Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
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La Cassazione estende la ratio garantista del principio di irretroattività all´applicazione delle pene accessorie sulla scorta dell´art. 445, comma 1 ter, c.p.p., così come introdotto dalla l. n. 3/2019 (cd. Spazzacorrotti) (di Alessandro Roiati, Professore associato di diritto penale – Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”)


I giudici di legittimità hanno risolto la questione interpretativa sottoposta al loro vaglio stabilendo con chiarezza che il principio di legalità della pena preclude lapplicazione dellarticolo 445, comma 1 ter, c.p.p., ai fatti commessi prima della data di entrata in vigore della l. n. 3 del 9 gennaio 2019.

Nello specifico detta disposizione statuisce che il giudice possa applicare le pene accessorie di cui allarticolo 317-bis c.p., per taluni delitti in materia di pubblica amministrazione, in deroga alla preclusione generale riguardante i casi di patteggiamento con pena irrogata non superiore ai due anni di pena detentiva, soli o congiunti a pena pecuniaria, di cui allart. 445, comma 1, c.p.p.

A tal proposito la Cassazione ha richiamato, sia il principio di irretroattività così come sancito a livello costituzionale e sovranazionale, sia le conclusioni a cui è pervenuta la recente sentenza n. 32/2020 della Corte costituzionale, che ha affermato la necessità di garantire una ragionevole prevedibilità delle conseguenze a cui il soggetto agente si esporrà trasgredendo il progetto penale, da considerare quale limite ineludibile al legittimo esercizio del potere politico e requisito coessenziale al concetto stesso di Stato di diritto.

Di conseguenza l’interprete è tenuto ad adottare una lettura in termini sostanzialistici degli interventi di riforma legislativa che non si limitino ad introdurre mere modifiche delle modalità esecutive della pena, ma che comportino una vera propria trasformazione della natura della sanzione e della sua concreta incidenza sulla libertà personale, tanto da venire in considerazione una pena che è sostanzialmente un aliud rispetto a quella prevista al momento del fatto.

Parole chiave: patteggiamento – principio di irretroattività – pene accessorie.

The Supreme Court extends the ratio which guarantees the principle of non-retroactivity to the application of accessory penalties on the basis of art. 445, paragraph 1 ter, c.p.p., as introduced by law no. 3/2019 (so-called Spazzacorrotti)

The judges of legitimacy resolved the interpretative question submitted for their examination by clearly establishing that the principle of legality of the penalty precludes the application of article 445, paragraph one-ter, of the criminal code to the facts committed before the date of entry into force of law no. 3 of the 9th of January 2019.

Specifically, paragraph one-ter of this article of the c.p.p. states that the judge may apply the accessory penalties anticipated in Article 317 bis of the Criminal Code for certain crimes relating to public administration notwithstanding the general provision of art. 445, paragraph 1, c.p.p., which excludes the possibility of applying accessory penalties and security measures in all cases of plea bargaining with an imposed penalty which not exceeds two years of imprisonment, alone or jointly with a monetary penalty.

In this regard, the Supreme Court recalled both the principle of non-retroactivity as sanctioned at constitutional and supranational level, and the conclusions reached by recent sentence no. 32/2020 of the Constitutional Court, which affirmed the need to ensure a reasonable predictability of the consequences to which a person will expose himself by transgressing the criminal project, to be considered as an unavoidable limit to the legitimate exercise of political power on which the very concept of Rule of law focuses.

Consequently, the interpreter is required to adopt a reading in substantive terms whenever the legislative reform interventions are not limited to introducing mere modifications of the methods of execution of the sentence but involve a real transformation of the nature of the sanction and of its concrete impact on personal freedom, so to consider a penalty that is substantially an aliud compared to that envisaged at the time of the fact.

