Forgiato dalla giurisprudenza europea quale garanzia fondamentale dell’individuo, posta altresì a tutela del giusto processo, il canone di prevedibilità delle decisioni giudiziarie costituisce il precipitato tecnico del fenomeno di progressiva espansione del diritto giurisprudenziale tra le “fonti” dell’ordinamento interno. Da quest’angolo visuale, il presente lavoro esamina le ricadute applicative del principio di prevedibilità anche alla luce della funzione di nomofilachia esercitata dalla Corte di cassazione.
Formed by European jurisprudence as a fundamental guarantee of the individual, which also protects the due process of law, the canon of foreseeability of judicial decisions constitutes the technical precipitate of the phenomenon of progressive expansion of jurisprudential law among the "sources" of the domestic legal system. From this perspective, the present work examines the application of the principle of predictability also in the light of the nomofilachy function exercised by the Court of Cassation.
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1. Declino della legge, eterogeneità dei paradigmi normativi e diritto di fonte giurisprudenziale - 2. La vocazione garantista del canone di prevedibilità nella giurisprudenza delle Corti sovranazionali - 3. Instabilità dei precedenti europei e smagliature interpretative della prassi domestica - 4. La linea sottile fra nomofilachia e precedente giudiziario vincolante - 5. Dalla prevedibilità alla predizione del futuro responso giurisdizionale? - NOTE
Accostarsi con rigore al tema della prevedibilità delle decisioni giudiziarie in materia penale implica muovere dalla consapevolezza che l’esigenza di riflettere su tale argomento cresce in misura inversamente proporzionale al declino dei principi di certezza e prevedibilità del diritto positivo. Nella prospettiva odierna, invero, ha perso vigore il postulato della legge formale intesa «quale ideale regolativo astratto, dotato di coerenza e sistematicità, quale fonte monopolistica del diritto e quale peculiare espressione della sovranità statuale» [1]. Tuttavia, proprio un simile assioma ha permesso sinora di confidare nella tendenziale uniformità degli esiti decisori assunti in aderenza alla fattispecie legale. Quest’ultima, fungendo da paradigma unificante la genericità dei casi simili, ha portato il giudice a decidere la controversia attraverso meccanismi razionali di tipo sillogistico, caratterizzati dalla automatica e rassicurante conformità tra la sentenza pronunciata e la previsione normativa volta a disciplinare la vicenda oggetto di scrutinio [2]. In un sistema di tal fatta, risultava, pertanto, superfluo interrogarsi sulla possibilità o meno di preventivare il contenuto delle decisioni giurisprudenziali, ancor prima del loro venire in essere nel caso singolo. Ogni dubbio in proposito veniva, appunto, fugato dal richiamo al «concetto di “fattispecie”, la cui “solidità” è sempre stata assunta come presidio garantistico di uguaglianza e certezza» [3] del diritto e delle opzioni decisorie rese, in applicazione di esso, nei confronti dei consociati [4]. Si tratta, però, di uno scenario decisamente non più attuale. La suddetta impostazione «squadrata, statica, monolitica, lineare, gerarchicamente ordinata» [5] del diritto positivo è, infatti, progressivamente entrata in crisi a cagione di una molteplicità di fattori che hanno inciso in termini, quantitativi e qualitativi, sulla portata della stessa nozione di «legalità ufficiale» [6] accolta dall’ordinamento interno. Il pensiero corre, sotto il primo profilo, all’incremento numerico delle fonti di normazione secondaria che, sempre più di frequente, integrano o addirittura fondano, di per sé sole, la fattispecie incriminatrice [7]. Si assiste, [continua ..]
