Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
G. Giappichelli Editore

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L´impresa criminale tra sequestro preventivo e sistema 231 (di Gianluca Gentile, Professore associato di Diritto penale – Università degli Studi di Napoli “Suor Orsola Benincasa”)


La Cassazione ritiene legittimo il sequestro preventivo disposto nei confronti delle quote e di tutti i beni aziendali di due società, perché sarebbe stato impossibile isolare le cose strumentali alla commissione dei reati da quelle funzionali allattività imprenditoriale lecita. LA. ricostruisce levoluzione giurisprudenziale in materia, individua gli strumenti giuridici che consentono di contemperare la prevenzione dei reati con la prosecuzione dellattività economica e ragiona sui rapporti tra il d.lgs. 231 del 2001 e il sequestro preventivo.

The criminal enterprise between preventive seizure and 231 sistem

The Supreme Court considers legitimate the preventive seizure ordered against the shares and all the company assets of two companies, because it would have been impossible to isolate the things instrumental to the commission of crimes from those functional to the lawful entrepreneurial activity. The author reconstructs the evolution of the case-law, identifies the legal instruments that allow the prevention of crimes to be reconciled with the continuation of economic activity and discusses the relationship between Legislative Decree 231/2001 and preventive seizure.

La commistione tra attività lecite e illecite rende legittimo il sequestro preventivo dell’intera azienda In materia di sequestro preventivo strumentale alla confisca obbligatoria disciplinata dall’art. 452-quater c.p., quando la commistione tra attività lecite e illecite rende impossibile isolare le res strumentali alla commissione degli illeciti da quelle funzionali all’attività imprenditoriale lecita, la misura cautelare reale non può che avere ad oggetto l’integralità del compendio aziendale e delle quote, in quanto tutte strumentali alla realizzazione del delitto. [Omissis] RITENUTO IN FATTO 1. Con il provvedimento in epigrafe, il Tribunale di Catania ha rigettato il ricorso ex artt. 322 e 324 cod. proc pen. e, per l’effetto, ha confermato il decreto del 29 maggio 2020, con cui il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Catania ha ordinato il sequestro preventivo di tutti i beni aziendali e di tutte le quote e azioni sociali della [Alfa s.r.l.], [Zeta s.r.l.], [Eta s.r.l.] e [Alfa S.p.A]. nonché il successivo decreto del 31 agosto 2020, con cui il medesimo G.i.p. ha disposto il sequestro preventivo delle quote e dell’intero compendio di beni delle società [Beta s.r.l.] e [Gamma s.r.l.] in relazione all’illecito amministrativo previst[o] dall’art. 25-undecies, lett. f), d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231, in quanto strumentali a commettere i reati di attività organizzate per il traffico di rifiuti e frode in pubbliche forniture, ai sensi degli artt. 81, 110, 112, 356 e 452-quaterdecies cod. pen. 2. Con atto a firma del difensore di fiducia avv. omissis, [l’imputato] chiede l’annullamento del provvedimento per i motivi di seguito sunteggiati ai sensi dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.: 2.1. violazione di legge in relazione all’art. 321, comma 1, cod. proc. pen. e correlativo vizio di motivazione, per avere il Tribunale omesso di giustificare la finalità impeditiva ed il periculum in mora; 2.2. violazione di legge in relazione agli artt. 321, comma 2, cod. proc. pen. e art. 452-quaterdecies, comma 4, cod. pen. e correlativo vizio di motivazione, per avere il Collegio della cautela ritenuto erroneamente le società [Gamma s.r.l.] e [Beta s.r.l.] strumento essenziale della [Alfa s.p.a.] ai fini della realizzazione dell’attività illecita, non potendo la mera riconducibilità al medesimo nucleo familiare delle tre società giustificare la misura ablativa. Il ricorrente aggiunge come l’ablazione avrebbe dovuto, ad ogni modo, essere limitata ai soli mezzi di [Beta s.r.l.] e [Gamma s.r.l.], in quanto utilizzati per il trasporto illecito di rifiuti, e non essere estesa alle quote sociali ed a tutti i beni aziendali delle predette società. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile per le ragioni di seguito esposte. 2. [continua..]

