Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
G. Giappichelli Editore

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L´improcedibilità ratione temporis: una mina nel sistema (di Adolfo Scalfati, Professore ordinario di Procedura penale – Università di Roma Tor Vergata)


La figura contemplata dall’art. 344 bis c.p.p. presenta numerose ambiguità che difficilmente la riconducono alle categorie tradizionali; la qual cosa impone di delinearne la figura senza lasciarsi troppo influenzare dal testo legislativo.

Parole chiave: improcedibilità – prescrizione del reato - l. 27 settembre 2021 n. 134.

The “Improcedibilità ratione temporis”: a mine in the system

The feature provided for by art. 344 bis c.p.p. has many ambiguous aspects that hardly make it related to the system. This is the main reason that imposes to make a reflection on the new provisions without considering the legislative framework.

SOMMARIO:

1. Preludio - 2. Dubbi di ragionevolezza: profili di sintesi - 3. Natura sostanziale o processuale - 4. Improcedibilità sopravvenuta dell’azione? - 5. Improcedibilità ratione temporis e inammissibilità dell’impugnazione - NOTE


1. Preludio

In tema di tempi giudiziari, il quadro generale delle nuove regole (art. 2, l. 27 settembre 2021 n. 134) manifesta un punto di sutura posto tra la paralisi del corso della prescrizione, che si realizza al deposito della sentenza di primo grado, e l’inizio di un autonomo termine stabilito per le impugnative [1]. Al fondo, emergono due cronometri che, pur influendo entrambi sulla durata del procedimento, sono dotati di criteri e morfologia distinti [2]; inoltre, la diversità degli effetti derivanti dallo sforare dei rispettivi termini (estinzione del reato e improcedibilità) non permette semplicistiche assonanze coi principi sinora formulati con riguardo ai rapporti tra prescrizione del reato e giudizio penale. In via preliminare, va misurata la ragionevolezza della disciplina così com’è stata ricomposta in ordine alla modulazione dei tempi giudiziari [3]; la qual cosa richiederà di interrogarsi, sia sull’effettività dei contenuti a garantire termini più congrui – secondo l’auspicio dei compilatori – sia sulla loro proporzionalità al cospetto con altri parametri fondamentali, secondo la dinamica del bilanciamento [4].


2. Dubbi di ragionevolezza: profili di sintesi

Senza esaminarla nel dettaglio – e a prescindere dalle riserve di compatibilità avanzate rispetto agli artt. 112 [5], 101 e 24 [6] Cost. – in più punti la disciplina meriterebbe correttivi per evitare cadute di rilievo costituzionale; ecco i nodi principali. A) L’esistenza di un doppio criterio temporale (indagini-udienza preliminare-giudizio, da un lato, impugnazioni, dall’altro) sancisce un’estensione cronologica assai ampia del processo di primo grado (si può spendere l’intero termine prescrizionale) che appare, tra l’altro, inversamente proporzionale alla contrazione temporale delle impugnative; il rischio è di ampliare a dismisura la durata giudiziaria complessiva rispetto a quanto accade oggi, dove il corso della prescrizione del reato include anche le fasi impugnatorie. B) La previsione secondo cui i procedimenti di gravame per taluni reati possono durare sine die (tramite proroghe sancite dal giudice) costituisce un prolungamento privo di certezza, con effetti perversi sulla prevedibilità cronometrica della procedura e sulla proporzionalità della scelta rispetto a contrapposti valori[7]: una vicenda penale destinata a durare senza limiti precisi pregiudica di fatto, oltre che la durata ragionevole in sé, la presunzione di non colpevolezza laddove potenzialmente fà dell’im­putato un eterno giudicabile. C) Si affidano al giudice scelte di politica criminale (an e quomodo delle proroghe) articolate sulla notevole elasticità dei parametri che permettono la dilazione delle fasi d’impugnatorie; emerge uno scarso tasso di legalità della disciplina se solo la si raffronta con la determinatezza delle ipotesi sospensive o interruttive della prescrizione del reato che pure si riflettono sui tempi giudiziari. Qui sarebbe inutile invocare una pretesa ragionevolezza delle previsioni sostenendo che, parimenti, un basso standard di tipicità affligge altre fattispecie di proroga (es., delle indagini preliminari o dei termini cautelari)[8]: queste riguardano situazioni endo-procedimentali e non sono destinate ad influire sulla pronuncia sull’imputazione come accade per la figura dell’improcedibilità; cosicché esse non potrebbero fungere da tertium comparationis per giustificare l’adeguatezza della disciplina in esame. D) Il combinato disposto degli artt. 344 bis e 161 bisp. impone che la [continua ..]


