Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
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Sanzioni amministrative e misure di sicurezza erronee nella sentenza negoziale: la soluzione extra legem delle Sezioni unite (di Alessandra Sanna, Professore associato di diritto processuale penale – Università di Firenze)


Com’era prevedibile, l’incongruità della drastica cesura dei casi di ricorso in Cassazione contro la sentenza di patteggiamento si è ben presto manifestata nella prassi. Un primo quesito riguarda l’ammissibilità dell’istanza nel­l’ipotesi di mancata o illegittima applicazione delle sanzioni amministrative accessorie, mentre un altro attiene ai rimedi configurabili dinanzi a misure di sicurezza personali o patrimoniali disposte senza un’adeguata motivazione. In entrambi i casi le Sezioni unite cercano di salvaguardare l’indispensabile presidio di legalità all’interno del rito, ma lo fanno attraverso una forzatura del dato normativo e sistematico condotta oltre i limiti concessi all’interprete, sicché le soluzioni proposte, fragili nelle fondamenta e poco persuasive, non riescono a fornire una guida capace di orientare nella complessa disciplina. Molto meglio sarebbe stato arrendersi all’inevitabile constatazione del carattere incostituzionale dei limiti racchiusi all’art. 448, comma 2 bis, c.p.p.

Administrative sanctions and property security measures application in plea bargaining: the unlawful judgment of the Supreme Court

 

As was to be expected, the inconsistency of the drastic limits to appeal to the Supreme Court against the plea-bargaining judgment has clearly manifested itself in the case law. A first question concerns the admissibility of the request in the event of failure or unlawful application of administrative sanctions, another question relates to remedies against personal or property security measures provided without adequate justification. In both cases, the Court tries to safeguard the indispensable legality within the plea bargaining, but it does so by forcing the normative text to an extent not allowed to the interpreter, so that the proposed solutions, fragile in their foundations and not very persuasive, fail to provide a guide in the complex discipline. It would have been much better to surrender to the inevitable conclusion of the unconstitutional nature of the limits contained in art. 448, comma 2-bis, c.p.p.

Patteggiamento e limiti al ricorso per cassazione A seguito dell’introduzione della previsione di cui all’art. 444, comma 2 bis, c.p.p., è ammissibile il ricorso per cassazione per vizio di motivazione avverso la sentenza di applicazione di pena con riferimento alle misure di sicurezza, personali o patrimoniali, che non abbiano formato oggetto dell’accordo delle parti. [Omissis]   RITENUTO IN FATTO 1. Il Giudice della udienza preliminare del Tribunale di Reggio Emilia, con sentenza emessa il 9 novembre 2017, ha applicato, ai sensi dell’art. 444 c.p.p., a S.G.A., N.G. e N.V., la pena concordata di anni quattro di reclusione e di Euro diciottomila di multa per il delitto di cui al D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 73, comma 1, contestato a tutti gli imputati quanto alla detenzione di 527,5 grammi di sostanza stupefacente del “tipo cocaina” (sub b) e, al solo N.V., anche in relazione alla cessione di 3,18 grammi di sostanza stupefacente del “tipo verosimilmente cocaina” (capo a). Con la stessa sentenza gli imputati sono stati dichiarati interdetti dai pubblici uffici per cinque anni, nei loro confronti è stata ordinata l’espulsione dal territorio dello Stato a pena espiata ai sensi del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 86 e, infine, è stata disposta, oltre alla distruzione della sostanza stupefacente in sequestro, la confisca, D.L. 8 giugno 1992, n. 306, ex art. 12-sexies convertito, con modificazioni, dalla L. 7 agosto 1992, n. 356, del denaro in sequestro in considerazione della sua sproporzione rispetto al reddito di N.V. e N.G., entrambi, per loro ammissione, disoccupati e privi di “beni di fortuna”. 2. Avverso detta sentenza, depositata in udienza con motivazione contestuale, hanno proposto ricorso per cassazione tutti gli imputati. 2.1. S.G.A., ricorrendo per mezzo del suo difensore, ha chiesto l’annullamento della sentenza in relazione alla disposta applicazione della misura di sicurezza della espulsione, articolando due motivi, con i quali ha denunciato, rispettivamente, violazione di legge e mancanza e illogicità della motivazione. Secondo la ricorrente, il Giudice, omettendo di osservare il dettato normativo del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 86 sì come inciso dall’intervento della Corte costituzionale che, con sentenza n. 58 del 1995, lo ha dichiarato parzialmente incostituzionale, ha ordinato di ufficio la sua espulsione a pena espiata senza accertare la sussistenza della pericolosità sociale e indicare in sentenza i relativi presupposti, limitandosi a richiamare la sua attuale posizione cautelare e, illogicamente, trascurando di apprezzare le autorizzazioni concessele per svolgere attività lavorativa esterna e il suo serbato rispetto delle prescrizioni imposte, oltre alla sua incensuratezza e alla confessione resa, pur valorizzate ai fini della concessione delle circostanze attenuanti generiche. 2.2. [continua..]