Per intrattenersi sulla problematica delineata, vanno affrontate alcune pregiudiziali questioni definitorie. Nello specifico, occorre decifrare l’esatto significato e la portata operativa che assume il concetto racchiuso nella formula lessicale della «calcolabilità» [30] anticipata dei pronunciamenti giurisdizionali. Implicito corollario del progressivo spostamento della funzione nomopoietica «dalle parole della legge alle ricostruzioni interpretative» [31] che di essa offrono gli operatori del diritto [32], la nozione di prevedibilità degli esiti giudiziali affonda le proprie radici nel terreno della legalità giurisprudenziale di marca europea. In tale ambito, l’assenza di «fattispecie, ossia di regole suscettibili di indicare in modo preciso i fatti capaci di produrre determinate conseguenze giuridiche» [33], ha, infatti, reso necessario che le Corti sovranazionali aderiscano ai propri precedenti giudiziari, così da garantire una tendenziale stabilità dei relativi opinamenti e produrre, per tale via, regulae iuris vincolanti, in quanto idonee a creare un ragionevole affidamento in ordine agli effetti delle condotte poste in essere dai consociati [34]. Ciò chiarisce subito la ragione per la quale il valore della prevedibilità degli epiloghi giudiziari rinviene il proprio fondamento normativo nell’art. 7 Cedu, secondo cui nessuno può essere punito per un fatto che, prima della sua commissione, «non costituiva reato secondo il diritto interno o internazionale». Simile previsione, enunciando il principio di legalità convenzionale «non già in termini di (stretta) riserva di legge, bensì di (più ampia) riserva di diritto» [35], vale, nell’ordinamento europeo, ad includere espressamente l’opera ermeneutica della giurisprudenza tra le fonti di produzione delle norme in materia di giustizia penale [36]. Ne consegue, giocoforza, che il divieto di retroattività sfavorevole, inferibile dal predetto art. 7 Cedu, finisce per estendere il proprio raggio d’azione anche agli imprevedibili overruling interpretativi a carico dell’individuo [37]. Una volta riconosciuto che il formante giurisprudenziale riveste un autentico ruolo creativo nel sistema delle fonti [38], diviene, in effetti, consequenziale imputare alla giurisprudenza [continua ..]
Così delineata, la fisionomia massimamente garantista del canone di prevedibilità delle decisioni giudiziarie, sancito in sede sovranazionale, sconta, però, un limite di fondo all’atto di importarne gli effetti in ambito domestico. Suddetto limite risiede nella incerta eterogeneità dei criteri, prescelti dagli stessi giudici europei, onde verificare se un singolo esito interpretativo possa o meno essere ritenuto ragionevolmente prevedibile agli occhi del destinatario [68]. Simile incertezza, minando la coerenza complessiva del case-law europeo elaborato sul punto [69], indebolisce, infatti, la relativa «forza di penetrazione all’interno dei sistemi nazionali» [70]. Almeno tre sono, all’evidenza, le differenti unità di misura impiegate, in plurime occasioni, dalla Corte di Strasburgo per saggiare la prevedibilità del responso giurisdizionale sottoposto al proprio scrutinio. Stando ad un primo criterio, di tipo soggettivo, la facoltà, in capo ai ricorrenti, di prevedere l’epilogo giudiziario che li riguardi va verificata alla luce della peculiare qualifica eventualmente rivestita dagli stessi, cui consegue uno specifico dovere di conoscenza rafforzata [71], dapprima, del rischio-reato e, poi, della decisione di condanna ad esso correlata [72]. In questo senso, l’appartenenza dell’interessato ad una determinata cerchia di destinatari altamente qualificati si traduce in un indice assoluto [73] di prevedibilità, da parte del medesimo soggetto, della conclusione rassegnata dal decidente. Ciò, sia pure al cospetto di un quadro normativo e giurisprudenziale non ancora ben definito in ordine agli stessi elementi costitutivi della fattispecie incriminatrice ritenuta in sentenza [74]. In prospettiva esattamente antitetica, la Corte di Strasburgo ha rinvenuto, invece, proprio nella sussistenza di una norma precisa ovvero di stabili precedenti ermeneutici volti a qualificare penalmente la condotta scrutinata, un secondo fattore sintomatico della possibilità di prevedere il contenuto del decisum giurisdizionale. Si passa, così, da un «giudizio di prevedibilità [del tutto] personale» [75] all’impiego di un criterio di misurazione prettamente oggettivo, in forza del quale il Collegio europeo verifica se il ricorrente sia posto in condizione di prefigurarsi le conseguenze [continua ..]