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SOMMARIO:

1. La vicenda processuale - 2. L’evoluzione giurisprudenziale in materia di sequestro delle partecipazioni sociali - 3. (Segue): I limiti alla sequestrabilità - 4. Le varianti del sequestro preventivo dell’azienda - 5. L’ente intrinsecamente illecito nel sistema 231 - NOTE


1. La vicenda processuale

Nel corso di un’indagine in materia di traffico illecito di rifiuti il Tribunale di Catania conferma il provvedimento di sequestro preventivo delle quote sociali e dei beni aziendali di due società, che chiameremo Beta s.r.l. e Gamma s.r.l., ritenendole funzionalmente destinate alla consumazione continuativa e sistematica dei reati realizzati dalla Alfa s.p.a. L’ordinanza viene impugnata in Cassazione per violazione di legge e omessa motivazione: rispetto al sequestro di cui all’art. 321, comma 1, c.p.p., mancherebbe l’indicazione della finalità impeditiva e del periculum in mora; in merito al sequestro strumentale alla confisca obbligatoria prevista dall’art. 452-quaterdecies, comma 5, c.p. e relativa alle cose «che servirono a commettere il reato o che costituiscono il prodotto o il profitto del reato», si eccepisce che la mera riconducibilità al medesimo gruppo familiare delle tre società coinvolte non basterebbe a dimostrare la strumentalità di Beta e Gamma all’attività criminale esercitata da Alfa; in ogni caso, la misura ablativa avrebbe dovuto riguardare esclusivamente gli autoveicoli utilizzati per il traffico illecito di rifiuti, non anche le quote sociali e i beni aziendali. Il ricorso è dichiarato inammissibile perché il ricorrente non avrebbe documentato la titolarità delle quote sociali e il suo ruolo di legale rappresentante delle società proprietarie dei beni sequestrati, e neppure indicato il suo interesse a ottenere la restituzione di cose a lui non appartenenti [1]. La Cassazione specifica inoltre che il sequestro è stato disposto ai sensi dell’art. 321, comma 2, c.p.p., e quindi il giudice di merito non sarebbe tenuto a motivare in punto di periculum in mora, «coincidendo esso con la confiscabilità del bene oggetto di sequestro». Infine, nessuna censura meriterebbe l’estensione del sequestro alle quote sociali e ai beni aziendali, avendo il Tribunale di Catania adeguatamente dimostrato che le tre società componevano «un’organizzazione imprenditoriale unitaria» e che non era possibile «isolare le res strumentali alla commissione degli illeciti da quelle invece funzionali all’attività imprenditoriale lecita».


2. L’evoluzione giurisprudenziale in materia di sequestro delle partecipazioni sociali

Forgiato dalla giurisprudenza in base a una rielaborazione creativa delle norme sul sequestro penale poste dal c.p.p. del 1930 [2], regolamentato dai codificatori del 1988 in maniera piuttosto scarna [3], il sequestro preventivo si caratterizza per il suo statuto duttile e per la sua vocazione espansiva. Qualunque elemento strutturale dell’istituto dà infatti adito a incertezze interpretative: la nozione di reato idonea a legittimare il sequestro, più precisamente se essa rimandi al solo profilo oggettivo del­l’illecito oppure richieda anche accertamenti circa l’autore del fatto e la sua colpevolezza [4]; la consistenza del fumus boni iuris, che oscilla dal livello minimo dell’astratta possibilità di sussumere il fatto concreto in una fattispecie incriminatrice a quello massimo della gravità indiziaria richiesta per le misure cautelari personali; la fisionomia del periculum in mora, che è stata delineata dal legislatore (seppure con formule elastiche) nel caso del sequestro impeditivo, ma non in quello strumentale alla confisca [5]; l’identificazione dei beni suscettibili di sequestro, affidata alla generica nozione di pertinenza al reato o alle multiformi descrizioni delle cose confiscabili ai sensi dell’art. 240 c.p. e della miriade di ipotesi speciali sparse nell’ordinamento [6]. A proposito dell’oggetto del sequestro, un dubbio era inizialmente sorto in relazione alle partecipazioni sociali non incorporate in un titolo materiale (da ora, solo per brevità, quote) [7]. Parte della dottrina aveva infatti escluso che il sequestro penale potesse vertere su beni immateriali come il saldo del conto corrente o appunto le quote, argomentando che l’art. 344 c.p.p. 1930 parlava di consegna, custodia e conservazione della cosa sequestrata, e quindi era tutto declinato nel senso della materialità [8]. A ridosso dell’entrata in vigore dell’attuale codice di rito, si osservò che l’art. 321 c.p.p. mirava a superare quelle «prassi devianti» che in precedenza avevano esteso la portata del sequestro ai beni immateriali [9]. La tesi trova in effetti un appiglio nei lavori preparatori, laddove si legge che nel sequestro impeditivo si è posto «l’accento sui fini della misura cautelare più che sulla caratterizzazione delle cose materiali su cui essa è [continua ..]


