Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
G. Giappichelli Editore

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Diritto al silenzio e procedure amministrative: timidi passi verso un pieno riconoscimento dell'art. 24, comma 2, Cost. (di Matteo Rampioni, Dottore di ricerca in Procedura penale – Università degli studi di Roma “Tor Vergata”)


Con la sentenza in commento, la Corte costituzionale, aderendo alla concezione sostanzialistica dell’illecito, condivisibilmente estende le garanzie del processo penale (dunque anche il diritto al silenzio) a quelle procedure che possono concludersi con l’irrogazione di una sanzione di natura punitiva.

Right to silence and administrative procedures: timid steps towards full recognition of article 24, comma 2, Cost.

With the sentence in comment, the Constitutional Court, adhering to the substantial conception of the offense, extends all the guarantees of the criminal process (therefore also the right to silence) to those procedures that can end with the imposition of a sanction considered criminal.

Nuove frontiere per il nemo tenetur se detegere La Consulta dichiara l’incostituzionalità dell’articolo 187-quinquiesdecies T.U.F., nella parte in cui consente alla Banca d’Italia o alla Consob di sanzionare il soggetto passivo dell’accertamento fiscale che si rifiuta di rispondere a domande da cui possono emergere responsabilità in ordine ad un illecito passibile di sanzioni amministrative (di carattere punitivo), ovvero ad un reato. [Omissis] Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza del 16 febbraio 2018, la Corte di cassazione, sezione seconda civile, ha sollevato – accanto alle questioni di legittimità costituzionale già definite da questa Corte con la sentenza n. 112 del 2019 – questioni di legittimità costituzionale dell’art. 187-quinquiesdecies del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 (Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, ai sensi degli articoli 8 e 21 della legge 6 febbraio 1996, n. 52), nel testo originariamente introdotto dall’art. 9, comma 2, lettera b), della legge 18 aprile 2005, n. 62 (Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dal­l’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee. Legge comunitaria 2004), «nella parte in cui detto articolo sanziona la condotta consistente nel non ottemperare tempestivamente alle richieste della CONSOB o nel ritardare l’esercizio delle sue funzioni anche nei confronti di colui al quale la medesima CONSOB, nell’esercizio delle funzioni di vigilanza, contesti un abuso di informazioni privilegiate». La disposizione è censurata in riferimento agli artt. 24, 111 e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione all’art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU), e all’art. 14, paragrafo 3, lettera g), del Patto internazionale sui diritti civili e politici (PIDCP), nonché in riferimento agli artt. 11 e 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali del­l’Unione europea (CDFUE). 1.1. Il giudizio a quo trae origine da un procedimento sanzionatorio avviato dalla Commissione nazionale per le società e la borsa (CONSOB) nei confronti di D. B., all’esito del quale sono state irrogate a quest’ultimo le seguenti sanzioni amministrative: a) una sanzione pecuniaria di 200.000 euro in relazione all’illecito amministrativo di abuso di informazioni privilegiate previsto dall’art. 187-bis, comma 1, lettera a), del d.lgs. n. 58 del 1998, nella versione vigente all’epoca dei fatti, con riguardo all’acquisto, effettuato da D. B. nel febbraio 2009, di 30.000 azioni di una società quotata della quale era socio e consigliere di amministrazione, sulla base del possesso dell’informazione privilegiata relativa all’imminente lancio di un’offerta [continua..]

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SOMMARIO:

1. La questione - 2. Il diritto al silenzio nella fase pre-procedimentale. Evoluzione giurisprudenziale - 3. Risvolti - 4. Diritto al silenzio e responsabilità amministrativa dell’ente - 5. Conclusioni - NOTE


1. La questione

Con la sentenza n. 84/2021 la Consulta dichiara l’incostituzionalità dell’articolo 187 quinquiesdecies T.U.F. [1], nella parte in cui consente alla Banca d’Italia o alla Consob di sanzionare il soggetto passivo dell’accertamento che si rifiuta di rispondere a domande da cui possono emergere responsabilità in ordine ad un illecito amministrativo (di carattere punitivo), ovvero ad un reato. La questione nasce da alcune sanzioni pecuniarie ed interdittive (relativamente all’illecito di «insider trading») irrogate ad un consigliere di una società quotata in borsa che si avvale della facoltà di non rispondere alle domande postegli dalla Consob su operazioni finanziarie sospette. L’interessato ricorre sollecitando la Suprema Corte a promuovere l’incidente di costituzionalità rispetto all’art. 187 quinquiesdecies T.U.F., e sostenendo che l’obbligo, sia di presentazione, che di risposta all’autorità amministrativa, sarebbe incompatibile con le garanzie offerte dalla Costituzione e dalla Cedu [2]. La Corte, ritenendo fondata la questione, emette un’ordinanza con cui evidenzia che la norma censurata presenta motivi di frizione con i seguenti parametri costituzionali e sovranazionali [3]. In primo luogo, con l’art. 24, comma 2, Cost. Si rileva infatti che, visti i possibili effetti dell’accer­ta­mento (sanzioni, sia amministrative di natura “punitiva”, sia propriamente penali), il soggetto passivo dovrebbe godere di tutte le tutele inerenti al diritto di difesa nei procedimenti penali. Tra queste, appunto, la facoltà «di non collaborare alla propria incolpazione». Poi, la disposizione censurata contrasterebbe con il «principio della parità delle parti» sancito dal­l’art. 111, comma 2, Cost. atteso che «il dovere di collaborare con la CONSOB in capo a colui che dalla stessa CONSOB venga sanzionato per l’illecito amministrativo di cui all’art. 187-bis [del d.lgs. n. 58 del 1998] non sembra […] compatibile con la posizione di parità che tale soggetto e la CONSOB debbono rivestire nella fase giurisdizionale di impugnativa del provvedimento sanzionatorio» [4]. Inoltre, i giudici rimettenti dubitano della conciliabilità della disciplina censurata con l’art. 117, comma 1, Cost. in ragione [continua ..]


