La Corte di legittimità impone al difensore che intende utilizzare il proprio personal computer durante un colloquio in carcere con l’assistito in vinculis, di indicare le ragioni che ne rendono indispensabile l’impiego per soddisfare le esigenze difensive. Si tratta però di un obbligo non previsto da alcuna disposizione normativa, determinando così una ingiustificata compressione delle prerogative difensive.
The Court of Cassation imposes on the defender who wants to use personal computer during an interview with the accused in vinculis, to indicate the reasons that make it use indispensable for defensive needs. However the obligation in speech is not established by any rule, thus cousing unjustified defense compression
La vicenda - I colloqui difensivi. Lineamenti - Limiti all'impiego del personal computer - Prospettive europee e considerazioni conclusive - NOTE
La decisione in analisi affronta un tema inedito: l’impiego di strumenti informatici durante i colloqui in carcere tra il difensore e il proprio assistito. La questione – oltre a riguardare profili strettamente pratici – stimola interessanti riflessioni di carattere generale sul diritto di difesa dell’accusato in vinculis. È utile in proposito una preliminare sintetica disamina della vicenda. Il difensore del custodito chiedeva al direttore del carcere prima e, in seguito, al giudice per le indagini preliminari, di essere autorizzato a usare il proprio personal computer durante un colloquio, per consentire al suo assistito di visionare gli atti del procedimento in formato digitale e predisporre una memoria difensiva. Respinta la richiesta con ordinanza, il difensore ricorreva per cassazione. Nello specifico, si censurava il provvedimento poiché impediva all’indagato di esaminare il fascicolo processuale contenuto nel supporto informatico, determinando così una violazione del diritto di difesa. Il ricorso è stato dichiarato manifestamente infondato: pur non essendovi alcuna previsione ostativa all’uso di dispositivi informatici nel corso di un colloquio in carcere, era onere del difensore illustrare le ragioni che rendevano indispensabile l’ausilio di tali strumenti; sotto questo profilo – nel caso di specie – l’istanza si rivelava deficitaria, non avendo il ricorrente indicato i motivi per cui il diritto di difesa «poteva essere assicurato in concreto solo attraverso l’ingresso nel carcere del computer personale» [1]. Prima di approfondire il percorso argomentativo della decisione, per meglio mettere a fuoco le questioni affrontate, è opportuno delineare in sintesi i caratteri essenziali del diritto di difesa del detenuto, con particolare riferimento alla disciplina dei colloqui.
Sin dall’inizio dell’esecuzione della misura custodiale [2], l’accusato in vinculis ha diritto di interloquire con il difensore (art. 104 c.p.p.) [3]. Si tratta di una fondamentale garanzia (art. 24, comma 2, Cost.) [4]: il colloquio mira a assicurare non solo una efficace assistenza tecnica, ma è utile «per un più consapevole esercizio della difesa personale» [5]. Sul versante delle fonti europee, la prerogativa in analisi – pur non essendo oggetto di una specifica previsione – costituisce un indefettibile corollario dell’equo processo (art. 6, comma 3, lett. b) e c) Cedu); sul punto si è osservato che «se un avvocato non potesse trattenersi con il proprio cliente e ricevere istruzioni confidenziali, la sua assistenza perderebbe molto della sua utilità, mentre lo scopo della Convenzione è diretto a proteggere diritti concreti ed effettivi» [6]. La centralità del colloquio è poi confermata dall’ordito codicistico: si tratta di un diritto assoluto, sganciato da qualsiasi limite o autorizzazione della magistratura [7]; solo in casi straordinari è possibile differirlo – per un ristretto arco temporale – rispetto al momento genetico della misura de libertate [8]. L’obiettivo della previsione – art. 104 c.p.p. – è assicurare l’esercizio del diritto di difesa, con l’obbiettivo di garantire parità di trattamento tra l’accusato detenuto e quello in libertà [9]. Da tale angolatura, per la persona attinta dalla cautela custodiale, il dialogo con il difensore è il momento essenziale per concordare le strategie difensive [10] e consentire l’esame condiviso degli atti del procedimento [11]. Volgendo, invece, lo sguardo ai colloqui difensivi del condannato detenuto, solo di recente il dato positivo – art. 18, comma 2, ord. pen. – è stato novellato [12], sancendo il diritto di conferire con il difensore sin dall’inizio dell’esecuzione della pena [13]. In realtà, la modifica normativa recepisce la risalente decisione della Corte costituzionale [14] con la quale era stata dichiarata l’illegittimità della originaria previsione – art. 18 ord. pen. – nella parte in cui non assegnava al detenuto condannato in via definitiva, il diritto di [continua ..]
