Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
G. Giappichelli Editore

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Punire o reintegrare? Prospettive minime sul regime sanzionatorio contro gli enti (di Adolfo Scalfati)


Il contributo verte sulla possibilità di adottare nel procedimento contro gli enti le clausole che permettono risposte non tradizionali, già note nell’ambito del giudizio penale nei confronti dell’imputato.

To punish or to reintegrate? Minimum perspectives about punishment versus legal entity

The contribution relate about the possibility to adopt in proceding against legal entity the clauses that already allow non traditional answers notes in the circle of the penal judgment towards the accused.

L’ALTERNATIVA ALLA PUNIZIONE Attualmente, avanza una condivisibile linea di pensiero secondo la quale, in ottica di fondo, il catalogo delle pene vada arricchito con strumenti di risocializzazione non carcerari o non concentrati unicamente sulla sanzione pecuniaria. Il precipitato di tale prospettiva, peraltro già adottata nei segmenti giudiziari minorili e “periferici” (giurisdizione di pace), consiste sia nell’introduzione di attività (consensuali) riparatorie, sia nell’allestimento di percorsi partecipativi volontari volti a rivelare la compiuta auto-analisi del comportamento antisociale (messa alla prova), sia infine nella rapida via di fuga dal circuito giudiziario se il fatto, astrattamente illecito, non merita una condanna per la sua particolare tenuità. Naturalmente, la sostituzione alla pena tradizionale si concentra in ambiti delittuosi meno allarmanti, per quanto rappresenti un fertile terreno di sperimentazione in vista di un più sistemico ripensamento del catalogo sanzionatorio; per altro verso, è abbastanza chiaro che, se un principale obbiettivo di politica criminale risiede nell’evitare la recidiva, la minaccia della pena tradizionale, in specie per delitti più gravi, può ancora rispondere ad esigenze di prevenzione con la quale bisogna fare i conti. In ogni caso, sarebbe ingenuo pensare che il menzionato (e piuttosto recente) rinnovamento legislativo risponda ad esclusive logiche “di mediazione” tra il reo, da un lato, e la vittima o la società, dal­l’al­tro [1]. In realtà – sebbene non sia il momento per approfondite il tema – il complesso delle vigenti previsioni che attenuano l’ottica carcero-centrica già nella fase cognitiva del processo non sono frutto di un percorso meditato, come s’intuisce da alcune norme che paiono svincolare la condotta riabilitativa dal­l’influenza della vittima [2]; piuttosto, sembrano prevalere interessi di funzionalità tesi ad accrescere una logica deflattivo-negoziale della giustizia penale. Pur stando così le cose, messa alla prova dell’imputato adulto, estinzione del reato per condotte riparatorie e non punibilità per particolare tenuità del fatto rappresentano – forse di riflesso – un passo avanti verso l’idea che rieducare è meglio di punire tout court. Immaginando, ora, un trascinamento di tale tendenza tra le coordinate della disciplina relativa alla responsabilità degli enti, si può ipotizzare che anche qui emerga, non tanto la necessità di adottare misure esclusivamente punitive (patrimoniali, interdittive, ablatorie) – quasi un contrappasso verso condotte che, tramite la commissione di taluni reati, alterano gli equilibri economici –, ma l’esigenza di aprire percorsi di recupero per l’ente imputato che, [continua..]

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SOMMARIO:

L'alternativa alla punizione - Due regimi a "vasi" poco comunicanti - Possibilità di reciproche influenze: estinzione del reato per condotte riparatorie - Segue: messa alla prova e non punibilità per particolare tenuità del fatto - NOTE


