Il contributo esamina il tema della prova nel giudizio di seconda istanza, sotto la duplice lente del formante legislativo e giurisprudenziale, sottolineando l’evoluzione del dato positivo: l’art. 34, comma 1, lett. i), del d.lgs. n. 150/2022 (c.d. “riforma Cartabia”) torna a regolare il fenomeno della rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale in caso di appello del pubblico ministero contro una decisione assolutoria per motivi attinenti alla valutazione della prova dichiarativa. Il dettato normativo dell’innovato comma, circoscrivendo la portata della riapertura dell'istruttoria ai soli casi di prove dichiarative assunte in udienza nel corso del giudizio di primo grado o all'esito di integrazione probatoria disposta nel giudizio abbreviato, sembra voler rimediare all’inadeguatezza della precedente regolamentazione nonché confutare le pronunce della giurisprudenza di legittimità in materia di estensione della citata disposizione.
The contribution examines the issue of the evidence on appeal, under the dual lens of the legislative and jurisprudential formant, underlining the evolution of the positive data: the art. 34, par. 1, lett. i), d.lgs. n. 150 of 2022 (c.d. “Cartabia reform”) returns to regulate the phenomenon of the renewal of the evidence in the event of an appeal by the public prosecutor against sentence of acquittal for reasons regarding the assessment of the witness. The regulatory provision of the innovated paragraph, limiting the extent of the reopening of the preliminary investigation only to cases of declaratory evidence taken at the hearing during the first instance judgment or to the outcome of the evidentiary integration ordered in the abbreviated judgment, seems to intend to remedy the inadequacy of the previous regulation and refute the pronouncements of legitimacy regarding the extension of the mentioned provision.
1. Introduzione - 2. La rinnovazione della prova quale presupposto fisiologico di equità del processo - 3. La teoria della motivazione rafforzata e l’interpretazione convenzionalmente conforme dell’art. 603 c.p.p. ad opera della giurisprudenza di legittimità - 4. (Segue) La pronuncia delle sezioni unite Dasgupta - 5. La risposta del legislatore al problema della prima condanna in appello sulla base di un giudizio cartolare - 6. (Segue) La riapertura dell’istruttoria nel giudizio abbreviato d’appello in rapporto al principio “generalissimo” dell’oltre ogni ragionevole dubbio - 7. La riforma Cartabia: il giudizio di appello quale revisio prioris instantiae o novum iudicium? - 8. Considerazioni conclusive - NOTE
La recente riforma del processo penale, realizzata dal d.lgs. n. 150/2022 (c.d. “riforma Cartabia”) [1] ha fatto tornare d’attualità un tema che ha a lungo impegnato dottrina e giurisprudenza, interna e sovranazionale: la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale nel giudizio di secondo grado; tema centrale, invero, anche al fine di cogliere la natura del giudizio di appello quale mezzo di controllo critico della decisione assunta in prime cure ovvero come nuovo giudizio. Nelle varie codificazioni che si sono succedute nel tempo, la riassunzione della prova nel giudizio di seconda istanza – luogo normalmente deputato al riesame dei verbali delle prove raccolte nel dibattimento di primo grado – ha tradizionalmente rappresentato un’evenienza di carattere eccezionale. Ciò, tuttavia, non ha impedito che si avvertisse progressivamente la necessità di una rimodulazione del giudizio di appello la cui struttura, tale da permettere il sovvertimento “cartolare” della sentenza assolutoria su impugnazione del pubblico ministero, è stata oggetto di censura in sede europea per la ritenuta incompatibilità con i canoni di equità processuale. Per comprendere l’influenza esercitata dalla giurisprudenza sovranazionale in materia, è opportuno sottolineare come, argomentando dall’art. 6 par. 1 e 3 lett. d), Cedu, la Corte di Strasburgo ha elaborato uno “statuto” del diritto alla rinnovazione della prova dichiarativa in sede di impugnazione: in un processo che voglia dirsi autenticamente “fair”, al potere del giudice di rivalutare la responsabilità dell’imputato deve affiancarsi in linea di principio l’assunzione diretta della prova orale. Le indicazioni provenienti dalla Corte e.d.u. in tema di giusto processo d’impugnazione hanno inciso fortemente sulla prassi giurisprudenziale, che ha recepito gli insegnamenti europei, individuandone il fondamento nel criterio decisorio dell’“oltre ogni ragionevole dubbio” [2]. Anche il legislatore non ha tardato ad adeguarvisi: nel 2017, su spinta della giurisprudenza di legittimità e del dibattito scientifico, ha modificato l’art. 603 c.p.p., introducendo, al comma 3-bis, un istituto ispirato all’oralità e al contatto diretto tra il giudice e la fonte dichiarativa nell’ipotesi di ribaltamento della sentenza [continua ..]