3. (Segue): I limiti alla sequestrabilità

Questa rilettura giurisprudenziale, che ha sostanzialmente equiparato la cosa sequestrabile alla nozione civilistica di bene piuttosto che a quella penalistica di cosa mobile [18], è stata infine recepita dal legislatore, che nel 2009 ha esplicitamente riconosciuto la possibilità di sequestrare azioni, quote sociali e strumenti finanziari dematerializzati (art. 104 norme att. c.p.p., nella versione introdotta dalla l. n. 15 luglio 2009, n. 94) [19]. Ciò non vuol dire che si possa procedere indiscriminatamente. Innanzitutto, bisogna tener conto dei limiti che il sequestro preventivo incontra nell’ambito delle società di persone, dove la quota è intrinsecamente legata alla persona del socio a meno che tutti i soci si siano espressi nel senso della libera circolazione delle partecipazioni sociali [20]. Più in generale, occorre verificare puntualmente la sussistenza degli altri requisiti strutturali della misura. Per quanto attiene al sequestro impeditivo, occorre innanzitutto verificare il requisito della pertinenza, e cioè la strumentalità dell’utilizzo della quota alla commissione del reato [21]. Per fare un esempio, in materia di reati fallimentari si è chiarito da tempo che non esiste un divieto nei confronti dell’im­prenditore fallito di proseguire al di fuori del fallimento la precedente attività o di intraprenderne una nuova, e che di conseguenza la c.d. società di comodo non presenta in sé una «pericolosità intrinseca» che denoti una strumentalità specifica, strutturale ed essenziale tra utilizzo delle quote e reato contestato [22]. Ne consegue che il sequestro delle quote di una società di comodo è legittimo nella misura in cui si dimostri che in essa sono confluiti i beni della società fallita [23]. Oltre che la pertinenza (e ovviamente il fumus) va valutata anche la sussistenza di un periculum concreto e attuale, dimostrando «con ragionevole certezza» che la cosa potrà essere utilizzata per la commissione di ulteriori reati o per l’aggravamento o la prosecuzione di quello per cui si procede: concretezza e attualità che potrebbero mancare, ad esempio, se i poteri del titolare delle quote da sequestrare sono fortemente limitati da una interdittiva antimafia [24]. La cautela reale va graduata in funzione dello scopo da perseguire, [continua ..]