L'alternativa alla punizione

Attualmente, avanza una condivisibile linea di pensiero secondo la quale, in ottica di fondo, il catalogo delle pene vada arricchito con strumenti di risocializzazione non carcerari o non concentrati unicamente sulla sanzione pecuniaria. Il precipitato di tale prospettiva, peraltro già adottata nei segmenti giudiziari minorili e “periferici” (giurisdizione di pace), consiste sia nell’introduzione di attività (consensuali) riparatorie, sia nell’allestimento di percorsi partecipativi volontari volti a rivelare la compiuta auto-analisi del comportamento antisociale (messa alla prova), sia infine nella rapida via di fuga dal circuito giudiziario se il fatto, astrattamente illecito, non merita una condanna per la sua particolare tenuità. Naturalmente, la sostituzione alla pena tradizionale si concentra in ambiti delittuosi meno allarmanti, per quanto rappresenti un fertile terreno di sperimentazione in vista di un più sistemico ripensamento del catalogo sanzionatorio; per altro verso, è abbastanza chiaro che, se un principale obbiettivo di politica criminale risiede nell’evitare la recidiva, la minaccia della pena tradizionale, in specie per delitti più gravi, può ancora rispondere ad esigenze di prevenzione con la quale bisogna fare i conti. In ogni caso, sarebbe ingenuo pensare che il menzionato (e piuttosto recente) rinnovamento legislativo risponda ad esclusive logiche “di mediazione” tra il reo, da un lato, e la vittima o la società, dal­l’al­tro [1]. In realtà – sebbene non sia il momento per approfondite il tema – il complesso delle vigenti previsioni che attenuano l’ottica carcero-centrica già nella fase cognitiva del processo non sono frutto di un percorso meditato, come s’intuisce da alcune norme che paiono svincolare la condotta riabilitativa dal­l’influenza della vittima [2]; piuttosto, sembrano prevalere interessi di funzionalità tesi ad accrescere una logica deflattivo-negoziale della giustizia penale. Pur stando così le cose, messa alla prova dell’imputato adulto, estinzione del reato per condotte riparatorie e non punibilità per particolare tenuità del fatto rappresentano – forse di riflesso – un passo avanti verso l’idea che rieducare è meglio di punire tout court. Immaginando, ora, un trascinamento di tale [continua ..]


Due regimi a "vasi" poco comunicanti

La disciplina contenuta nel d.lgs. n. 231 del 2001, quanto alle sue coordinate di fondo, nasce volutamente ambigua, al punto da far discutere animatamente sulla veste da attribuire all’illecito dell’ente, la cui morfologia appare senza dubbio complessa; all’opposto, è esplicitamente prescritto che, salvo deroghe, gli strumenti dell’accertamento siano mutuati dalle regole del processo penale. La disputa sulla natura della responsabilità (amministrativa, penale, tertium genus) produce riflessi sulla trasferibilità al settore in esame – al di là di esplicite norme che lo permettono in via frammentaria (artt. 2, 3 e 4, d.lgs. n. 231 del 2001) – degli statuti generali della legge penale, inclusi i caratteri di offensività e colpevolezza. Non si trascuri, comunque, come la presenza di un fatto di reato colpevole e antigiuridico rappresenti una rilevante “quota” del precetto legislativo che esprime la responsabilità del­l’ente; cosicché, l’assenza di uno o più elementi costitutivi della fattispecie penale impedisce, per conseguenza, l’integrazione del­l’illiceità specifica. Naturalmente, ai fini della responsabilità dell’ente, un conto è il mancato configurarsi di un fatto colpevole e antigiuridico, altro conto è l’assenza di condizioni per l’applicabilità della pena all’autore del reato “presupposto” (clausole soggettive o oggettive di non punibilità; estinzione della pena): in questo caso è più arduo sostenere che la mancata punizione del reo influenzi il giudizio sull’ente [3]. Proprio a tal riguardo, peraltro, l’art. 8, d.lgs. n. 231 del 2001 esprime un principio di autonomia della responsabilità dell’ente (rispetto a quella che colpisce l’autore del reato “presupposto”) sancendola anche quando: a) la persona fisica non è imputabile o è ignota; b) si verifica un’eventuale estinzione del reato diversa dall’amnistia. Piccoli ma speciali legami emergono, invece, sul terreno dell’accertamento giudiziario, nel senso che l’improcedibilità si estende anche alla vicenda dell’ente e la prescrizione del reato preclude la contestazione dell’illecito (artt. 37 e 60, d.lgs. n. 231 del 2001).