Analizzate le coordinate normative dei colloqui difensivi, è possibile riflettere sui quesiti posti dalla decisione in commento: è necessario verificare se nella trama legislativa è rintracciabile una disciplina relativa agli strumenti informatici adoperabili dal difensore in carcere; in seconda battuta è indispensabile stabilire entro quali limiti tali mezzi tecnici possono essere introdotti nell’istituto di pena. Sotto il primo profilo, nessuna previsione codicistica o dell’ordinamento penitenziario regola l’ingresso di strumenti telematici negli istituti carcerari [17]; da questo punto di vista è corretto affermare, come già ricordato, che non vi è alcun divieto esplicito per il difensore di utilizzare il proprio personal computer in carcere. A tal riguardo, poi, la normativa di settore (art. 37, comma 3, d.p.r. 30 giugno 2000, n. 230 [18]) assegna ai regolamenti interni delle strutture penitenziarie il compito di delineare le modalità di identificazione delle persone ammesse al colloquio, «al fine di garantire che non siano introdotti nell’istituto strumenti pericolosi o altri oggetti non ammessi». La previsione – art. 37, comma 3, d.p.r. 230 del 2000 – tuttavia genera perplessità: in assenza di coordinate generali applicabili a livello nazionale, all’autorità penitenziaria territoriale è affidato il compito di individuare gli oggetti vietati in carcere, con l’inevitabile pericolo di scelte arbitrarie non governate da criteri precisi; alimentando così il rischio di disparità di trattamento all’interno dei diversi istituti detentivi. In tale scenario – stante l’assenza di previsioni ostative ad ammettere l’impiego di strumenti informatici – è dunque fondamentale individuare i parametri che orientano la scelta di negare (o consentire) l’ingresso in carcere del difensore con il proprio personal computer. La segnalata lacuna normativa sembra assegnare alla magistratura e agli organi carcerari poteri discrezionali che mal si conciliano con le libertà difensive, potendone determinare ingiustificate compressioni. La Corte di legittimità non esclude – in linea generale – che il difensore possa introdurre dall’esterno il suo computer. Si sostiene, però, che la richiesta di condurre strumenti informatici [continua ..]
La segnalata ostilità della magistratura all’impiego in carcere di strumenti informatici – oltre a non essere convincente per i rilievi sin qui evidenziati – sembra, sotto diversi profili, stridere con le coordinate sovranazionali. In tale scenario, il rischio – paventato dalla pronuncia in commento – che il detenuto possa accedere alla rete web mediante il computer introdotto dal difensore, mettendo così in pericolo le esigenze di sicurezza tipiche del regime carcerario, va bilanciato con le garanzie fondamentali riconosciute dalle fonti europee. In linea generale, l’art. 10 Cedu, pur assicurando il diritto di ricevere informazioni «senza ingerenza alcuna da parte delle autorità pubbliche», non impone agli Stati l’obbligo di garantire ai detenuti l’accesso a internet [24]. Sul punto, però, la Corte e.d.u. chiarisce che ogni restrizione all’impiego della rete web per la persona in vinculis, deve essere necessaria e proporzionata rispetto all’esigenze securitarie. In questa prospettiva, si reputa irragionevole vietare al detenuto di consultare siti on line per reperire informazioni di carattere giuridico (atti normativi, database giurisprudenziali, riviste specializzate) [25]: l’accesso a questi contenuti consente al recluso di rintracciare le notizie utili per l’esercizio dei propri diritti [26]. Nell’ottica dei giudici europei, dunque, l’uso di internet non sempre costituisce un pericolo per le pretese di sicurezza sottese alla restrizione della libertà personale; anzi, l’accesso ai contenuti on line va garantito al detenuto se necessario, per assicurare il diritto all’informazione prodromico all’esercizio delle prerogative difensive. Da tale angolo visuale, sembra opinabile la scelta di vietare l’utilizzo in carcere di strumenti informatici sulla base del generico richiamo [27] al pericolo che la persona in vinculis possa accedere a internet [28]; a fortiori, è criticabile la decisione di ostacolare l’uso del mezzo telematico nelle ipotesi in cui il difensore non lo impiega per servirsi della rete web [29], ma solo come contenitore di documenti digitali inerenti al procedimento [30]. Ampliando l’orizzonte alle regole che governano il giusto processo, la scelta di intralciare – con inesigibili doveri argomentativi – [continua ..]