4. Le varianti del sequestro preventivo dell’azienda

Premesso che non è sequestrabile la società in quanto tale [34], il sequestro dell’azienda si distingue da quello inerente alle quote perché riguarda tutti i beni e i rapporti giuridici funzionalmente destinati allo svolgimento dell’attività d’impresa [35]. Anche in questo caso, è stata la giurisprudenza a elaborare progressivamente una figura poi codificata dal legislatore del 2009 nel già citato art. 104 norme att. c.p.p. In un primo momento la Cassazione esaminò un’ipotesi di esercizio abusivo di attività bancaria, e in tale contesto statuì che l’esigenza di impedire la prosecuzione dell’attività illecita legittimava il sequestro dei locali, dei mobili e della documentazione utilizzati per la raccolta del risparmio e l’esercizio del credito, a prescindere dai possibili danni che tale provvedimento poteva comportare [36]. Successivamente si è posto il diverso problema dei beni aziendali strumentali allo svolgimento di una attività lecita, ma utilizzabili anche a fini illeciti. Dopo alcune pronunce di segno contrario [37], i giudici di legittimità hanno formulato il principio di diritto riecheggiato anche nella sentenza in esame, e cioè che il sequestro può riguardare un’intera azienda «quando vi siano indizi che anche taluno soltanto di tali beni sia, proprio per la sua collocazione strumentale nel complesso, in qualche modo utilizzato per la consumazione del reato»; ciò varrebbe anche per le aziende che svolgono delle normali attività imprenditoriali accanto a traffici illeciti, sia perché una cosa è difficilmente utilizzata sempre e soltanto per un’unica finalità, sia e soprattutto perché «proprio le attività esercitate in parte per scopi legali e come tali apparenti sono intuitivamente fonti di rischi maggiori per la collettività (e la tutela di questa non può non prevalere su quella dell’attività economica)» [38]. Restano ovviamente fermi anche in questo caso i requisiti di legittimità della cautela reale che abbiamo già ricordato: nell’ipotesi impeditiva, deve esserci accanto al fumus un nesso strumentale non occasionale tra azienda e reato commesso [39] e un periculum da apprezzarsi in termini di concretezza e attualità [40]; [continua ..]


5. L’ente intrinsecamente illecito nel sistema 231

La convivenza di sequestri non perfettamente coincidenti per struttura e funzioni può però dar luogo a problemi di coordinamento tra i diversi sistemi. Lo esemplifica la vicenda in esame, nella quale le società titolari dei beni sequestrati sono considerate contemporaneamente come oggetti/strumenti del traffico illecito di rifiuti contestato all’imputato/persona fisica e come soggetti potenzialmente responsabili ai sensi del d.lgs. n. 231 del 2001. Come sappiamo, il sequestro preventivo dei beni aziendali di Beta e di Gamma è stato disposto ai sensi dell’art. 321, comma 2, c.p.p. in combinato disposto con l’art. 452-quaterdecies, comma 5, c.p., che configura una confisca obbligatoria, eseguibile anche per equivalente, «delle cose che servirono a commettere il reato o che costituiscono il prodotto o il profitto del reato, salvo che appartengano a persone estranee al reato». Il delitto previsto dall’art. 452-quaterdecies c.p. è altresì attribuito alla competenza della Procura distrettuale ai sensi dell’art. 51, comma 3-bis, c.p.p., e quindi rientra tra i reati – matrice della confisca allargata regolata dall’art. 240-bis, c.p. Ancora, l’art. 25-undecies, comma 2, lett. f), d.lgs. n. 231 del 2001, inserisce il traffico illecito di rifiuti tra i reati – presupposto della responsabilità degli enti, ammesso che il richiamo all’abrogato art. 260, d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, possa estendersi alla disposizione che ne ha riprodotto il contenuto, e cioè l’art. 452-quaterdecies c.p [61]. Cerchiamo di orientarci in questo labirinto normativo. Il sequestro in funzione dell’art. 452-quaterdecies, comma 5, c.p. e la confisca allargata si rivolgono alle persone fisiche, possono attingere beni sociali se si riesce a superare la clausola che salvaguarda il terzo estraneo al reato [62] e trovano la loro disciplina esecutiva nell’art. 104-bis norme att. c.p.p., rispettivamente ai commi 1-bis e 1-quater [63]. Passiamo ora alla responsabilità da reato degli enti. In quest’ambito è possibile sottoporre a sequestro i beni sociali ai sensi degli art. 19 e 53, d.lgs. n. 231 del 2001 [64], e cioè in vista della confisca del prezzo o del profitto del reato oppure di un loro equivalente, senza dover dimostrare che la società detiene fittiziamente i beni dell’imputato/persona [continua ..]


NOTE
Fascicolo 5 - 2021