2. Il diritto al silenzio nella fase pre-procedimentale. Evoluzione giurisprudenziale

Nel processo penale il diritto al silenzio rappresenta «il diritto a non essere costretti a rendere dichiarazioni (auto) incriminanti» [9]. Sebbene costituisca un canone ormai definitivamente acquisito della civiltà giuridica occidentale [10], trova espresso riconoscimento soltanto nel Patto internazionale sui diritti civili e politici dove all’art. 14, par. 3, lett. G) si stabilisce che a ciascun individuo accusato di un reato è assicurata la garanzia di non essere costretto a deporre contra se. Invero, né la Costituzione, né la Convenzione Europea dei diritti dell’Uomo, né la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, prevedono una specifica norma che tuteli letteralmente il principio in esame. Quanto al contesto convenzionale, il diritto al silenzio trova ampio risalto nella giurisprudenza della Corte edu. [11] che ne individua, sia, uno degli elementi cruciali dell’«equo processo», non potendo essere negato neppure in nome dell’interesse pubblico alla repressione dei reati; sia, della presunzione di innocenza garantita dall’art. 6, comma 2, Conv. [12]. La ratio risiede nella protezione dell’imputato contro una coercizione abusiva da parte dell’autorità, al fine, inter alia, di evitare errori giudiziari. Anche l’ordinamento italiano, per il tramite della Corte costituzionale [13], lo ascrive al rango di corollario dell’inviolabilità, tanto, del diritto di difesa, di cui all’art. 24, comma 2, Cost. (anche nella sua accezione di “autodifesa passiva”, intesa come facoltà di difendersi senza fornire elementi in proprio danno [14]), quanto della presunzione di non colpevolezza di cui all’art. 27, comma 2, Cost., essendo nel processo penale l’onere della prova in capo all’accusa (è l’imputato a scegliere se e come contro-dedurre con elementi difensive le accuse [15]). Mentre sul terreno processual-penalistico il riconoscimento del diritto al silenzio è «assoluto» [16], più complessa risulta l’espansione della portata del nemo tenetur se detegere alla fase pre-procedimentale. Per molti anni, invero, si assiste ad un disallineamento tra Giudice di Strasburgo e Corte costituzionale. Da un lato, la Corte edu., secondo la concezione sostanzialistica della nozione di illecito penale (che si [continua ..]


3. Risvolti

Come accennato, l’importanza della sentenza in commento non risiede solo nell’estensione del diritto al silenzio alla fase degli accertamenti amministrativi; rileva, altresì, per gli effetti che potrebbe produrre sul terreno del processo penale. Anticipando al massimo il momento di estensione delle garanzie difensive, non solo, si superano, come si vedrà di qui a breve, le questioni interpretative relative all’art. 220 disp. att. c.p.p. (con specifico riferimento al momento di applicazione delle regole codicistiche all’attività d’indagine amministrativa), ma si consente di porre un rimedio alla cattiva prassi di utilizzare, indiscriminatamente nell’ambito del processo penale gli atti provenienti da indagini extra-penali comprese, dunque, le dichiarazioni auto-accusatorie. Come è noto, l’art. 220 disp. att. c.p.p. stabilisce che: «quando nel corso dell’attività ispettiva e di vigilanza emergono indizi di reato, gli atti necessari per assicurare le fonti di prova e raccoglierne quant’altro possa servire per l’applicazione della legge penale sono compiuti con l’osservanza delle disposizioni del codice». Già da una prima lettura, si evidenzia come la disposizione sia incentrata sul momento dell’emer­sione degli indizi di reato. Da qui in poi, infatti, si determinano rilevanti effetti in sede penale: innanzitutto, la trasformazione del tipo di indagine, da semplice verifica amministrativa si converte in una vera e propria investigazione giudiziaria. Poi, la mutazione delle regole applicabili, una volta emersi gli indizi di reato non vi è più spazio per modalità di accertamento diverse da quelle stabilite dal codice di rito. Infine, il regime di utilizzabilità degli atti assunti durante l’accertamento: tutto ciò che emerge prima degli indizi di reato può essere assunto, sia in sede procedimentale, che processuale; tutto ciò che, invece, si forma dopo l’emergere degli indizi deve rispettare le regole del codice di rito [34]. Sebbene il legislatore del 1988 dichiari di voler disciplinare in chiave garantistica il rapporto tra attività amministrativa di accertamento e procedimento penale, la norma, così come scritta, non consente di stabilire cosa si intende col termine «indizi di reato» [35], determinando incertezze con riferimento al [continua ..]