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SOMMARIO:

1. I nodi interpretativi della disciplina speciale ex art. 448, comma 2-bis, c.p.p. - 2. Gli errori nell’applicazione di sanzioni amministrative accessorie - 3. Le misure di sicurezza disposte in carenza di motivazione: l’assetto previgente e gli attuali indirizzi interpretativi - 4. L’artificiosa costruzione delle Sezioni unite - NOTE


1. I nodi interpretativi della disciplina speciale ex art. 448, comma 2-bis, c.p.p.

Non occorrevano doti divinatorie per prevedere il corto circuito che avrebbe ben presto innescato l’improvvida chiusura ai ricorsi avverso la sentenza patteggiata introdotta dalla novella n. 103/2017. Il destino infausto era già scritto nel D.N.A. di una disciplina che, pur mutuata da un diritto pretorio formatosi in dispregio della trama normativa e sistematica, sfida in modo aperto il dettato costituzionale. Ma le voci di dissenso – per la verità rare – sono state coperte dall’ansia legislativa di relegare definitivamente il rito nel perimetro di una negozialità pressoché affrancata da (scomodi) presidi giudiziali, secondo i desiderata di orientamenti sedimentatesi in giurisprudenza nel trentennio di vita del codice, da sempre cedevoli sul terreno della legalità. Attraverso l’innesto dell’art. 448, comma 2 bis, c.p.p. il legislatore ha inteso recepire i confini entro cui la prassi ha amputato nel tempo l’area delle condizioni di ammissibilità del ricorso avverso la sentenza patteggiata, trasformandole in altrettanti limiti alla ricorribilità oggettiva della pronuncia. L’avventurosa mossa, condotta sul filo dell’art. 111, comma 7, Cost., avrebbe dovuto essere, quantomeno, sorretta da solide ricostruzioni teoriche, in grado di giustificare il vulnus inferto alla garanzia sovraordinata. L’intero edificio pare invece fondarsi sull’idea, mutuata dall’estro creativo della giurisprudenza, per cui l’accordo pattizio, una volta perfezionatosi, implichi la “rinuncia ad ogni questione od obiezione di qualsiasi natura” [1]. Ma il postulato suona meramente assertivo perché ispirato a canoni meta-giuridici, riconducibili a generici doveri di fair play processuale e privi di puntuali riferimenti normativi [2]. In tal senso la richiesta di pena concordata esprimerebbe una volontà abdicativa ad avanzare censure che investano gli elementi posti a fondamento dell’accordo. Non importa che di siffatta volontà non vi sia traccia nel dettato codicistico, essa apparterrebbe alla sfera dei contenuti, per così dire, impliciti del patto [3] e varrebbe come rinuncia allo ius poenitendi [4], rivolto, in quanto tale, al mutamento di un assetto ritenuto non soddisfacente rispetto agli interessi della parte. Baciata dalla fortuna, la costruzione gode di un indiscusso dominio: da musa [continua ..]


2. Gli errori nell’applicazione di sanzioni amministrative accessorie

Un primo profilo controverso riguarda la ricorribilità della pronuncia negoziale affetta da vizi concernenti la mancata o errata applicazione delle sanzioni amministrative accessorie. La soluzione negativa espressa da un primo indirizzo della Suprema Corte vanta a suo favore un solido argomento: l’art. 448, comma 2 bis, c.p.p., nell’individuare “in modo tassativo e derogatorio i casi di ricorso”, detta una disciplina di carattere speciale che interdice l’applicazione delle regole generali ex art. 606, comma 1, c.p.p. L’inequivoco dato testuale trova riscontro nell’intentio legis rintracciabile nei lavori preparatori alla novella del 2017, dove si esprime senza mezzi termini “un giudizio di immeritevolezza della attuale e troppo ampia ricorribilità per cassazione”. Assai meno persuasivi gli argomenti a sostegno della compatibilità dell’assetto descritto con la cornice di garanzie sovraordinate: l’inattaccabilità dei vizi concernenti le sanzioni accessorie si giustificherebbe alla luce della volontà espressa con la scelta del rito, implicante l’accettazione del peculiare regime d’impugnazione anche riguardo «ai punti della sentenza che, pur estranei all’accordo, siano tuttavia ragionevolmente prevedibili» [8]. In sintesi, la volontà abdicativa implicita nella scelta del rito si estenderebbe al diritto ad impugnare misure neppure includibili nell’accordo, in virtù della loro peculiare caratteristica di discendere necessariamente dalla pronuncia di condanna per previsione di legge. Sfuggirebbero così al sindacato di legittimità omissioni ed errori in ordine a misure vincolanti per lo stesso giudice, in aperto dissidio con il canone di legalità. Non a caso la giurisprudenza previgente alla riforma Orlando si è sempre schierata a favore non solo della puntuale motivazione [9], ma pure dell’incon­dizionata ricorribilità dei punti della sentenza negoziale concernenti tal genere di sanzioni [10]. A difesa di quegli approdi muove il contrapposto indirizzo giurisprudenziale [11], sul quale convergono le Sezioni unite. In particolare, secondo la Corte, il perno dell’orientamento restrittivo – il margine di prevedibilità delle sanzioni amministrative – non vale a garantirne la tenuta costituzionale. La caratteristica, intrinseca [continua ..]


