa apparenza di un illecito penale costituendo il presupposto per la detenzione, sulla base di una valutazione ex ante, indipendente dall’esito del processo di merito [44]. Nell’esaminare la fondatezza del diritto all’indennizzo, l’organo giudicante può tenere conto di elementi preclusi al giudice della cognizione, come gli atti fisiologicamente inutilizzabili. Possono essere posti alla base del giudizio sulla sussistenza della condizione ostativa anche elementi istruttori non acquisiti al fascicolo dibattimentale ai sensi dell’art. 431 [continua ..]
Anche l’evoluzione dell’istituto spagnolo della riparazione per ingiusta detenzione è stata condizionata, fin dalla sua introduzione, dall’avvicendarsi di numerose ed incisive pronunce interne e sovranazionali, tra cui da ultimo una fondamentale del Tribunal Constitucional, che ne ha significativamente modificato la disciplina [53]. Giova premettere che la normativa in materia trova fondamento nell’articolo 121 della Costituzione, il quale prevede espressamente che i danni causati da errore giudiziario e quelli derivanti da un anormale funzionamento dell’Amministrazione della Giustizia danno diritto ad un indennizzo da parte dello Stato. Pertanto, il precetto costituzionale riconosce espressamente la responsabilità patrimoniale erariale in due ipotesi di pregiudizio, lasciando comunque alla discrezionalità del legislatore la regolamentazione specifica della materia. E così, la Ley Organica del Poder Judicial [54] (LOPJ) del 1985 – che ha dato attuazione alla norma costituzionale, regolando la disciplina degli errori giudiziari negli artt. 292-297 – ha introdotto una terza ipotesi di responsabilità patrimoniale dello Stato: la “prisión provisional injusta” [55](carcerazione preventiva ingiusta). Va precisato che nell’ordinamento spagnolo – a differenza di quello italiano che all’art. 314 c.p.p. distingue chiaramente i due tipi di ingiustizia, “sostanziale” e “formale” della carcerazione preventiva – l’art. 294 LOPJ fa riferimento espresso soltanto alla “prisión provisional legítima” [56], cioè, a quei casi in cui la misura è stata applicata nel rispetto dei requisiti legali, ma gli indizi posti alla base del provvedimento restrittivo si sono poi mostrati insufficienti o inesistenti nel dibattimento, conclusosi con l’assoluzione dell’imputato [57]. La c.d. “ingiustizia formale”, invece, viene inclusa nel più ampio concetto di “errore giudiziario” di cui all’art. 293 LOPJ, da intendersi come ipotesi di carcerazione illegittima in violazione dei parametri stabiliti per l’applicazione della misura [58]. Inoltre, per la riparazione dei danni annoverabili in tale più ampia categoria è requisito indispensabile il riconoscimento espresso della illegittimità ad opera di [continua ..]
Come accennato in precedenza, l’istituto della riparazione per ingiusta detenzione è coevo in Italia e in Spagna, essendo stato introdotto nello stesso periodo storico, e presenta una ratio analoga: compensare chi ha subito una restrizione cautelare ingiusta, in ossequio ai canoni della inviolabilità della libertà personale e della presunzione di innocenza. Al di là di tali analogie, significative appaiono tuttavia le differenze. Nella legislazione spagnola, l’istituto, previsto dalla Ley Organica del Poder Judicial, è annoverato nella più ampia categoria degli “errori giudiziari” e il relativo procedimento per l’ottenimento dell’indennizzo è ricondotto alla regolamentazione amministrativa, che si occupa della responsabilità patrimoniale dello Stato. Quindi, l’istituto – sebbene sorto in ragione dell’applicazione della misura cautelare in seno al procedimento penale – è stato chiaramente riconosciuto alieno alla giurisdizione penale. In Italia, invece, benché l’istituto sia stato inserito «per ragioni di opportunità e con regole particolari» [78] in una procedura che si svolge dinanzi al giudice penale e che è disciplinata dal codice di rito, il procedimento riparatorio è stato più volte definito in termini civilistici da parte della giurisprudenza di legittimità. Circostanza, questa, che ha dato luogo a contrasti sulla natura della riparazione e sulle norme e principi applicabili nel procedimento stesso. In Spagna, inoltre, l’indennizzo per ingiusta detenzione è subordinato al danno subito in conseguenza della stessa, sia questo patrimoniale o personale; in Italia, invece, l’indennizzo è concesso all’interessato in virtù del principio solidaristico dello Stato nei confronti dell’ingiustamente ristretto, non essendo dunque volto a riparare un danno stricto sensu inteso. La legislazione spagnola, peraltro, non è priva di lacune [79]: prima della rivoluzionaria pronuncia costituzionale del 2019, l’enunciato legislativo di cui all’art. 294 LOPJ prevedeva un ambito di applicazione della riparazione per “ingiustizia sostanziale” piuttosto restrittivo, in contrasto – come evidenziato dalla Corte e.d.u. – con il fondamentale principio della presunzione di [continua ..]