Già prima dell’entrata in vigore, nel 1988, del VII protocollo alla Cedu, la Corte di Strasburgo tendeva ad estendere, in assenza di un’indicazione testuale al riguardo, il contenuto dell’art. 6 Cedu ai giudizi di gravame. Invero, pur riservando agli Stati membri una certa discrezionalità nella previsione dei gradi di giudizio interni e delle loro regole di funzionamento, si affermava che l’intero processo, per essere equo, avrebbe dovuto essere luogo di attuazione delle garanzie sancite dalla citata disposizione [4]. Pertanto, qualora uno Stato decidesse di prevedere giurisdizioni di secondo o terzo grado, avrebbe il dovere di assicurare a colui che viene sottoposto al processo penale il rispetto dei corollari del principio di equità processuale, non potendosi tollerare che i diritti dei singoli siano soggetti ad uno standard di tutela inferiore nel giudizio di impugnazione. Nell’interpretazione propugnata dalla giurisprudenza europea l’applicazione dell’art. 6 Cedu dipende dalle caratteristiche del giudizio nonché dal ruolo che l’organo giurisdizionale svolge nell’ordinamento interno: se ne ricava che il sindacato di compatibilità della Corte è particolarmente rigoroso quando il giudice di appello sia investito del potere di pronunciare una sentenza che si sostituisca a quella del grado precedente, trattandosi di un vaglio pieno in ordine alla responsabilità dell’imputato. Così, nonostante la previsione in esame nulla statuisca in merito all’ammissibilità o valutazione della prova dichiarativa, l’overturning “cartolare” da proscioglimento a condanna non accompagnato da alcuna attività istruttoria viene qualificato come circostanza eccezionale che autorizza il vaglio della Corte di Strasburgo sul diniego della richiesta di rinnovazione [5] o, più in generale, sul modo di valutazione delle prove operato dal giudice interno [6], ambito dapprima non accessibile alla giurisprudenza europea [7]. Tra le “special features of the domestic proceedings”, da cui può dipendere l’applicazione dell’art. 6 Cedu ai giudizi di impugnazione, alcune concernono aspetti in relazione ai quali la Corte attesta la possibilità per il giudice interno di decidere adeguatamente pur omettendo la rinnovazione istruttoria: la complessità [continua ..]
Rispetto alla eventualità di rinnovazione della prova dichiarativa disposta dal giudice di seconda istanza, nel caso di overturning della sentenza di proscioglimento di primo grado, la giurisprudenza di legittimità ha cercato gradualmente di adeguarsi alle indicazioni che la Corte di Strasburgo aveva rivolto in tema di prova nel giudizio di gravame a Paesi diversi dall’Italia. In tale prospettiva, è stato giudicato conforme alla Convenzione il ribaltamento dell’assoluzione in condanna qualora il giudice d’appello avesse motivato in modo rafforzato la propria decisione, confutando sul punto le ragioni del giudice di prime cure in merito alla valutazione della prova orale [15]. Il concetto di “motivazione rafforzata” è stato messo in stretta correlazione col principio dell’oltre ogni ragionevole dubbio: una sentenza di condanna che, in riforma di quella assolutoria, si fosse basata su una alternativa e non maggiormente persuasiva interpretazione dello stesso compendio probatorio, impiegato nel primo grado di giudizio, sarebbe stata considerata inidonea a far cadere ogni ragionevole dubbio sulla colpevolezza dell’imputato [16]. In mancanza di elementi sopravvenuti, non bastava quindi che la motivazione fosse non manifestamente illogica o non contraddittoria: il giudice avrebbe dovuto spiegare perché, dopo il confronto puntuale con la motivazione della decisione di proscioglimento, riteneva che la propria ricostruzione della vicenda fosse maggiormente convincente [17]. Di conseguenza, la motivazione non sostenuta da argomenti dirimenti e tali da evidenziare carenze o insufficienze della decisione assolutoria si poneva in violazione del criterio decisorio dell’oltre ogni ragionevole dubbio [18]. La teoria della “motivazione rinforzata”, pur valorizzando il principio da ultimo citato, non affrontava però il vero nodo problematico della questione, vale a dire l’incompatibilità rispetto ai canoni del giusto processo di un giudizio d’appello meramente cartolare [19]. A fronte del mancato intervento del legislatore, la giurisprudenza di legittimità, tra gli anni 2013-2014, prima a sezioni semplici e, poi, a sezioni unite, intraprendeva la strada dell’interpretazione convenzionalmente conforme dell’istituto della rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale nel giudizio di appello, disciplinato [continua ..]
