Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
G. Giappichelli Editore

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La specificità estrinseca dei motivi di appello come requisito di ammissibilità dell'appello: la fine del favor impugnationis (di Antonino Pulvirenti)


L’autore, ricostruita la fattispecie concreta che ha portato all’assegnazione del ricorso alle Sezioni unite e dopo aver esposto serie perplessità in ordine alla sussistenza dei requisiti giustificativi di tale scelta, esamina il nucleo principale del ragionamento con il quale la sentenza, pur riconoscendo l’esistenza di una “tensione” concettuale tra gli articoli 581 e 597 c.p.p., aderisce all’orientamento secondo cui il requisito di specificità estrinseca dei motivi di impugnazione non vale solo per il ricorso in cassazione, ma anche per l’appello. Sebbene la suddetta conclusione appaia coerente con l’esigenza di attribuire all’appello una struttura compatibile con il modello accusatorio, il percorso interpretativo tracciato dalle Sezioni unite svela, ancora una volta, la tendenza di quest’ultima a sostituirsi al legislatore. Infine, l’Au­tore, nel rimarcare alcune affermazioni della sentenza idonee a delimitarne la portata (in particolare, la necessità di correlare la specificità richiesta all’atto di appello al tasso di determinatezza della motivazione della decisione impugnata), segnala la concreta possibilità che il principio di diritto elaborato dalle Sezioni unite s’inserisca in un più ampio disegno giurisprudenziale, volto a ridurre fortemente l’ambito di operatività del giudizio di secondo grado.

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The extrinsic specificity of the grounds as the admissibility requirement of the appeal: the end of favor impugnationis

The author, reconstructed the concrete case that led to the assignment of the recourse to the Plenary Court of Cassation and expressed serious doubts regard to the existence of the justificatory requirements of that choice, he examines the main reasoning through which the judgment, while acknowledging the existence of a conceptual “tension” between Articles 581 and 597 cpp, adheres to the orientation that the requirement of extrinsic specificity of the grounds of appeal applies not only to the application in cassation but also to the appeal. Although this conclusion appears to be coherent with the need to attribute to the appeal a structure compatible with the accusatory model, the interpretative path traced by the Plenary Court reveals once again the tendency of the latter to replace the legislator. Lastly, the author, pointing out certain statements of the judgment capable of delimiting its scope (in particular, the need to correlate the specificity required by the appeal with the rate of determination of the grounds of the contested decision), emphasizes the fact that the principle of law produced by the Plenary Court enters into a wider jurisprudential project aimed at greatly reducing the applicability range of the second instance judgment.

LA FUNZIONE “LEGISLATIVA” DELLE SEZIONI UNITE Con la sentenza che ci accingiamo a commentare [1] le Sezioni unite hanno risolto una questione che perdurava da troppo tempo [2] e non è da escludere che proprio il fattore tempo abbia avuto un ruolo determinante nella decisione di assegnare il ricorso al massimo organo della nomofilachia. Ripercorrendo la fattispecie processuale oggetto della sentenza, invero, si ha la nitida sensazione che il ricorso proposto dalla difesa dell’imputato non avesse i requisiti minimi per approdare ad una sezione diversa dalla settima, posto che la Cassazione avrebbe potuto rilevare una inammissibilità già maturata in sede di appello per ragioni diverse e autonome da quelle oggetto della questione di diritto approdata alle Sezioni unite [3]. Dagli stessi dati che la sentenza espone è possibile ricavare le doglianze originariamente inserite nell’atto di appello e successivamente reiterate nel ricorso in cassazione: esse attengono alla mancata applicazione nel giudizio di primo grado di provvedimenti (concessione delle attenuanti generiche e giudizio di prevalenza o equivalenza delle stesse sulle contestati aggravanti) che in realtà il giudice di prima istanza aveva puntualmente applicato. Vi erano quindi gli estremi per ritenere che l’impugnazione, al di là della questione processuale inerente alla possibilità di riferire l’aspecificità estrinseca dei motivi anche al giudizio di appello, fosse inammissibile in quanto espressamente volta a perseguire un esito perfettamente sovrapponibile a quello contestato. Inoltre, anche a voler ignorare tale aspetto, sarebbe stato agevole ritenere la questione processuale assorbita dall’esistenza di un ulteriore profilo di inammissibilità, anch’esso riconducibile alla genericità intrinseca dei motivi posti, prima dall’appellante e poi dal ricorrente, a supporto delle proprie pseudo-doglianze, giacché, sempre in base ai dati riportati dalla sentenza annotata, non si riescono ad individuare le ragioni in diritto e in fatto che sarebbero state pretermesse dal giudice di primo grado e si ha, piuttosto, la percezione di trovarsi dinanzi ad atti di impugnazione intrisi di mere clausole di stile e formule assertive a scopo meramente dilatorio. Non può dunque escludersi che i giudici di legittimità non abbiano dichiarato l’inammis­sibilità del ricorso proprio al fine di non precludersi la possibilità di enunciare un principio di diritto su una questione ermeneutica di lungo corso e di significativa rilevanza sistematica. In termini ancora più audaci, potrebbe quasi sospettarsi che i giudici di Piazza Cavour abbiano atteso la prima occasione utile per intervenire su un tema che era già stato autonomamente inserito nel loro “calendario nomofilattico”. Quello ipotizzato, del [continua..]

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Fascicolo 4 - 2017