Possibilità di reciproche influenze: estinzione del reato per condotte riparatorie

Riprendendo i rapporti tra le menzionate formule parapunitive previste per l’illecito penale e l’im­palcatura della responsabilità degli enti, si tratta di tema sopravvenuto alla disciplina introdotta con d.lgs. n. 231 del 2001, considerato che le prime costituiscono il frutto di recenti innovazioni nel tessuto del codice penale (artt. 131-bis, 162-ter, 168-bis ss. c.p.) con le quali l’ordito positivo del 2001 non poteva misurarsi. Nondimeno, l’approfondimento di tali relazioni nasce dall’esigenza di valutare se e in che modo oggi tali formule interagiscano con la responsabilità dell’ente. Quanto all’estinzione del reato per condotte riparatorie, considerato che l’ammissibilità della formula è limitata ai reati procedibili a querela (162-ter c.p.), essa troverebbe ridotto spazio tra i “reati presupposto” richiamati dal d.lgs. n. 231 del 2001; ma la tematica potrebbe riprendere vigore se il legislatore decidesse di ampliare il catalogo degli illeciti che postulano la responsabilità degli enti, coinvolgendo in modo più massiccio le ipotesi procedibili a querela. In ogni caso, la clausola estintiva specifica sembra non interagire con la vicenda dell’ente per due ragioni: 1) per espressa esclusione dell’art. 8, d.lgs. n. 231 del 2001, laddove attribuisce rilevanza all’e­stinzione del reato per la sola amnistia; 2) a causa della disciplina speciale che richiama le condotte riparatorie (artt. 12 e 17 stesso decreto) quali premesse per attenuare il trattamento sanzionatorio [4]. Insomma, per quanto si tratti di previsione introdotta nel codice penale successivamente al composto positivo in esame – profilo che in astratto non ne escluderebbe la portata estensiva – la specialità delle disposizioni racchiuse nel d.lgs. n. 231 del 2001 rende difficile sostenere che l’estinzione riparatoria di cui beneficia la persona fisica generi analoghi effetti nei confronti dell’ente o che la clausola contemplata dal codice penale possa essere trasferita direttamente nella disciplina speciale. Un ritocco legislativo al riguardo sarebbe largamente auspicabile. Ma l’esigenza di ripensare ad un effetto estintivo per l’ente dipendente dalle cd. condotte riparatorie nasce anche da un dubbio di compatibilità costituzionale della disciplina: mettere a disposizione il profitto per la confisca, [continua ..]


Segue: messa alla prova e non punibilità per particolare tenuità del fatto

Anche l’introduzione della probation per l’imputato adulto rappresenta una forma di reazione del­l’or­dinamento diretta a fronteggiare, senza punire, la frattura sociale determinata dal reato; mo­dello già sperimentato nella procedura per i minorenni, la messa alla prova contempla un programma riabilitativo e, se possibile, il ristoro verso la vittima, quali fattori di “rielaborazione personale” del crimine su base volontaria. La struttura assume una dimensione ibrida [9]: nel produrre l’estinzione del reato per esito positivo della prova, presenta una matrice sostanzialistica; tuttavia, la natura delle norme che connota la sua adozione concreta, insieme all’ampio margine di discrezionalità giurisdizionale desumibile dalle disposizioni, affonda le radici nel terreno processuale. Non è difficile sostenere che l’estinzione del reato, determinatosi a seguito della messa alla prova adottata dall’imputato-persona fisica, non produca lo stesso effetto nel giudizio contro l’ente stante l’arti. 8, d.lgs. n. 231 del 2001, secondo cui l’amnistia è l’unica causa estintiva rilevante in entrambi i settori. Piuttosto, con uno sforzo interpretativo accidentato sul piano dei rapporti tra la disciplina penale e quella del d.lgs. n. 231 del 2001 [10] – ma assai utile sul versante della complessiva stabilità economica e del recupero sociale dell’ente – si potrebbe trasferire nella materia giudiziaria in esame, adattandola, la procedura di messa alla prova di recente conio: il programma “riabilitativo” richiesto dall’art. 168-bis c.p. potrebbe consistere, ad esempio, nella rimodulazione dei modelli di organizzazione e controllo, insieme ad una condotta riparatoria consistente nel mettere a disposizione le risorse dell’ente a scopi sociali. Considerando, peraltro, che l’accertamento della responsabilità degli enti mutua le disposizioni del codice di procedura penale, salvo deroghe esplicite o motivi d’incompatibilità, l’uniformità processuale dell’ac­certamento potrebbe in astratto non vietare la trasposizione della disciplina di genus nell’am­bito della vicenda giudiziaria dell’ente [11]. Naturalmente, si tratterebbe di soluzione-ponte nell’ottica di stimolare un intervento [continua ..]


NOTE
Fascicolo 1 - 2019