Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
G. Giappichelli Editore

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Ribaltamento della decisione in appello, rinnovazione istruttoria e controllo di legittimità


CORTE DI CASSAZIONE, SEZIONI UNITE, SENTENZA 28 APRILE 2016, N. 27620, PRES. CANZIO; REL. CONTI

I principi contenuti nella Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, come viventi nella giurisprudenza consolidata della Corte e.d.u., pur non traducendosi in norme di diretta applicabilità nell’ordinamento nazionale, costituiscono criteri di interpretazione (‘convenzionalmente orientata’) ai quali il giudice nazionale è tenuto a ispirarsi nell’applicazione delle norme interne.

La previsione contenuta nell’art. 6, par. 3, lett. d), della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uo­mo e delle libertà fondamentali, relativa al diritto dell’imputato di esaminare o fare esaminare i testimoni a carico e ottenere la convocazione e l’esame dei testimoni a discarico, come definito dalla giurisprudenza consolidata della Corte e.d.u., la quale costituisce parametro interpretativo delle norme processuali interne, implica che, nel caso di appello del pubblico ministero avverso una sentenza assolutoria, fondata sulla valutazione di prove dichiarative ritenute decisive, il giudice di appello non può riformare la sentenza impugnata nel senso dell’affermazione della responsabilità penale dell’imputato, senza avere proceduto, anche d’ufficio, a norma dell’art. 603, comma 3, c.p.p., a rinnovare l’istruzione dibattimentale attraverso l’esame dei soggetti che abbiano reso dichiarazioni sui fatti del processo ritenute decisive ai fini del giudizio assolutorio di primo grado.

L’affermazione di responsabilità dell’imputato pronunciata dal giudice di appello su impugnazione del pubblico ministero, in riforma di una sentenza assolutoria fondata sulla valutazione di prove dichiarative ritenute decisive, delle quali non sia stata disposta la rinnovazione a norma dell’art. 603, comma 3, c.p.p., integra di per sé un vizio di motivazione della sentenza di appello, ex art. 606, comma 1, lett. e), c.p.p. per mancato rispetto del canone di giudizio ‘al di là di ogni ragionevole dubbio” di cui all’art. 533, comma 1, c.p.p.. In tal caso, al di fuori dei casi di inammissibilità del ricorso, qualora il ricorrente abbia impugnato la sentenza di appello censurando la mancanza, la contraddittorietà o la manifesta illogicità della motivazione con riguardo alla valutazione di prove dichiarative ritenute decisive, pur senza fare specifico riferimento al principio contenuto nell’art. 6, par. 3, lett. d), della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, la Corte di cassazione deve annullare con rinvio la sentenza impugnata.

Gli stessi principi trovano applicazione nel caso di riforma della sentenza di proscioglimento di primo grado, ai fini delle statuizioni civili, sull’appello proposto dalla parte civile.

[Omissis]   RITENUTO IN FATTO   1. Con sentenza del 14 ottobre 2010, la Corte di appello di Brescia, su impugnazione del Pubblico Ministero, in riforma della sentenza assolutoria pronunciata dal Tribunale di Mantova, ha dichiarato Tapas Kumar Dasgupta colpevole del delitto di cui agli artt. 81, secondo comma, e 629, primo comma, cod. pen 1.1. Al Dasgupta era stato contestato di avere, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, con richiesta della somma di euro 5.000 rivolta a Rakibul Sheikh, alla cui dazione aveva subordinato la consegna del nulla osta da lui ottenuto per l’ingresso in Italia del cittadino bengalese Mizanur Rahman, nipote dello Sheikh, e successivamente, con richiesta di una ulteriore somma di denaro, alla cui dazione aveva subordinato la sottoscrizione di un contratto di lavoro per il Rahman, necessario per l’ottenimento di un permesso di soggiorno, costretto lo Sheikh a versare in totale la somma di euro 7.500, di cui euro 4.500 il 2 maggio 2008 ed euro 3.000 il 6 dicembre 2008 (fatto commesso in Castiglione dello Stiviere dall’aprile 2008 al 6 dicembre 2008). Il Dasgupta era stato arrestato in flagranza, nell’atto di ricevere dallo Sheikh una busta chiusa in cui, d’intesa con la polizia, quest’ultimo aveva riposto banconote dell’importo complessivo di euro 3.000, previamente fotocopiate. 1.2. Il Tribunale aveva assolto il Dasgupta reputando insufficiente la prova circa la commissione del fatto estorsivo, contestato dall’imputato, il quale, quanto alla somma di euro 4.500, riferiva che essa gli era stata consegnata dallo Sheikh, in parte, pari a 3.000 euro, a titolo di restituzione di un precedente prestito, e, per la restante parte, pari a curo 1.500 euro, sulla base di un libero accordo, a titolo di anticipo per consentirgli di stipulare un nuovo contratto di locazione per un’abitazione più ampia, nella quale potere ospitare il nipote bengalese. Quanto alla ulteriore richiesta di denaro, essa era stata giustificata dall’imputato, nella sola misura di euro 1.000, pari all’importo della cauzione di due mensilità da corrispondere al locatore della nuova casa. Ulteriori elementi di conferma della versione dell’imputato erano stati individuati dal Tribunale nelle dichiarazioni rese dalla moglie Falguni Dasgupta, che aveva riferito di avere a suo tempo consegnato lei stessa allo Sheikh la somma di euro 3.000 in prestito, nonché nella disdetta del contratto di locazione inviata dal Dasgupta nel luglio del 2007, circostanza per la quale non poteva escludersi che lo Sheikh avesse promesso all’imputato di aiutarlo nelle spese del contratto di locazione. 1.3. Nell’atto di appello, il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Mantova censurava l’omesso vaglio critico della tesi sostenuta dal Dasgupta, caratterizzata da vistose contraddizioni e incompatibilità logiche, e [continua..]

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