Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
G. Giappichelli Editore

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Pena pecuniaria e nuovi schemi esecutivi (di Paolo Troisi, Professore associato di Diritto processuale penale – Università degli Studi di Roma Tor Vergata)


Nel tracciare la disciplina transitoria in materia di esecuzione delle pene pecuniarie, il legislatore delegato ha reso normalmente applicabile il rinnovato assetto ai soli fatti commessi dopo l’entrata in vigore della riforma; ciò sia per rispettare il canone costituzionale dell’irretroattività in peius, sia per rispondere alle esigenze organizzative della magistratura di sorveglianza, a fronte del prevedibile incremento del relativo carico di lavoro. Sicché, con riferimento ai reati precedentemente consumati, resta inalterato il preesistente impianto, salva la necessità di far retroagire le nuove norme di matrice sostanziale ove, in concreto, più favorevoli. Problematici sono, tuttavia, i rapporti tra la trama così coniata e la facoltà, inserita nell’art. 86, comma 1-bis, disp. att. c.p.p., di ricorrere alle modalità previste per le pene pecuniarie per eseguire la confisca di valore di beni non sottoposti sequestro (o, comunque, non specificamente individuati).

Pecuniary penalty and new enforcement methods

The transitional rules on the enforcement of pecuniary penalties provide that the new legislation applies, as a rule, only to acts committed after the entry into force of the reform. The intention is to respect the constitutional principle of non-retroactivity and to safeguard the organisational needs of the supervisory judges in the face of the foreseeable increase in its workload. Consequently, with reference to previously committed offences, the pre-existing system remains unaltered, subject to the need to make the new substantive rules retroactive where, in practice, they are more favourable. Problematic, however, are the relations between this discipline and the faculty, included in Article 86, par. 1-bis, disp. att. c.p.p., to use the modalities provided for pecuniary penalties to enforce the value-based confiscation of assets not subject to seizure (or, however, not specifically identified).

SOMMARIO:

1. Premessa - 2. L’irretroattività in malam partem - 3. L’ultrattività della previgente normativa - 4. Un nodo da sciogliere: modalità esecutive della pena pecuniaria e confisca del tantundem - NOTE


1. Premessa

Nel perseguire il fine di «restituire effettività» alla pena pecuniaria (art. 1, comma 16, l. n. 134/2021), per renderla alternativa credibile a quella detentiva [1], il legislatore delegato ne ha rivisitato l’intero procedimento esecutivo, spostando il baricentro dalla riscossione coatta (non più contemplata) [2] ai congegni (già previsti, ma implementati) che permettono di convertirne l’importo in pena sostitutiva e, in caso di mancata ottemperanza alla stessa, in eguale periodo di reclusione o arresto oppure in altra pena sostitutiva più grave (artt. 71, 102, 103 e 108 l. n. 689/1981) [3].

Alla base v’è l’abbandono dell’idea, radicata nel nostro sistema, di intendere multa e ammenda, post iudicatum, quali meri crediti da riscuotere, in favore di un nuovo modello teso a valorizzarne il carattere afflittivo, «che non viene meno per il fatto che da esse deriv[i] un reddito per l’Erario» [4]. Sicché, nel ridisegnarne la fase attuativa, i conditores sono significativamente intervenuti su presupposti e sbocchi della procedura volta a convertire la pena pecuniaria, giungendo a ribaltare il precedente assetto: «non è lo Stato a inseguire il creditore; è il condannato, autore di un reato, che è tenuto al pagamento della pena irrogata dal giudice, onde non andare incontro a conseguenze più gravi» [5].

Nel rinnovato impianto è, dunque, il mero inadempimento all’apposito ordine rivolto dal magistrato del pubblico ministero a legittimare, scaduto il termine, l’avvio della sequenza che conduce alla conversione (artt. 660 c.p.p.). Quest’ultima da potenziale appendice diviene il nucleo pulsante dell’intera vicenda, fungendo da “stimolo” al pagamento spontaneo e assurgendo, in assenza, a meccanismo punitivo sussidiario. In vista di tale obiettivo sono state inasprite le pene da conversione, sia pur con il necessario distinguo tra omesso pagamento colpevole e incolpevole.