Nel panorama di contrasto giurisprudenziale sull’assoluta necessità della rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale nel giudizio di appello si colloca l’intervento delle sezioni unite, le quali hanno affermato che il giudice di secondo grado, a fronte dell’appello del pubblico ministero contro la sentenza assolutoria – emessa anche a seguito di giudizio abbreviato e con la quale si faccia valere una errata valutazione della prova dichiarativa – non possa ribaltare la decisione, senza aver disposto anche d’ufficio la riapertura dell’istruttoria dibattimentale, attraverso l’esame dei soggetti che abbiano reso dichiarazioni sui fatti del processo ove tali dichiarazioni siano state ritenute decisive nell’alternativa proscioglimento-condanna [22]. La rinnovazione della prova orale in appello, nell’ipotesi di ribaltamento peggiorativo, viene perciò elevata a regola probatoria affinché la decisione di secondo grado possa dirsi coerente con un modello accusatorio incentrato sui principi di oralità, immediatezza e contraddittorio. Ai fini della valutazione del giudice di seconde cure, investito di un’impugnazione del pubblico ministero contro una sentenza di assoluzione, devono ritenersi prove “decisive”, secondo il Supremo consesso, quelle che sulla base della pronuncia di primo grado «hanno determinato o anche soltanto contribuito a determinare un esito liberatorio» [23]. È richiesto al decidente di svolgere un giudizio controfattuale volto a saggiare se le suddette prove, pur in presenza di altre di diversa natura, ove espunte dal complesso del materiale probatorio, si rivelino «potenzialmente idonee a incidere sull’esito del giudizio di appello, nell’alternativa proscioglimento-condanna». Sono poi “decisive” le prove che, pur considerate dal primo giudice di scarso o nullo valore, siano, invece, nella prospettiva dell’appellante, rilevanti, da sole o insieme ad altri elementi di prova, in vista dell’esito di condanna. Fondamentale, nella prospettiva della Corte, è l’assunto per cui non potrebbero definirsi “decisive”, e, pertanto, rinnovabili le dichiarazioni che nel giudizio di appello possano formare oggetto di un differente apprezzamento non in sé, ma nella combinazione con fonti di prova di diversa natura, dalle quali ricevono, [continua ..]