4. Diritto al silenzio e responsabilità amministrativa dell’ente

C’è da chiedersi ora se è consentita un’estensione in bonam partem del dictum costituzionale anche alle procedure amministrative che coinvolgono le società e dalle quali potrebbe derivare una responsabilità “penale” delle stesse. In particolare, bisogna domandarsi se gli amministratori o i dipendenti di una società, nell’esercizio delle proprie funzioni, possano godere o meno del diritto al silenzio senza far incorrere l’ente in una pesante sanzione amministrativa. Quando il dichiarante è colui che potrebbe subire un procedimento penale dal quale può derivare la responsabilità dell’ente secondo la disciplina del d.lgs. n. 231/2001, il problema è agevolmente risolto proprio dall’esposizione alla procedura criminale della persona fisica amministratore o dipendente; pertanto, qui la decisione della Corte appare pienamente applicabile, con effetti di trascinamento a beneficio dell’ente. Del resto, opera un’identità del regime sanzionatorio previsto, sia per le persone fisiche, che per le società. Invero, anche l’art. 187 quinquiesdecies, comma 1 ter, T.U.F., alla stregua dell’art. 187 quinquiesdecies T.U.F. prevede una sanzione pecuniaria che, andando da euro diecimila fino a euro cinque milioni» (salvo maggiorazioni dovute ad un elevato fatturato dell’ente o della società), assume connotati punitivi. Poi, non si trascuri che la sagoma processuale è esattamente la medesima con adozione di principi comuni  [44]: non sembrerebbe ragionevole applicare diversamente la regula juris all’ente ed alla persona fisica determinando per il primo effetti pregiudizievoli scongiurati per la seconda. Infine, emerge l’impossibilità di scindere la responsabilità penale-amministrativa dell’ente dalle scelte imprenditoriali poste a fondamento delle strategie aziendali che costituiscono la fonte della responsabilità e della sanzione punitiva connessa. Se è vero, infatti, che in materia di corporate crime l’azienda è considerata come un’unità imprenditoriale autonoma, non rilevando le singole condotte dei dipendenti; è altrettanto vero che, al fine di accertare la responsabilità dell’ente, l’autorità amministrativa deve confrontarsi necessariamente con il personale societario (amministratori o [continua ..]


5. Conclusioni

Nonostante la sentenza in commento compia rilevanti passi in avanti in tema di riconoscimento delle garanzie difensive (ristabilendo, come accennato, un minimo di fair-play investigativo), si ritiene tuttavia che, al fine di eliminare completamente le incertezze gravitanti attorno alla disciplina de qua, sia necessario riformulare la norma. In particolare, sembrerebbe opportuno: da un lato, eliminare dal corpus normativo l’obbligo di cooperazione con la Consob e la Banca d’Italia; dall’altro, individuare un momento tassativo a partire dal quale, anche nell’ambito dei procedimenti amministrativi (dunque, non solo, per gli accertamenti compiuti dagli ispettori della Consob o della Banca d’Italia), si applicano le garanzie di cui all’art. 24, comma 2, Cost. In merito al primo aspetto, essendo il diritto al silenzio espressamente ed implicitamente tutelato a livello convenzionale anche nell’ambito delle procedure amministrative, poco chiare risultano le ragioni che inducono il legislatore italiano ad inserire tale obbligo all’art. 187 quinquiesdecies T.U.F., per quanto modulato dagli interventi delle due Corti. Tale obbligo risulta, peraltro, ancor più assurdo ove messo in relazione col fatto che anche nelle procedure amministrative, l’onere della prova ricade in capo l’amministrazione (Consob, Banca d’Italia, Agenzia delle Entrate) che vuol far valere il proprio diritto [45]. Relativamente al secondo profilo, sembrerebbe opportuno estendere le garanzie difensive sin dal­l’inizio dell’attività ispettiva e/o di vigilanza, indipendentemente dal fatto che l’indagine possa assumere connotati penali. Solo anticipando le tutele difensive è possibile porre un freno alla discrezionalità amministrativa nell’acquisizione dei dati rilevanti nel rispetto della consapevole partecipazione del soggetto passivo.


NOTE