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Le operazioni sotto copertura nei reati contro i beni culturali tra standard europei ed irrisolte criticità
di Elena Andolina, Professoressa associata di Diritto processuale penale - Università degli Studi “Magna Graecia” di Catanzaro
Dietro la spinta di input sovranazionali e del consolidarsi di istanze emergenziali, prosegue l’incessante trend espansivo dell’ambito operativo delle investigazioni sotto copertura.
In assenza di una regolamentazione sufficientemente precisa e dettagliata, nonché di adeguati contrappesi garantistici, l’estensione - ben oltre il paradigma dell’extrema ratio - di questa speciale tecnica investigativa, così pervasiva ed ambigua, rischia di amplificare il pericolo di abusi polizieschi, sacrificando i diritti fondamentali della persona sull’altare di ragioni di opportunità criminale.
S’impongono allora i doverosi correttivi procedurali atti a circoscrivere l’area di legittimità delle operazioni de quibus entro i confini segnati dal principio di legalità processuale e dal canone razionale di proporzione, secondo una logica di stretta necessità e sussidiarietà.
Behind the push of supranational inputs and the consolidation of emergency instances, the incessant expansive trend of the operational sphere of undercover investigations continues.
In the absence of sufficiently precise and detailed regulation, as well as adequate guarantee counterweights, the extension - well beyond the paradigm of extrema ratio - of this special investigative technique, so pervasive and ambiguous, risks amplifying the danger of police abuses, sacrificing the fundamental rights of the person on the altar of reasons of criminal opportunity.
The dutiful procedural correctives are then imposed, aimed at limiting the area of legitimacy of the operations in question within the boundaries marked by the principle of procedural legality and by the rational canon of proportion, according to a logic of strict necessity and subsidiarity.
Sommario:
1. Premessa - 2. La progressiva espansione di uno strumento investigativo eccezionale - 3. L’inadeguatezza dell’assetto processuale: gli incerti confini operativi dell’agire coperto - 4. Le investigazioni mascherate al vaglio della Corte europea: le coordinate del giusto processo - 5. Il nodo problematico della testimonianza anonima dell’agente under cover - 6. Questioni irrisolte. Operazioni undercover e garanzie difensive - NOTE
1. Premessa
Oggetto di crescente attenzione nella Comunità internazionale come manifestazione «nuova, emergente ed in evoluzione di criminalità transnazionale» [1], il commercio illegale di beni culturali rappresenta ormai una delle forme più redditizie di criminalità organizzata, anche di stampo terroristico [2]; e, come tale, viene annoverato - nel contesto dei reati organizzati contro il patrimonio - tra le minacce prioritarie con cui è destinata a misurarsi l’Unione europea nei prossimi anni [3]. Proprio le ulteriori esigenze di tutela penale imposte dalla complessità dei fenomeni criminosi connessi al cultural heritage - connotati, oltre che da una vocazione per lo più transnazionale, dalle intersezioni del traffico di opere d’arte con quello di droga e/o armi e con il riciclaggio di denaro, nonché dalla strutturale opacità del mercato dell’arte (c.d. “grey market”) [4] - unitamente alla consapevolezza del rango costituzionale (ex art. 9, comma 2, Cost.) del patrimonio culturale come bene giuridico universale [5], hanno dato input all’iter riformatore culminato nella legge 9 marzo 2022, n. 22. Anticipando l’adeguamento del nostro ordinamento alla Convenzione di Nicosia del 19 maggio 2017 [6], volta a «rafforzare l’attività di prevenzione e la reazione del sistema di giustizia penale a tutti i reati relativi ai beni [continua ..]
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2. La progressiva espansione di uno strumento investigativo eccezionale
L’attività undercover, concepita - a partire dagli anni ‘90 - quale tecnica speciale di investigazione, utilizzabile come extrema ratio per la ricerca di prove, limitatamente, ad un ben definito catalogo di reati connessi alla criminalità organizzata e di tipo mafioso, nonché allo sfruttamento sessuale di minori (traffico di stupefacenti, riciclaggio, pedofilia e terrorismo), ha visto ampliare progressivamente, ma non sempre in modo razionale, il proprio range operativo [10] ben al di là della logica del “doppio binario”. È appena il caso di rammentare come la legge n. 146/2006, istituendo, nel corpo dell’art. 9, un vero e proprio statuto delle operazioni sotto copertura [11], abbia finalmente ricondotto ad unità la disciplina di tale tecnica investigativa, sino ad allora frammentata nelle disposizioni dei diversi decreti legge. Al di là dell’innegabile risultato positivo conseguito sul piano sistematico, si è però trascurato di prevedere, in piena sintonia con l’art. 20 della Convenzione di Palermo - che incoraggia «l’appropriato impiego» delle tecniche speciali di investigazioni (SIT), quali la consegna controllata e, «laddove ritenuto opportuno», (anche) delle operazioni sotto copertura -, la possibilità di ricorrere alle operazioni mascherate in quella che è la sede naturale, ossia le indagini relative ai reati [continua ..]