3. Natura sostanziale o processuale

Sul piano astratto, è difficile ipotizzare che si stia parlando di un istituto di matrice sostanziale: le scelte del legislatore sulla prescrizione sospesa dopo la sentenza di primo grado, la sistematica dell’istituto, collocato tra le condizioni di procedibilità (art. 344 bis c.p.p.), la nomenclatura impiegata dai compilatori, l’influenza immediata ed assoluta sulla prosecuzione dei giudizi d’impugnazione costituiscono elementi per ben sostenere che si è dinanzi ad una figura processuale. Tuttavia, la linea di confine tra regola sostanziale e processuale non è sempre così netta. Si considerino le figure a metà strada, come la querela, che influiscono in ogni caso sulla punibilità lato sensu intesa: anche quando si paralizza per sempre il processo per mezzo dell’improcedibilità in esame si realizzano effetti indiretti sulla punibilità [11]. In ogni caso, è da escludere che qui l’improcedibilità sia direttamente riconducibile alla struttura del reato o della pena; dunque, pur postulandone qualità anfibie, non è detto che la disciplina debba avere carattere retroattivo nel suo eventuale ruolo di lex mitior (art. 2 c.p.). La verosimile “natura mista” della nuova figura richiede una disciplina transitoria che risponda ai canoni di ragionevolezza; la qual cosa non significa cedere alla retroattività della disposizione più favorevole, principio non esplicito dell’art. 25, comma 2 Cost. ma piuttosto riconducibile all’art. 3 della Carta fondamentale e, pertanto, soggetto ad accurata comparazione con altri valori di pari rango: la prospettazione di un dies a quo per l’efficacia della nuova improcedibilità (fatti commessi a partire dal 1 gennaio 2020) e la predisposizione di un assetto transitorio – che pure avrebbe bisogno di qualche ritocco chiarificatore [12] – appaiono, a grandi linee, la risultanza di un apprezzabile coordinamento con la permanenza dell’esclusivo regime della prescrizione per i reati realizzati in data anteriore al 1 gennaio 2020. A diversa conclusione, patrocinando l’adozione dell’art. 25, comma 2 Cost. alle regole penali di “natura mista”, bisognerebbe pervenire per il caso in cui sopraggiunga una lex pejor consistente nell’eventuale futura introduzione di nuove ipotesi di reato tra quelle che permettono alle [continua ..]


4. Improcedibilità sopravvenuta dell’azione?

Partendo dall’espressione linguistica usata dall’art. 344 bis comma 1 c.p.p., secondo cui il decorso del tempo costituisce una “causa di improcedibilità dell’azione penale”, occorre prima interrogarsi sulla disomogenea categoria dei requisiti che influiscono sulla iniziativa penale [13], e, poi, sulla possibilità che la nuova figura corrisponda davvero alla qualificazione legislativa. Le condizioni di procedibilità (querela, istanza, richiesta, autorizzazione a procedere) influenzano l’esercizio dell’azione; pur non essendo tutte metodologicamente collocate nella relativa sezione codicistica (art. 345 comma 2 c.p.p.), obbediscono al canone di determinatezza (artt. 3, 112 e 25 comma 2 Cost.) e vanno normativamente previste (es., la presenza del reo nel territorio dello Stato, l’autoriz­zazione del comandante per i reati militari). Si è dinanzi a veri e propri presupposti dell’azione, la cui assenza rende l’iniziativa male esercitata, ricadendo su tutti gli atti successivi, sentenze incluse, fino al­l’irrevocabilità della pronuncia [14]. Stando alla Corte costituzionale, rientrano fra le condizioni per l’esercizio dell’azione il provvedimento di riapertura delle indagini, la revoca della sentenza di non luogo a procedere [15]; parimenti l’ir­revocabilità della sentenza o del decreto pregiudica la nuova iniziativa penale (art. 649 c.p.p.): la triade normativa racchiude un denominatore comune: evitare che la stabilità di una pronuncia sull’impu­ta­zio­ne sia sovvertita da una nuova iniziativa del pubblico ministero de eadem re et persona. Sono attratte all’area della improcedibilità l’intervento del segreto di Stato [16] e la inconsapevole partecipazione sopravvenuta dell’imputato (artt. 72 bis e 345 comma 2 c.p.p.). Ma tra i presupposti del­l’azione e il veto di proseguire l’accertamento per segreto di Stato o perché l’imputato non è compos sui emerge una marcata differenza. Le condizioni del procedere sono requisiti dell’azione che abortisce senza di loro; le altre sono situazioni che bloccano l’iter giudiziario e prescindono dalla conformità alla legge dell’iniziativa penale già ben esercitata; è meglio a tal proposito parlare di clausole preclusive della procedura. È [continua ..]


5. Improcedibilità ratione temporis e inammissibilità dell’impugnazione

Il tema induce a rivalutare i complicati rapporti tra la formula terminativa in esame e le questioni già emerse con riguardo alla prescrizione del reato, come per esempio, il giudicato parziale, i rapporti con il proscioglimento immediato, l’adozione della confisca obbligatoria, l’estensione della figura nell’ambito del processo agli enti [18]. Un punto particolarmente spinoso riguarda la prevalenza o no dell’inammissibilità dell’impu­gna­zione sull’improcedibilità in questione [19]. È vero che l’inammissibilità impedisce di esaminare la domanda impugnatoria e non si ignora l’orientamento sul cd. giudicato sostanziale – prodotto dalla carenza dei requisiti dell’atto introduttivo – che preclude, tra l’altro, l’indagine sul proscioglimento immediato e sulle cause estintive del reato [20]; né si trascura la linea interpretativa che sostiene la predominanza dell’inammissibilità dell’impugnazione persino sulla disamina relativa all’assenza delle condizioni procedibilità [21]. Ma se si inquadra il nuovo istituto come un mezzo dove il decorso del tempo estingue il potere appena interviene, a detto potere è impedito di valutare anche i presupposti del cd. rapporto processuale d’impugnazione, dovendocisi limitare al solo vaglio sull’assenza delle condizioni che ne legittimano l’esercizio. La differenza non è di poco conto: se si ritiene che il non liquet per ragioni temporali soccomba all’inammissibilità, basterebbe dichiarare inammissibile l’impugnativa per neutralizzare i tempi giudiziari lasciando ferma la sentenza del grado precedente; al contrario, la prevalenza dell’improcedi­bilità ratione temporis imporrebbe di dichiararla tempestivamente anche dinanzi all’inammissibilità, tra­volgendo le decisioni dell’intero accertamento. La questione diventa ancora più controversa pensando all’inammissibilità per carenza di specificità dei motivi d’appello o per manifesta infondatezza del ricorso, ipotesi nelle quali il giudice compie una valutazione sommaria sul merito della domanda prima di decidere se è ammissibile o no.


NOTE