Il divieto di retroattività opera anche in riferimento alle pene accessorie disposte con sentenza di patteggiamento non superiore a due anni di reclusione ex art. 445, comma 1 ter, c.p.p. MASSIMA: Il principio di legalità della pena e il divieto di retroattività sanciti dall’art. 25, secondo comma, Cost, precludono, a prescindere dal momento in cui la richiesta di definizione del procedimento è stata proposta al giudice, l’ap­pli­cazione ai fatti commessi prima della data di entrata in vigore della legge n. 3 del 9 gennaio 2019, delle disposizioni recate dall’ultima parte dell’art. dell’art. 445, comma 1, cod. proc. pen. (nei casi previsti dal presente comma è fatta salva l’applicazione del comma 1-ter) e dall’art. 445, comma 1-ter, cod. proc. pen., introdotti, rispettivamente, dall’art. 1, comma 4, lett. e) n. 1 legge 9 gennaio 2019, n. 3 e dall’art. 1, comma 4, lett. e), n. 2 stessa legge. Non è, dunque, consentita, l’applicazione delle pene accessorie, per iniziativa del giudice, nel caso di sentenza di applicazione pena non superiore a due anni di reclusione ai fatti commessi prima del 31 gennaio 2019 (data di entrata in vigore della legge n. 3 del 2019) trattandosi di un trattamento penale sfavorevole all’imputato dal momento che tale applicazione non era consentita dalla disciplina in materia di patteggiamento vigente al momento del fatto. PROVVEDIMENTO: [Omissis] RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del 23 gennaio 2020, il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Prato ha applicato a (Omissis) la pena di anni due di reclusione (pena base anni quattro di reclusione; ridotta per le circostanze attenuanti generiche alla pena di anni due e mesi otto di reclusione; aumentata per la continuazione ad anni tre di reclusione, poi ridotta per il rito) e la pena accessoria della interdizione dai pubblici uffici per anni uno e mesi uno, in relazione ai reati di cui agli artt. 314 e 640 cod. pen. commessi tra l’11 dicembre 2017 e l’8 luglio 2018. All’imputato, medico in servizio presso il Reparto di Ostetricia dell’Ospedale di Prato, erano ascritti alcuni episodi di peculato per essersi appropriato di materiale utilizzato per la esecuzione di visite ed esami strumentali eseguendo visite private che gli venivano remunerate con imprecisate somme di denaro e connessi delitti di truffa consistiti nell’allontanarsi dal reparto dove figurava in servizio per eseguire, in altri ambienti ospedalieri, le predette visite. 2. Con i motivi di ricorso il difensore chiede l’annullamento della sentenza impugnata in riferimento alla statuizione sulla pena accessoria in quanto non prevista nell’accordo convenuto tra l’imputato e il Pubblico Ministero ed applicata con riferimento ad un caso di patteggiamento, con pena finale di anni due di reclusione, che non prevede, a norma [continua..]

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SOMMARIO:

1. La fattispecie in esame - 2. L’entrata in vigore della cd. ex Cirielli: la mancanza di una disciplina transitoria e le sottese questioni in tema di retroattività - 3. Lo spartiacque interpretativo costituito dalla sentenza della Corte costituzionale n.32/2020 - 4. Il principio di irretroattività in relazione alle pene accessorie e alle “norme processuali ad effetti sostanziali” - 5. L’estensione del concetto di “materia penale” alla luce del postulato della “calcolabilità giuridica” e della prevedibilità delle conseguenze sanzionatorie - NOTE


1. La fattispecie in esame

La pronuncia in commento trae origine da una sentenza di patteggiamento relativa ai reati di cui agli artt. 314 e 640 c.p. in cui il giudice, a fronte di una pena concordata pari ad anni due di reclusione, aveva applicato anche la pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici per anni uno e mesi uno. Nel proporre ricorso per Cassazione la difesa aveva quindi rilevato la mancata previsione, nel­l’ac­cordo convenuto, di detta pena accessoria a norma dell’art. 445, comma 1, c.p.p., e l’impossibilità, per il giudice, di disporla d’ufficio ai sensi dell’art. 445, comma 1 ter, c.p.p., così come introdotto dalla l. n. 3 del 9 gennaio 2019, perché i fatti erano stati commessi in epoca antecedente all’approvazione dell’inter­vento di riforma. Nello specifico l’art. 445, comma 1 ter, c.p.p. prevede che il giudice, con la sentenza di applicazione della pena di cui all’art. 444, comma 2, c.p.p., possa applicare le pene accessorie previste dall’articolo 317 bis c.p. per i delitti in materia di pubblica amministrazione di cui agli artt. 317, 318, 319, 319 ter, 319-quater, comma 1, 320, 321, 322, 322 bis e 346 bis c.p. [1]. Tale norma, introdotta dalla menzionata novella legislativa, costituisce un’espressa deroga alla disposizione generale di cui all’art. 445, comma 1, c.p.p., che esclude la possibilità di disporre l’ap­pli­cazione di pene accessorie e di misure di sicurezza, fatta eccezione per la confisca ex art. 240 c.p., in tutti i casi in cui la pena irrogata non superi i due anni di pena detentiva soli o congiunti a pena pecuniaria [2]. Di conseguenza la suprema Corte è stata chiamata a compiere la verifica della legalità della pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici disposata dal giudice e, in particolare, a stabilire se potesse o meno ritenersi conforme al principio di legalità l’applicazione di detta sanzione, intervenuta nella vigenza della l. n. 3/2019, ma in relazione ad una sentenza di patteggiamento con pena non superiore a due anni di reclusione antecedentemente convenuta tra le parti e da riferire a fatti pregressi.