Il radicale mutamento di prospettiva ha imposto, nel tracciare la disciplina transitoria, di «rendere normalmente applicabili le nuove disposizioni in relazione ai fatti commessi dopo l’entrata in vigore» della riforma; ciò sia per rispettare il canone costituzionale dell’irretroattività in peius, sia per rispondere alle esigenze organizzative «dell’autorità giudiziaria e, in particolare, della magistratura di sorveglianza, che vedrà aumentare il proprio carico di lavoro» [6].


2. L’irretroattività in malam partem

Si è, innanzitutto, stabilito che le modifiche alle norme di matrice sostanziale regolanti la conversione delle pene pecuniarie sostitutive (art. 71 l. n. 689/1981) e principali (Capo V della l. n. 689/1981) si applichino ai reati commessi dopo l’entrata in vigore della riforma (30 dicembre 2022), «salvo che risultino più favorevoli al condannato» (art. 97, comma 1, d.lgs. n. 150/2022).

La previsione ribadisce un principio generale: in quanto inerenti al trattamento sanzionatorio, dette norme sono soggette al divieto di retroattività (art. 25, comma 2, Cost.), se e in quanto più sfavorevoli.

In linea generale, l’intento di restituire effettività alla pena pecuniaria ha indotto il legislatore a coniare un assetto complessivamente peggiorativo rispetto al preesistente. Lo scopo di conseguire un pagamento spontaneo e tempestivo attraverso la minaccia di conseguenze più gravi, a cui ha fatto da pendant l’abbandono del sistema di riscossione coatta, è stato perseguito operando in un duplice senso: collegare l’avvio della sequenza tesa alla conversione non più alla sola insolvibilità (intesa come impossibilità di corrispondere l’importo a causa delle condizioni economiche e patrimoniali del soggetto), ma anche all’insolvenza (identificata nel mero inadempimento); rendere più afflittive, per tipologia e durata massima, le pene da conversione. Significativa è stata, sotto tale profilo, l’eliminazione della libertà controllata, di gran lunga preferita, nella prassi, al lavoro sostitutivo [7]; quest’ultimo, d’altra parte, nell’as­sumere la veste di autentica “pena sostitutiva” (e con essa l’etichetta di “lavoro di pubblica utilità”), è stato completamente rimodellato nella sua componente sanzionatoria [8]. Prevedibile è, dunque, che la nuova disciplina riceverà un’applicazione tendenzialmente irretroattiva.

Nulla esclude, tuttavia, che, in situazioni concrete, possa rivelarsi maggiormente favorevole. Si pensi al soggetto insolvibile (esposto, quindi, alla conversione in base a entrambi i regimi) che opti (o abbia optato) per il lavoro sostitutivo (pur potendo fruire della libertà controllata). In tal caso, il criterio di ragguaglio (euro 250 per ogni giorno di lavoro di pubblica utilità) e il quantum della giornata lavorativa (due ore), ora previsti dall’art. 103 l. n. 689/1981, sono migliorativi rispetto alla previgente normativa, per la quale, invece, un giorno di lavoro sostitutivo, pari di regola a una giornata a settimana, corrispondeva a euro 25 di pena pecuniaria (artt. 102 e 105 l. n. 689/1981 nella vecchia formulazione) [9]. In siffatta evenienza potrebbe, pertanto, risultare più conveniente la norma attuale [10].

Potenzialmente più favorevoli si palesano, inoltre, le modifiche agli artt. 133-ter c.p. e 55, commi 2 e 4, d.lgs. n. 274/2000. La prima ha inserito tra i parametri da considerare le condizioni patrimoniali (oltre a quelle economiche) e ha raddoppiato (sia nel minimo, che nel massimo) il numero di rate mensili in cui può essere scaglionato il pagamento; incidendo sul trattamento sanzionatorio, in quanto volta ad ampliare la possibilità di rateizzare (consentendo, così, al condannato di evitare la conversione), ha chiara indole sostanziale. La seconda ha elevato a euro 250 il criterio di ragguaglio (prima fissato in euro 12 e 25 per un giorno, rispettivamente, di lavoro sostitutivo e di permanenza domiciliare) previsto per i reati di competenza del giudice di pace, rendendo più vantaggioso il calcolo della durata della pena da conversione. Sebbene dette norme non siano richiamate nell’art. 97, comma 1, d.lgs. n. 150/2022, la loro applicabilità anche ai reati commessi ante riforma discende direttamente dall’art. 2, comma 4, c.p.; conclusione, questa, non contraddetta dalla clausola di ultrattività della previgente trama versata nel comma 2 del medesimo art. 97, clausola che – come si evince dalla formula d’esordio («fermo quanto previsto dal comma precedente») – non ha affatto l’ambizione di derogare al principio di retroattività in mitius.

