Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
G. Giappichelli Editore

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Genesi ed evoluzione della regola di giudizio in udienza preliminare (di Edoardo De Santis)


La decisione del g.u.p. sulla richiesta di rinvio a giudizio promossa dal pubblico ministero ex art. 416 c.p.p. implica un giudizio di merito sulla “serietà” dell’impianto accusatorio, operato attraverso una valutazione degli elementi probatori acquisiti e dei relativi possibili sviluppi dibattimentali in termini di “minima probabilità di colpevolezza”. Tale controllo, tuttavia, non deve sconfinare nella valutazione della fondatezza dell’accusa, che comporterebbe un giudizio sulla colpevolezza o innocenza dell’imputato, proprio del giudice della cognizione.

Roots and evolution of the no grounds to proceed judgment

The judge for pre-trial hearings gives a judgment of no grounds to proceed when allegations are insufficient and there is no possibility for a probable cause ruling, without verifying if the accused is guily or not guilty.

PREMESSA Con la sentenza che si annota la Suprema Corte ha nuovamente affrontato il tema legato alla regola di giudizio che deve sovraintendere alla decisione del giudice per l’udienza preliminare investito dalla richiesta di rinvio a giudizio promossa dalla pubblica accusa ex art. 416 c.p.p., prendendo le mosse da una puntuale ed estesa ricostruzione degli approdi giurisprudenziali sino ad oggi emersi. Discostandosi dall’orientamento che riconosce al g.u.p. un sindacato meramente “procedurale”, nettamente distinto da valutazioni attinenti al merito, l’organo nomofilattico, nella decisione in esame, evidenzia come «la sentenza di non luogo a procedere costituisca una sentenza di merito su di un aspetto processuale»: tale provvedimento ha ad oggetto una valutazione sulla sostanza degli elementi probatori raccolti dal pubblico ministero a sostegno della richiesta ex art. 416 c.p.p., senza tuttavia tramutarsi in giudizio sulla fondatezza dell’accusa e dunque sulla colpevolezza o innocenza dell’imputato. LA VICENDA Sia la Procura presso il Tribunale di Milano che la Procura Generale presso la Corte di Appello di Milano proponevano ricorso in Cassazione avverso la sentenza di non luogo a procedere emessa dal g.u.p. della medesima sede. Le accuse concernevano il pagamento di tangenti da parte di vertici di società italiane in favore del ministro algerino dell’energia, pagamenti effettuati per il tramite di fiduciari di quest’ultimo, finalizzati all’ottenimento di contratti d’appalto per la realizzazione di gasdotti, impianti industriali nonché allo sfruttamento di giacimenti petroliferi. Più in dettaglio si era ritenuto che la condotta corruttiva si fosse realizzata attraverso la corresponsione di diverse somme di denaro (per un ammontare complessivo di circa 200 milioni di dollari) per mezzo di fittizi contratti di consulenza e sovrafatturazione da parte di società sub-appaltatrici compiacenti. Solo con riferimento ai vertici di una delle due società il g.u.p. riteneva sussistenti gli elementi necessari per disporre il rinvio a giudizio; con riferimento agli altri imputati invece valutava non fossero stati acquisiti sufficienti elementi utili a provare, neppure in via induttiva, la partecipazione di questi ultimi all’attività criminosa dei primi. Alla base della pronunciata sentenza di non luogo a procedere il g.u.p., in sostanza, evidenziava come non fossero idonei i due principali elementi d’accusa ossia: a) le dichiarazioni dei due correi in quanto in larga misura contenenti informazioni acquisite de relato, non convergenti tra loro e prive di riscontri esterni specifici ed individualizzanti (neanche il contenuto delle intercettazioni di per sé non univoco era ritenuto utile in tal senso); b) i flussi di denaro tracciati poiché non oggettivamente riconducibili agli imputati [continua..]

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