2. L’entrata in vigore della cd. ex Cirielli: la mancanza di una disciplina transitoria e le sottese questioni in tema di retroattività

Come noto una questione interpretativa simile si era già posta in riferimento ad una delle disposizioni più controverse tra quelle introdotte dalla cd. legge spazzacorrotti, ovvero l’art. 1, comma 6, lett. b), a norma del quale alcuni delitti contro la pubblica amministrazione sono stati inseriti tra i reati ostativi alla concessione dei benefici beni penitenziari ex art. 4 bis ord. pen., accanto ai delitti di criminalità organizzata [3]. Nello specifico detta norma prevede un regime ostativo in ordine alla concessione di permessi premio, all’ammissione al lavoro esterno e all’applicazione di misure alternative alla detenzione (compresa la liberazione condizionale, fatta eccezione per la liberazione anticipata), nonché ulteriori effetti preclusivi o deteriori che derivano dall’innalzamento del quantum di pena già eseguita necessario per l’ac­ces­sibilità a taluni benefici o misure alternative, dall’inasprimento della disciplina in tema di revoca di benefici penitenziari già concessi e, soprattutto, dall’estensione ai predetti delitti del divieto di sospensione dell’ordine di esecuzione della pena ex art, 656, comma 9, lettera a), c.p.p. [4]. Al tal proposito in un primo momento, in assenza di disposizioni transitorie, è stato ritenuto che il nuovo regime ostativo – e le conseguenti modifiche in pejus – potessero ritenersi applicabili anche ai fatti commessi antecedentemente alla data di entrata in vigore della l. n. 3/2019. In merito è stato infatti richiamato un consolidato orientamento giurisprudenziale, avallato anche dalle sezioni unite della Cassazione [5], il quale per lungo tempo ha escluso che il principio di retroattività potesse riguardare le modifiche peggiorative delle norme in materia di esecuzione penale, in quanto norme di natura processuale e non sostanziale, come tali da considerare soggette al principio tempus regit actum [6]. La dottrina però non ha mancato di sottolineare prontamente la necessità di estendere la ratio garantista del principio di retroattività della legge penale alle modifiche relative alle misure che finiscono per incidere sulla qualità/tipologia della pena, a partire dalle disposizioni che, limitando l’accesso a sanzioni alternative, comportano l’inevitabile ingresso in carcere [7]. Tali rilievi critici sono stati [continua ..]


3. Lo spartiacque interpretativo costituito dalla sentenza della Corte costituzionale n.32/2020

A fronte di tali approdi interpretativi, dapprima dottrinali e successivamente anche giurisprudenziali, la Corte costituzionale, con sent. n. 32/2020, ha dichiarato illegittima l’applicazione retroattiva della l. n. 3/2019 là dove vengono estese alla maggior parte dei reati contro la pubblica amministrazione le preclusioni alle misure alternative alla detenzione già previste dall’art. 4 bis dell’ordinamento penitenziario per i reati di criminalità organizzata, con particolare riguardo alle misure alternative alla detenzione, alla liberazione condizionale ed al divieto di sospensione dell’ordine di esecuzione della pena [13]. Nello specifico, a giudizio della Consulta, se di regola è legittimo che le modalità esecutive della pena siano disciplinate dalla legge in vigore al momento della sua esecuzione e non da quella in vigore al momento del fatto, anche per assicurare uniformità di trattamento tra i detenuti, ciò non può valere allorché la normativa sopravvenuta non comporti mere modifiche delle modalità esecutive della pena prevista, bensì una trasformazione della natura della pena e della sua concreta incidenza sulla libertà personale del condannato [14]. L’indirizzo ermeneutico contrario a questa conclusione – per quanto da considerare come “diritto vi­vente” – presenta infatti plurimi profili di insostenibilità costituzionale e convenzionale, soprattutto in considerazione del fatto che il legislatore non si è premurato di prevedere un’apposita disciplina intertemporale volta a rendere applicabile le modifiche peggiorative ai soli fatti commessi dopo l’entrata in vigore dell’intervento di riforma [15]. Tale difetto di disciplina transitoria ha causato un “diffuso disagio” avvertibile, sia nelle sentenze di merito che hanno ritenuto di doversi discostare dall’indirizzo dominante, sia nella già menzionata sentenza con cui la Cassazione ha incidentalmente evidenziato la necessità di riconsiderare il proprio consolidato orientamento interpretativo, sia, da ultimo, nell’elevato numero di ordinanze di remissione di questioni di legittimità costituzionale. Di qui la Corte costituzionale ha deciso, nel metodo, di individuare il rimedio alla violazione dei parametri costituzionali nella dichiarazione di illegittimità [continua ..]


