Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
G. Giappichelli Editore

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Decisioni in contrasto (di Giada Bocellari)


Concordato in appello e prescrizione maturata antecedentemente: deducibilità in cassazione

(Cass., sez. II, 3 maggio 2022, n. 17439)

Con l’ordinanza in commento, la Suprema Corte di Cassazione rimette alle sezioni unite la questione relativa alla facoltà di dedurre con il ricorso per cassazione l’estinzione del reato per intervenuta prescrizione, maturata in data antecedente la pronuncia di secondo grado, avverso la sentenza di concordato in appello ex art. 599-bis c.p.p. che non la dichiari.

Sul punto si registrano due orientamenti contrapposti.

segue

Secondo un primo orientamento (Cass., sez. V, 20 settembre 2019, n. 4709; Cass., sez. VI, 4 luglio 2019, n. 41254; Cass., sez. II, 10 aprile 2019, n. 22002; Cass., sez. VI, 11 dicembre 2018, n. 5210; Cass., sez. II, 1 giugno 2018, n. 30990; Cass., sez. V, 29 maggio 2017, n. 39764), il ricorso per cassazione avverso la sentenza di concordato in appello è limitata ai casi di cui all’art. 448, comma 2-bis c.p.p. e, dunque, solo per motivi attinenti all’espressione della volontà dell’imputato, al difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza, all’erronea qualificazione giuridica del fatto ed alla illegalità della pena o della misura di sicurezza. A fronte della natura prettamente negoziale dell’istituto, non è, invece, deducibile la mancata declaratoria di prescrizione da parte dei giudici di merito, la quale non rende illegale la pena, ma semmai l’effetto dell’errato preliminare accertamento circa l’insussistenza di cause di proscioglimento: l’omessa valutazione di tale presupposto si ripercuote, al più, sulla ratifica dell’accordo negoziale sotteso al concordato, con la conseguenza che si è in presenza di una semplice violazione di legge che non investe la legalità della pena, la quale ricorre solo quando la pena non sia conforme a quella stabilita in astratto dalla norma penale. Non risulta, dunque, ammissibile una diversa e più estensiva interpretazione della nozione di “illegalità della pena”, atteso che, se così fosse, ogni violazione di legge sostanziale o processuale (ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) o c) c.p.p.) si tradurrebbe sempre in una illegalità della comminatoria finale della pena, in contrasto con il carattere tassativo dei motivi ammissibili del ricorso per cassazione di cui all’art. 448, comma 2 bis c.p.p. Sempre secondo tale orientamento, non sarebbe nemmeno possibile una declaratoria d’ufficio ex art. 129 c.p.p. da parte della Corte di Cassazione, poiché sono rilevabili d’ufficio solo i casi di pena illegale (reato depenalizzato, pena dichiarata incostituzionale), mentre l’omessa declaratoria di prescrizione non impedisce l’irrevocabilità della sentenza e neppure può determinare una revocabilità del giudicato in sede esecutiva. Secondo un contrapposto orientamento (Cass., sez. V, n. 12285/2021 non mass.; Cass., sez. V, 16 luglio 2019, n. 38115; Cass., sez. I, 11 giugno 2018, n. 51169), la definizione concordata della pena in appello non può implicare la rinuncia alla prescrizione da parte dell’imputato, atteso che una manifestazione di volontà volta all’accordo tra le parti sui motivi d’appello non è in alcun modo equiparabile alla rinuncia espressa richiesta dall’art. 157, comma 7, c.p.p., che, tra l’altro, è norma di stretta interpretazione [continua..]

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