È chiaro che, ove nel singolo caso dovesse materializzarsi un favor per il condannato, spetterà al magistrato di sorveglianza, a richiesta dell’interessato [11], rideterminare anche le pene da conversione già in essere o la durata del pagamento rateale in precedenza accordato, non essendo l’intervento volto a incidere sul giudicato.


3. L’ultrattività della previgente normativa

La tendenziale irretroattività delle norme sostanziali coniate dal legislatore delegato ha indotto a prevedere, per i reati commessi prima del 30 dicembre 2022, l’ultrattività, nel testo previgente, delle «disposizioni in materia di conversione ed esecuzione delle pene pecuniarie previste dal Capo V della l. n. 689/1981, dall’art. 660 c.p.p. e da ogni altra disposizione di legge» (art. 97, comma 2, d.lgs. n. 150/2022).

La scelta è stata motivata dal rischio che «l’abolizione della libertà controllata e del lavoro sostitutivo – il cui posto è preso da nuove pene da conversione – [potesse] far sorgere il dubbio sulla sorte dell’esecuzione delle pene stesse». Esito, questo, contrastante con la ratio dell’intervento normativo, improntato «a obiettivi di maggiore effettività della pena pecuniaria, ragion per cui sarebbe [stato] irragionevole caducare tutte le pene da conversione in esecuzione o interrompere i procedimenti volti alla conversione delle pene pecuniarie non pagate» [12].

Sul versante più propriamente processuale v’era un’altra esigenza (pur non esplicitata) da salvaguardare: il procedimento esecutivo della pena pecuniaria, come rimeditato dai compilatori (art. 660 c.p.p.), trae ragion d’essere dalle novità in tema di conversione; lasciare che il primo divenisse operativo (in forza del principio del tempus regit actum) senza l’applicabilità delle seconde (soggette, come detto, all’irretroattività in malam partem) avrebbe significato sfornire il sistema di mezzi coercitivi per recuperare multa e ammenda; insufficiente sarebbe stato, a tal fine, il pregresso assetto delle pene da conversione, quand’anche se ne fosse affermata l’ultrattività ravvisando una continuità normativa rispetto al novum.

Di qui, l’ulteriore opzione di conservare, riguardo alle pene pecuniarie irrogate per reati commessi prima del varo della riforma, il sistema di riscossione coatta (regolato dal d.p.r. n. 115/2002) e i compiti all’uopo assegnati a Equitalia Giustizia (ex art. 1, comma 367, l. n. 244/2007) (art. 97, comma 3, d.lgs. n. 150/2022).

Per i detti reati, insomma, resta inalterato il preesistente impianto, salva la necessità – sopra evidenziata – di far retroagire le nuove previsioni sostanziali ove più favorevoli. Si è inteso, in tal modo, realizzare anche un ulteriore obiettivo: assicurare un’entrata in vigore graduale, «dando tempo sia all’au­torità giudiziaria, sia alle competenti amministrazioni, di organizzarsi» [13].


4. Un nodo da sciogliere: modalità esecutive della pena pecuniaria e confisca del tantundem

Snodo problematico concerne l’interrelazione tra la disciplina transitoria ora esaminata e il nuovo comma 1-bis dell’art. 86 disp. att. c.p.p., che consente di ricorrere alle modalità previste per le pene pecuniarie allorché occorra eseguire la «confisca per equivalente di beni non sottoposti a sequestro o, comunque, non specificamente individuati nel provvedimento che [la] dispone» (ferma la possibilità per il pubblico ministero di rintracciare post iudicatum i beni da “aggredire”). Si tratta di verificare se le regole di diritto intertemporale sopra illustrate siano operanti anche in siffatta evenienza.