3. Le misure di sicurezza disposte in carenza di motivazione: l’assetto previgente e gli attuali indirizzi interpretativi

Ancora più artificiosa, se è possibile, la costruzione offerta delle Sezioni unite riguardo ad un altro nodo spinoso: l’ammissibilità del ricorso avverso l’epilogo negoziale manchevole o carente di motivazione circa la sussistenza dei presupposti applicativi di una misura di sicurezza personale o patrimoniale. Qui la soluzione negativa vanta un argomento testuale insormontabile per l’interprete: mentre gli errori in materia di sanzioni accessorie sono semplicemente ignorati dal catalogo ex art. 448, comma 2 bis, c.p.p., quelli afferenti alle misure di sicurezza sono considerati expressis verbis, ma solo se riconducibili alla sfera dell’illegalità. Vi rientrano, quindi, i provvedimenti caratterizzati dalla “radicale estraneità al sistema”, mentre la misura prevista dalla legge, ma applicata in assenza di presupposti giustificativi, integra una causa di legittimità, in quanto tale irrilevante alla tregua della disposizione in discorso. All’esplicita volontà legislativa si arrende un primo indirizzo giurisprudenziale sviluppatosi con specifico riguardo alla confisca facoltativa disposta in assenza di congrua motivazione, ritenuta incensurabile alla luce del dato positivo. Una diversa chiave di lettura si risolverebbe, infatti, in una interpretatio abrogans del dettato codicistico, intesa a rievocare «obblighi di motivazione e correlati mezzi di ricorso previgenti alla riforma» [12]. Qui si allude all’assetto di equilibri consolidatosi nel diritto vivente prima dell’interpolazione dell’art. 448, comma 2 bis, c.p.p., inteso a sottrarre le statuizioni in materia allo schema motivazionale tipico della sentenza concordata, sì da garantirne la sindacabilità. Quegli approdi muovevano dal­l’estraneità delle misure di sicurezza al nocciolo dei profili c.d. essenziali del patto – ovvero nomen iuris, circostanze, quantum di pena – come individuato dall’art. 444, comma 2, c.p.p. e costituente l’oggetto necessario della valutazione pattizia in vista del progetto di sentenza da sottoporre al giudice. Al nocciolo essenziale possono poi eventualmente afferire le clausole c.d. accessorie [13], attinenti alla sospensione condizionale della pena o a taluna delle sanzioni ex art. 317 bis c.p.p., al cui accoglimento le parti possono subordinare il consenso al rito (art. 444, commi 3 e 3 bis [continua ..]


4. L’artificiosa costruzione delle Sezioni unite

Per smussare le punte di più aspro contrasto tra l’art. 448, comma 2 bis, c.p.p. e la cornice costituzionale non resta dunque che imboccare l’impervia strada della coesistenza di due distinti regimi di impugnazione – speciale e ordinario – cui sarebbe sottoposta la sentenza negoziale, a sua volta parcellizzata in più “statuizioni”, riconducibili in alternativa alla matrice negoziale o giudiziale della decisione. Ed è a questa titanica impresa che si risolvono le Sezioni unite nello sposare, almeno per grandi linee, un ulteriore indirizzo interpretativo. La costruzione ricalca in parte quella allestita a sostegno della ricorribilità delle sanzioni amministrative illegittime, ma qui il perno argomentativo – l’eccentrica struttura frazionata della pronuncia negoziale – subisce un adattamento che ne mostra ulteriormente la corda. Si è detto come le misure di sicurezza, risultino estranee all’area normativamente definita degli elementi oggetto del negoziato quoad poenam, sicché in entrambe le varianti del rito il potere decisorio del giudice sul punto non subisce i vincoli “quantitativi” cui viceversa soggiace con riferimento al nucleo degli elementi essenziali od accessori del patto. Né la circostanza che in concreto, come talora accade nella prassi, le misure di sicurezza siano incluse nell’accordo vale a configurare un siffatto vincolo. I limiti alle ordinarie prerogative giudiziali, nell’esprimere il bilanciamento tra poteri dispositivi e presidio di legalità su cui riposa la tenuta costituzionale del rito, non possono che discendere da espresse valutazioni legislative. Così le occasionali convergenze espresse in merito alle misure di sicurezza sono destinate a restare fuori dal nucleo essenziale del patto. Esse non incidono sul complessivo assetto di equilibri cui le parti approdano nell’esercizio dei poteri negoziali e che solo giustifica la scelta del rito speciale. Gli eventuali petita al riguardo si configurano invece come istanze satelliti rispetto al patto, che il giudice potrà disattendere, esibendone le ragioni, senza che il diniego sul punto travolga l’intero accordo. È piuttosto la decisione inversa, ossia l’accoglimento del progetto inclusivo degli accordi sulle misure di sicurezza, a determinare nel diritto vivente un cospicuo effetto, non già sullo spettro [continua ..]


NOTE