4. Il principio di irretroattività in relazione alle pene accessorie e alle “norme processuali ad effetti sostanziali”

I giudici di legittimità hanno risolto la questione interpretativa sottoposta al loro vaglio stabilendo con chiarezza che il principio di legalità della pena preclude l’applicazione delle disposizioni dell’art. 445, comma uno e comma 1 ter, c.p.p., ai fatti commessi prima della data di entrata in vigore della l. n. 3 del 9 gennaio 2019. A sostegno di questa conclusione la Cassazione, per un verso ha richiamato il principio di irretroattività così come sancito, sia a livello costituzionale dall’art. 25, comma 2, sia a livello sovranazionale dall’art. 7, par. 1, secondo periodo, Cedu, dall’art. 15, par. 1, secondo periodo, del Patto Internazionale sui diritti civili e politici, nonché dall’art. 49, par. 1, seconda preposizione, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea; per l’altro ha recepito le conclusioni a cui è pervenuta la già menzionata sent. n. 32/2020 della Corte costituzionale, ribadendo l’applicabilità di detto principio anche in riferimento agli istituti riguardanti l’esecuzione della pena per i reati in materia di pubblica amministrazione. Nello specifico i giudici di legittimità hanno ritenuto che le argomentazioni utilizzate in detta pronuncia possano pacificamente estendersi anche a tutte le regole di diritto processuale idonee ad incidere concretamente sulla commisurazione del trattamento punitivo aggravandolo e, di conseguenza, anche alle disposizioni di cui all’art. 445, comma 1, c.p.p. e 445, comma 1 ter, c.p.p. riguardanti la vicenda in questione. La ratio ispiratrice dell’approdo interpretativo della Consulta è da rinvenire infatti nella necessità di garantire una ragionevole prevedibilità delle conseguenze a cui il soggetto agente si esporrà trasgredendo il progetto penale, da considerare quale limite ineludibile al legittimo esercizio del potere politico che innerva il concetto stesso di Stato di diritto, incentrato sul postulato di una «legge pensata per regolare casi futuri». A tal proposito si impone una lettura in termini sostanzialistici e non meramente formali degli interventi di riforma legislativa, per cui ogni qualvolta questi ultimi non si limitino ad introdurre mere modifiche delle modalità esecutive della pena prevista dalla legge al momento del reato, ma comportino una vera e propria trasformazione della natura della [continua ..]


5. L’estensione del concetto di “materia penale” alla luce del postulato della “calcolabilità giuridica” e della prevedibilità delle conseguenze sanzionatorie

Nella sentenza in commento la Cassazione ha dunque ulteriormente declinato il concetto di “materia penale”, facendo riferimento a «norme processuali ad effetti sostanziali che aggravano il trattamento sanzionatorio» e che, come tali, vanno sussunte nell’ambito del principio di legalità ed in particolare nel suo corollario dell’irretroattività. Nell specifico è stato implementato il recente indirizzo interpretativo secondo cui tutte le disposizioni che aggravano il trattamento sanzionatorio e che minano la certezza di libere scelte d’azione rientrano necessariamente nell’ambito dell’art. 25, comma 2, Cost., tema che richiama la ben nota vicenda Scoppola e l’applicabilità dell’art. 7 Cedu alla norma che aveva disciplinato la riduzione di pena in caso di opzione per il rito abbreviato (nello specifico l’art. 7 del d.l. n. 341/2000, convertito, con modifiche, dalla l. n. 4/2001), ritenuta dalla Corte e.d.u. direttamente incidente sul quantum di pena irrogabile in sede di condanna [26]. Come altrettanto noto le successive vicende dei cd. “fratelli minori di Scoppola” hanno portato al­l’intervento delle sezioni unite della Cassazione, le quali hanno richiamato il principio secondo cui la regola fissata dall’articolo due, comma quattro, c.p., con riferimento al mutamento di disciplina della pena, intanto può operare, in quanto la fattispecie complessa (trattamento punitivo più favorevole-norma processuale di accesso al rito) risulti essere state integrata in tutte le sue componenti durante la vigenza della lex mitior intermedia [27]. Di conseguenza, tornando al caso di specie, l’irrogazione di una pena accessoria a seguito delle nuove disposizioni previste dalla cd. ex Cirielli si pone in contrasto con il divieto di retroattività anche laddove la modifica normativa sia entrata in vigore al momento della richiesta di applicazione della pena. A tal proposito la Cassazione espressamente afferma, richiamando ancora una volta la sentenza n. 32 della Corte costituzionale, che «la portata generale del principio di legalità e del divieto di retroattività presidiano, in linea generale, non solo il momento della scelta processuale dell’imputato, ma anche il momento della condotta: ed è in questo momento che l’agente deve avere un quadro completo delle conseguenze alle [continua ..]


NOTE