Alla luce di simili inconvenienti in punto di adeguamento effettivo della giurisprudenza interna al precetto europeo di prevedibilità delle decisioni giudiziarie, ben si comprende l’esigenza di garantire ancor prima, in sede nazionale, assetti interpretativi tendenzialmente stabili e uniformi nello scrutinio delle singole questioni controverse. Al riguardo, d’altronde, è sufficiente far leva su una osservazione semplicissima. La dimensione europea di tutela giurisdizionale dei diritti può manifestarsi concretamente solo in virtù di una specifica doglianza proponibile dall’interessato «dopo l’esaurimento delle vie di ricorso interne» [91]. Pertanto, anche al fine di invocare la predetta tutela con riferimento al diritto dell’imputato ad un epilogo giudiziario prevedibile, occorre muovere dalla amara constatazione che tale diritto sia stato ormai definitivamente violato con la sentenza irrevocabile emessa all’esito del processo domestico [92]. In diversificata prospettiva, lo sforzo di assicurare nell’ordinamento interno una maggiore omogeneità interpretativa sulle medesime questioni, giocando d’anticipo rispetto all’emissione di pronunciati giurisdizionali contrastanti, è in grado di prevenire il rischio di violazioni indebite della garanzia di prevedibilità delle conseguenze giuridiche della condotta oggetto di accertamento. Così da riconoscere in maniera equanime ai soggetti coinvolti «una protezione efficace ed effettiva dei loro diritti» [93]. Si tratta di assunto ineccepibile in linea di principio, ma che, tuttavia, non trova una corrispondenza altrettanto perfetta con la realtà della prassi applicativa. È storia nota, infatti, la frequente disarmonia di vedute con cui gli organi giurisdizionali investiti della cognizione di una determinata controversia si approcciano all’esegesi delle disposizioni normative in essa rilevanti. Soprattutto in sede di legittimità, il sindacato relativo ad un medesimo profilo giuridico registra ormai da tempo la compresenza di «differenti orientamenti (alle volte sideralmente distanti) tra le varie sezioni» [94] della Cassazione, sino ai casi limite dei contrasti ermeneutici rinvenibili all’interno dello stesso collegio giudicante e addirittura nell’ambito di un’unica udienza [95]. Simili e [continua ..]
Prospettiva, quest’ultima, senza dubbio virtuosa, ma con una postilla. La stabilità degli indirizzi giurisprudenziali, favorita dalla esegesi unificante delle Sezioni Unite, non deve, però, trasformare surrettiziamente il momento ermeneutico in attività creativa di prescrizioni inespresse dal dettato normativo vigente o persino contrarie alla disciplina ipotizzata dal legislatore [120]. Bisogna, cioè, che la nomofilachia interpretativa assicurata dal collegio esteso della Cassazione continui a fungere da presidio di «uguaglianza attraverso la fedele applicazione della legge» [121] preesistente, senza consegnare «al vertice del potere giudiziario il consolidarsi di formule sostitutive o anticipatorie delle fonti di produzione normativa» [122]. In tale evenienza, la decisione del supremo consesso, impropriamente assurta al rango para-legislativo [123], per un verso, porrebbe in grave crisi l’effettività del principio di cui all’art. 101, comma 2, Cost. [124], che vuole il giudice soggetto soltanto alla legge [125], quale espressione del primato democratico [126]. L’impossibilità per la sezione semplice investita del caso, di contraddire il diritto giurisprudenziale elaborato a sezioni unite, equivarrebbe, infatti, ad assoggettare il singolo collegio giudicante (anche) alla volontà dell’organo giurisdizionale superiore, «slegat[o] da qualsiasi rappresentatività» [127]. Il che, a Costituzione invariata, non è evidentemente ammissibile [128]. Per altro verso, l’eventuale approdo nomofilattico recante una regula iuris del tutto nuova e inedita rispetto al quadro normativo di riferimento finirebbe per svilire la stessa vocazione garantista del canone di prevedibilità delle decisioni, cui un’accentuata nomofilachia pure vorrebbe ispirarsi. Destituito di una base giuridica formale che ne riconduca il senso a quello fatto palese dalle parole della legge, l’arresto giurisprudenziale vincolante, lungi dal garantire all’accusato un epilogo giudiziario prevedibile, giacché rispettoso di regole sostanziali e processuali predefinite in sede normativa, arroga, di fatto, alla giurisprudenza stessa il potere di condizionare a piacimento l’esito della contesa [129]. Con il conseguente effetto di ridurre il precedente ermeneutico di riferimento a [continua ..]