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3. L’inadeguatezza dell’assetto processuale: gli incerti confini operativi dell’agire coperto
L’operatività della speciale causa di non punibilità nell’attività di contrasto dei delitti di cui agli artt. 518-sexies e 518-septies c.p., è agganciata - ai sensi del citato art. 9, come interpolato dalla l. n. 22/2022 - al rispetto di una griglia di requisiti di natura sostanziale riguardanti la specifica legittimazione attiva degli «ufficiali di polizia giudiziaria degli organismi specializzati nel settore dei beni culturali» (art. 9, comma 1, lett. b-bis)); la finalizzazione esclusiva delle operazioni under cover all’acquisizione di elementi di prova in ordine ai richiamati delitti di riciclaggio e auto-riciclaggio di beni culturali; nonché l’ampliato catalogo delle condotte scriminate. Catalogo che, in correlazione al dilatato raggio operativo, spazia da atti investigativi “passivi” di osservazione e monitoraggio dell’attività illecita in corso di esecuzione, privi di attitudine provocatoria, a forme di concorso materiale o morale, in cui si inscrivono, tra l’altro, le condotte di riciclaggio e reimpiego simulati [17]; fino a ricomprendere - a “costo” di un significativo affievolimento della tassatività normativa [18] - generiche ed imprecise «attività prodromiche e strumentali» (art. 9, comma 1, lett. a)). Alla tipicità formale di tale strumento investigativo, quale mezzo di ricerca della prova, tendenzialmente [continua ..]
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4. Le investigazioni mascherate al vaglio della Corte europea: le coordinate del giusto processo
La necessità che l’intervento di agenti infiltrati sia circoscritto entro limiti rigorosi ed assistito da garanzie idonee a contenere la peculiare invasività del mezzo de quo trova pieno riscontro nella giurisprudenza europea. A fronte dell’accentuato deficit di legalità del quadro procedurale interno, il compito di fissare gli invalicabili confini operativi di tale eccezionale tecnica di indagine, è stato svolto sul piano esegetico, dai Giudici di Strasburgo nel quadro più generale della verifica dell’equità del procedimento nel suo complesso. Pur prendendo atto dell’impossibilità di tracciare una netta distinzione tra agente infiltrato e provocatore [24], nonché della fluidità ed estrema eterogeneità della categoria di agente under cover - come codificata dall’art. 9 - comprensiva di tipi diversi [25] (dal fictus emptor di sostanze stupefacenti o di beni culturali, al vero e proprio infiltrato - in incognito - in un’organizzazione criminale), ai fini del discrimen tra le due figure, è rilevante il contributo della Corte europea. A partire dal leading case Teixeira de Castro c. Portogallo, la Corte e.d.u. ha elaborato un test, articolato in due momenti, alla cui stregua vagliare la legittimità dell’indagine under cover sotto il profilo del rispetto del diritto al giusto processo. Una prima verifica - di carattere sostanziale - [continua ..]
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5. Il nodo problematico della testimonianza anonima dell’agente under cover
In un’area contigua a quella appena esaminata s’inscrive il tema delle modalità acquisitive e dei limiti di utilizzo, come prova a carico, dei contributi conoscitivi dell’agente mascherato. Uno dei profili, a tutt’oggi, più problematici per le ricadute sulle prerogative difensive, sul metodo dialettico del contraddittorio per la prova, nonché sulla par condicio tra accusato ed accusatore, è costituito dall’automatismo del binomio - normativamente fissato - tra contributo dell’agente, coinvolto nell’operazione “coperta”, e testimonianza in forma anonima. Per effetto del rinvio operato dall’art. 497, comma 2-bis, c.p.p., come interpolato dalla legge 13 agosto 2010, n.136, gli ufficiali «chiamati a deporre, in ogni stato e grado del procedimento, in ordine alle attività svolte sotto copertura» ai sensi dell’art. 9 della l. n. 146/2006, e successive modificazioni, «invitati a fornire le proprie generalità, indicano quelle [fittizie] di copertura utilizzate nel corso delle attività medesime»; ulteriormente prescrivendosi, ai fini di una tutela completa dell’identità del primo [42], che l’esame si svolga a distanza «sempre con le cautele necessarie alla tutela e alla riservatezza della persona sottoposta all’esame e con modalità […] in ogni caso idonee a evitare che il volto di tali soggetti [continua ..]
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6. Questioni irrisolte. Operazioni undercover e garanzie difensive
Nello scarno quadro procedurale tratteggiato dall’art. 9 della l. n. 146/2006 sono del tutto trascurate le interferenze dell’operazione sotto copertura con le prerogative difensive del prevenuto. L’agire coperto costituisce per l’infiltrato, fictus acquirente o fiancheggiatore, un’occasione preziosa per instaurare “sotto mentite spoglie” un rapporto dialogico con le persone coinvolte in un reato al fine di raccoglierne i contributi informativi a contenuto confessorio. Ciò nondimeno non può divenire l’escamotage per aggirare in modo surrettizio le garanzie sancite in materia di interrogatorio ex art. 64 c.p.p.; né i divieti di utilizzazione processuale posti a tutela del diritto al silenzio e del privilegio contro l’autoincriminazione, connotati essenziali del diritto di autodifesa passiva (art. 24 Cost.), nonché corollari della presunzione di non colpevolezza (art. 27, comma 2, Cost.). Il punto di attrito è dato dal profilo genetico-causale delle dichiarazioni confessorie del prevenuto. Si tratta di dichiarazioni che, proprio perché causalmente indotte o, comunque, favorite dal contegno investigativo simulatorio dell’agente, sono del tutto prive di spontaneità; promanando da persona - formalmente o sostanzialmente [54] - indagata che, non essendo stata previamente avvertita dell’identità effettiva dell’interlocutore, né tantomeno del [continua ..]
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NOTE