Utile, al riguardo, è risalire alla genesi della norma, riconducibile alla volontà del delegante – come esplicitata dalla Relazione finale della Commissione “Lattanzi” – di superare «tutte le problematiche emerse in giurisprudenza circa l’autorità competente ad eseguire dette confische» [14]. L’assunto di base era che la confisca del tantundem, ove non anticipata dal vincolo cautelare, comporta, per il destinatario, «l’obbligo di corrispondere un importo pecuniario» e, per lo Stato, «consiste in un titolo esecutivo per quel medesimo importo», esattamente «come accade per le condanne a pena pecuniaria» [15]. L’intento era, quindi, mutuarne la procedura di riscossione coatta [16].

Sennonché la parallela riforma del procedimento esecutivo di multa e ammenda ha, come detto, eliminato la possibilità di recupero a mezzo ruolo, spostando il baricentro sulla conversione della somma non pagata. Tale ultimo meccanismo, che affonda le radici nella disciplina sostanziale (artt. 133-ter e 136 c.p.) ed è affidato a un organo (il magistrato di sorveglianza) sprovvisto di ogni competenza sulla sanzione ablativa, risulta, però, del tutto estraneo alla struttura normativa della confisca e alla sottesa ratio. La relativa estensione, per le conseguenze che ne discendono (il tramutarsi in vincolo incidente sulla libertà personale), finirebbe per alterare la stessa fisionomia legale della misura. Non a caso, con riferimento al disposto dell’art. 735-bis c.p.p. [17], assunto ad archetipo dell’intervento [18], la dottrina ha, da tempo, escluso che il richiamo agli schemi esecutivi delle pene pecuniarie possa involgere l’istituto della conversione [19].

Ciò nonostante, il mutato scenario ripropone, prepotentemente, il quesito, non foss’altro perché la conversione è, ora, tratto qualificante del rivisitato assetto. Nella Relazione illustrativa, in effetti, se ne predica la piena operatività [20], sostenendosi che convertire la confisca per equivalente in «pena sostitutiva, finalizzata alla coercizione dell’adempimento», è «misura prevista in altri ordinamenti europei e giudicata compatibile con il diritto UE» [21].

Il problema, tuttavia, attiene non tanto all’an (rivedere la morfologia dell’adprehensio per strutturarla come autentica pena principale), quanto al quomodo (conseguire l’obiettivo agendo surrettiziamente sulle modalità esecutive). Senza poter, qui, entrare nel travagliato dibattito sulla natura giuridica della confisca di valore, può certamente evidenziarsi come la tendenza a ravvisarvi una ratio punitiva omologa a quella che connota le pene principali [22], valorizzandone le affinità proprio con la pena pecuniaria [23], non pare in linea con le differenti “fattezze” che, per come legislativamente tracciata, presenta.

L’attitudine sanzionatoria, che ne impedisce l’inquadramento come “misura di sicurezza”, è, invero, legata a un duplice aspetto: la mancanza di pericolosità dei beni che ne formano oggetto; l’assenza di un rapporto di pertinenzialità tra reato e detti beni [24]. Il che, se imprime al congegno carattere e scopi divergenti dall’ablazione diretta, di cui, comunque, rappresenta strumento vicario, e lo connota quale rimedio flessibile, volto a bypassare l’impossibilità, quand’anche transitoria e reversibile [25], di reperire quanto derivato dal reato, non gli fa smarrire i tratti di provvedimento volto a trasferire allo Stato – in funzione di riequilibrio economico [26] – la proprietà delle somme di denaro, dei beni o delle altre utilità che ne sono attinti: spetta al giudice, con la sentenza di condanna (o di applicazione di pena), indicare i cespiti di valore corrispondente al guadagno illecito, verificando semplicemente che siano nella disponibilità del reo [27]; è su questi – che la prassi (e ora lo stesso comma 1-bis dell’art. 86 disp. att. c.p.p.) ammette possano essere selezionati, in caso di omissione del giudice, anche dal promotore della fase esecutiva – che la confisca esplica i suoi effetti, generandone il passaggio al patrimonio dello Stato.