Nel tentativo di recepire i principi affermati dalla giurisprudenza sovranazionale in tema di giusto processo di impugnazione, il legislatore del 2017 ha introdotto una nuova fattispecie di riapertura dell’istruttoria dibattimentale nel giudizio di seconda istanza. In linea con gli arresti della giurisprudenza europea e interna, precedentemente menzionati, l’art. 603, comma 3-bis, c.p.p. disciplina un’ipotesi di rinnovazione della prova a carattere obbligatorio, come è facile desumere dall’impiego dell’espressione “dispone”: la richiesta di riforma della sentenza assolutoria avanzata dall’organo dell’accusa fa sorgere in capo al giudice d’appello l’obbligo di procedere alla riapertura dell’istruttoria, con piena attuazione del principio di immediatezza [29]. Un altro aspetto evidentemente chiaro nonché conforme allo statuto sin ora delineato della rinnovazione probatoria in appello concerne la possibilità per il giudice di seconda istanza di procedere anche d’ufficio alla riapertura dell’istruttoria, non essendo necessario che vi sia una richiesta specifica della parte al riguardo. La distinzione tra attendibilità intrinseca ed estrinseca [30] non emerge nel comma 3-bis dell’art. 603 c.p.p., a conferma dell’obbligo per il giudice di seconda istanza di ascoltare tutte le fonti dichiarative, senza alcun tipo di esonero. Occorre comunque precisare che, poiché valutare significa attribuire un peso alla prova e tale peso dipende dal grado di attendibilità che intendiamo assegnare alla fonte, non esistono valutazioni della prova dichiarativa che non siano valutazioni di attendibilità [31]. Pertanto, formulare un «motivo attinente alla valutazione della prova dichiarativa» significa sostenere che la presenza o meno di certi elementi di fatto posti a fondamento della decisione di primo grado sia dovuta al peso assegnato ad una certa prova orale che a dire dell’appellante è inattendibile [32]. Inoltre, è opportuno notare che le sezioni unite hanno colto l’occasione per chiarire alcuni aspetti che non trovano definizione nella nuova fattispecie di rinnovazione probatoria obbligatoria [33]. Così, rispetto al generico sintagma «dispone la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale» [34], la Corte ha sostenuto che [continua ..]
Questione particolarmente dibattuta, per lungo tempo, in giurisprudenza è stata quella dell’applicabilità dei principi sopra esposti al giudizio abbreviato di appello [38]. Più precisamente, nella giurisprudenza di legittimità successiva alla c.d. riforma Carotti [39] – che aveva espunto la decidibilità allo stato degli atti come requisito di accesso al rito speciale deflattivo del dibattimento – iniziò a profilarsi la distinzione tra giudizio abbreviato semplice o condizionato ai fini del riconoscimento del diritto alla prova nel procedimento di secondo grado: il giudice di appello che avesse inteso riformare in peius una sentenza assolutoria, emessa a seguito di giudizio abbreviato semplice, non avrebbe avuto l’obbligo di rinnovare le prove dichiarative, considerate inattendibili dal primo giudice, in quanto la rinnovazione, ai sensi dell’art. 6 Cedu, sarebbe stata doverosa soltanto in caso di prova assunta oralmente dal primo giudice e, non anche, nell’ipotesi in cui l’imputato, scegliendo il rito abbreviato, avesse rinunciato alle garanzie dell’oralità e del contraddittorio [40]. Di conseguenza, i principi stabiliti dalla Corte di Strasburgo dovevano applicarsi unicamente al giudizio abbreviato condizionato e, dunque, alla fattispecie relativa ad un diverso apprezzamento della prova dichiarativa acquisita dal primo giudice in sede di integrazione probatoria; rispetto all’abbreviato semplice, infatti, era stata proprio «la richiesta dell’imputato di definizione del processo allo stato degli atti a determinare la celebrazione già in primo grado di un processo basato non su oralità ed immediatezza ma sulla sola valutazione della documentazione inserita nel fascicolo del pubblico ministero» [41]. Con riguardo alla questione concernente l’estensione al giudizio abbreviato non condizionato dell’obbligo di rinnovazione istruttoria, le sezioni unite, nel fornire un’interpretazione convenzionalmente conforme dell’art. 603, comma 3, c.p.p., hanno rilevato, in obiter dictum, l’esigenza di rinnovazione della prova dichiarativa anche nel caso di impugnazione del pubblico ministero avverso una pronuncia di assoluzione emessa nell’ambito del giudizio abbreviato ove questa si sia fondata sulla valutazione di prove orali ritenute decisive dal primo giudice e il cui [continua ..]
Recentemente, la tematica della rinnovazione necessaria dell’istruttoria ai fini del ribaltamento della sentenza di assoluzione di primo grado è ritornata in auge alla luce della c.d. riforma Cartabia [47]. In particolare, la previsione dell’art. 34, comma 1, lett. i), del d.lgs. n. 150/2022 [48], in attuazione dell’art. 1, comma 13, lett. l), della l. n. 134/2021 [49], è intervenuta sulla rinnovazione del giudizio in appello regolata dall’art. 603, comma 3-bis, c.p.p., stabilendo che nel caso di impugnazione del pubblico ministero contro una sentenza di proscioglimento per motivi attinenti alla valutazione della prova dichiarativa, il giudice, ferme le disposizioni di cui ai commi da 1 a 3, dispone la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale nei soli casi di prove dichiarative assunte in udienza nel corso del giudizio dibattimentale di primo grado o all’esito di integrazione probatoria disposta nel giudizio abbreviato a norma degli articoli 438, comma 5, e 441, comma 5, c.p.p. [50]. Nel testo della disposizione non è ravvisabile alcun riferimento alla “decisività” della prova dichiarativa: pur dovendo riconoscere la pregevole capacità che tale nozione possiede nel perimetrare la portata dell’istituto della rinnovazione, la nuova fattispecie sembra riguardare ogni fonte di natura dichiarativa indicata nei motivi di appello, e non il singolo elemento probatorio decisivo il cui apprezzamento non sia condiviso dall’appellante [51]. Tuttavia, secondo le chiare indicazioni fornite dalle sezioni unite [52] pare comunque ragionevole ritenere la portata della riapertura dell’istruttoria ridimensionata mediante il ripristino della categoria della decisività della prova: il comma 3-bis non intende imporre un obbligo di rinnovazione integrale dell’attività istruttoria svolta – che risulterebbe in contrasto con l’esigenza di evitare una automatica ed irragionevole dilatazione dei tempi processuali –, ma semplicemente si traduce in una mirata assunzione di prove dichiarative considerate dal giudice d’appello determinanti ai fini della riforma della decisione appellata in punto di penale responsabilità. Il rinnovato tenore della previsione in esame è chiaramente inteso a circoscrivere la portata applicativa dell’istituto, che non consente più di riferire la [continua ..]
L’analisi della previsione di cui all’art. 603, comma 3-bis, c.p.p. consente di apprezzare la significativa evoluzione registratasi in tema di rinnovazione della prova in appello negli ultimi anni. Non v’è dubbio, infatti, che l’entrata in vigore nel 2017 della l. 23 giugno, n. 103 (c.d. “riforma Orlando”) abbia rappresentato un “salto di qualità” nella cristallizzazione del principio di immediatezza, segnando altresì una significativa cesura quanto a tutela dei diritti fondamentali. Per un verso, infatti, il nuovo comma 3-bis dell’art. 603 c.p.p. ha manifestato il pregio di aver conciliato, rispetto alla fattispecie della riforma in peius della sentenza assolutoria, le garanzie dell’oralità, immediatezza e contraddittorio con la tradizionale vocazione funzionale dell’appello quale giudizio di controllo critico della decisione di prime cure. Inoltre, se in precedenza la sua operatività era stata realizzata per il tramite di decisioni della giurisprudenza di legittimità, ora invece è affidata alla fonte normativa, con conseguente recupero di quella omogeneità applicativa in passato, non di rado, risultata deficitaria. La riforma Cartabia costituisce però uno spartiacque fondamentale. Nell’ottica di razionalizzare il sistema delle impugnazioni, il legislatore ha inteso accentuare la natura dell’appello quale mezzo di impugnazione prevalentemente finalizzato a controllare quanto fatto in primo grado. La volontà di ripudiare l’idea di un appello come nuovo giudizio, accogliendo, invece, una concezione del rimedio quale mezzo di controllo della decisione di prime cure sta al fondo delle modifiche in tema di inammissibilità dell’impugnazione di merito (art. 581, comma 1-bis, c.p.p.) nonché di cartolarizzazione del giudizio di seconda istanza (art. 598-bis c.p.p.) [62]. La previsione dell’art. 603, comma 3-bis, c.p.p., quale risultante dalle modifiche apportate dall’art. 34, comma 1, lett. i), d.lgs. n. 150/2022, attua la finalità dichiarata della riforma di coniugare l’esigenza di deflazione dei tempi processuali con la necessità di implementare l’efficienza del giudizio. Il legislatore, recependo i parametri europei nella citata disposizione, ha però soltanto apparentemente risolto alcuni aspetti oggetto di precedenti interpretazioni, [continua ..]