La scelta di trasformarla, limitatamente alla fase post iudicatum, in pena principale, idonea a comprimere anche la libertà personale, senza contestualmente rimodulare il relativo statuto, finisce, invece, per sfocarne il significato ripristinatorio [28], ponendosi in potenziale conflitto con i principi di legalità [29], proporzionalità e finalismo rieducativo, in quanto suscettibile di duplicare la risposta punitiva. La riprova si trae dalla stessa Relazione illustrativa, ove si rimarca che la pena da conversione sanziona non solo «il mancato pagamento (se colpevole)», ma anche «il reato commesso, sostituendosi alla pena pecuniaria principale, rimasta ineseguita» [30]. Nel caso della confisca, dunque, si aggiungerebbe pena (quella sostitutiva) a pena (quella principale inflitta).

Il profilo diviene ancora più marcato – e si prospetta una chiara tensione anche con l’art. 3 Cost. – considerando che sono irragionevolmente accomunate fattispecie differenti: il condannato che volontariamente non versi la somma ingiunta; colui che non adempia perché impossibilitato [31]. In tale ultima ipotesi, la conversione non sanzionerebbe, neanche in parte, il mancato pagamento (proprio perché incolpevole) [32], ma avrebbe finalità prettamente punitiva; se si giustifica per la pena pecuniaria, che nasce come sanzione principale [33], non rinverrebbe, all’opposto, ancoraggi riguardo alla misura ablativa [34].

Ardua da giustificare è, altresì, la disparità di trattamento a seconda che i beni siano stati o meno individuati in sentenza: nel primo caso, stando alla littera legis, la procedura volta alla conversione non è mai azionabile, pur se, nelle more della fase esecutiva, il condannato si sia spogliato dei cespiti; nel secondo, al contrario, può essere sempre avviata, nonostante i beni da attingere fossero individuabili sulla scorta delle risultanze patrimoniali penetrate in giudizio. Problematica è pure la soluzione di rimettere alla discrezionalità non vincolata dell’organo del pubblico ministero l’alternativa di attivare (o meno) la sequenza di cui all’art. 660 c.p.p., da cui dipende, in ultima analisi, la possibilità di manovre de libertate.

Al netto, comunque, dei dubbi di costituzionalità (e delle rilevanti criticità ermeneutiche e operative) che la previsione pone, l’interrogativo a cui, nella presente sede, occorre tentare di rispondere attiene al se, in quanto norma processuale, sia applicabile alle confische per reati commessi anteriormente alla sua entrata in vigore. Il quesito non può essere sciolto senza tener conto della disciplina transitoria dettata dall’art. 97 d.lgs. n. 150/2022.

Difficile è dubitare, al riguardo, che l’irretroattività in peius della rinnovata trama sostanziale regolante le pene da conversione vada riferita anche alla confisca di valore, trattandosi di chiaro intervento in malam partem, idoneo a trasformare il vincolo reale in pena (benché sostitutiva) incidente sulla libertà personale. Il nuovo assetto, dunque, non estensibile, di regola, ai reati già commessi riguardo all’esecuzione di multa e ammenda, non lo è (a maggior ragione) con riferimento alla fase attuativa della confisca per equivalente.

Più complesso è il discorso relativo alla clausola di ultrattività versata nel comma 2 del citato art. 97. In proposito, occorre distinguere.

Quanto al pregresso impianto delle pene da conversione, anch’esso costituisce, rapportato alla misura ablativa, un novum sostanzialistico, come tale soggetto al principio costituzionale di irretroattività. Certo, a fronte di confische di notevole consistenza (centinaia di migliaia o, addirittura, milioni di euro), potrebbe palesarsi di gran lunga più favorevole, considerando limiti di durata e scarsa afflittività delle precedenti sanzioni della libertà controllata e del lavoro sostitutivo [35]. Ma il tema non è se l’interessato possa invocare la retroattività in mitius del vecchio regime (di cui al Capo V della l. n. 689/1981) rispetto all’adprehensio dei propri cespiti; la scelta del modus procedendi è, infatti, rimessa alla piena discrezionalità del magistrato del pubblico ministero. Il problema è, al contrario, se, in caso di impossibilità di ricorrere alle forme tradizionali, per “incapienza” del condannato, si possa addivenire alla conversione: la risposta, per quanto sopra detto, non può che essere negativa.

In ordine, invece, all’ultrattività del previgente disposto dell’art. 660 c.p.p., per esso vale il canone del tempus regit actum [36]. Il ricorso alla procedura ivi regolata, tuttavia, una volta esclusa la possibilità di addivenire alla conversione, avrebbe senso se e in quanto permetta di accedere al recupero coatto del credito. Sotto questo profilo, però, va segnalato che il comma 3 dell’art. 97 d.lgs. n. 150/2022 limita l’ultrattività dell’abrogata disciplina di cui al d.p.r. n. 115/2002 alle sole «pene pecuniarie» (irrogate per reati commessi ante riforma); essendo norma eccezionale, diretta a estendere l’efficacia di disposizioni non più in essere, opinabile sarebbe ampliarne lo spettro sino a includervi la misura reale.

Deve ritenersi, insomma, che la facoltà, riconosciuta all’ufficio del pubblico ministero, di eseguire la confisca per equivalente di beni non sottoposti sequestro (o, comunque, non specificamente individuati) con le modalità previste per le pene pecuniarie sia esercitabile unicamente nei procedimenti per reati successivi al 30 dicembre 2022. Per quelli già consumati, si continuerà, pertanto, a seguire la prassi – ora istituzionalizzata dall’art. 86, comma 1-bis, disp. att. c.p.p. – di attuare il provvedimento su cespiti rinvenuti post iudicatum dal promotore dell’azione esecutiva.


NOTE

[1] L’obiettivo è ben espresso nella Relazione illustrativa al d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, in G.U., Serie gen., n. 245/2022, p. 430 ss. Un monito in tal senso era stato, di recente, operato da C. cost., 20 dicembre 2019, n. 279, in Giur. cost., 2019, p. 3273.

[2] Sono stati, in particolare, abrogati gli artt. 236, 237, 238 e 238-bis d.p.r. n. 115/2022.

[3] Per la disamina della nuova normativa v., tra gli altri, F. Alvino, Pena pecuniaria, in A. Bassi-C. Parodi (a cura di), La riforma del sistema penale, Milano, Giuffrè, 2022, p. 391 ss.; A. Gaudieri, Le novità introdotte nel procedimento di esecuzione, in G. Spangher (a cura di), La riforma Cartabia, Pisa, Pacini, 2022, p. 685 ss.; L. Goisis, La pena pecuniaria nella riforma Cartabia. Luci ed ombre, in D. Castronuovo-M. Donini-E.M. Mancuso-G. Varraso (a cura di), Riforma Cartabia. La nuova giustizia penale, Milano, Wolters Kluwer-Cedam, 2023, p. 31 ss.; L. Massari, La pena pecuniaria, in G. Spangher (a cura di), La riforma Cartabia, cit., p. 801 ss.; M. Miedico, La pena pecuniaria: alla ricerca della effettività, in Dir. pen. proc., 2023, p. 36 ss.; D. Perrone, L’intervento di riforma in materia di pena pecuniaria: l’obiettivo mancato dell’effettività tra vincoli di delega e difficoltà esecutive, in Leg. pen. (web), 8 febbraio 2023.

[4] Così si esprime la Relazione illustrativa, cit., p. 435.

[5] Relazione illustrativa, cit., p. 438.

[6] Cfr. Relazione illustrativa, cit., p. 467.

[7] La Relazione illustrativa, cit., p. 436, evidenzia, al riguardo, che nella prassi «il lavoro non è quasi mai richiesto, essendo assai più conveniente, per il condannato, la pena della libertà controllata», la quale «ruota attorno all’obbligo di presentarsi almeno una volta al giorno presso il locale ufficio di pubblica sicurezza».

[8] Nella Relazione illustrativa, cit., p. 365, si rimarca che il nuovo lavoro di pubblica utilità è «imperniato su attività lavorative che hanno una spiccata attitudine rieducativa e risocializzante e che, anche nella prospettiva della persona offesa dal reato e della società, sono percepite come un reale contenuto sanzionatorio, sostitutivo della pena detentiva di breve durata inflitta al condannato».

[9] Tale criterio di ragguaglio era, infatti, rimasto inalterato anche a seguito di C. cost., 12 gennaio 2012, n. 1, in Giur. cost., 2012, p. 1, che aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 102, comma 3, l. n. 681/1981, nella parte in cui stabiliva che, agli effetti della conversione delle pene pecuniarie non eseguite per insolvibilità del condannato, il ragguaglio ha luogo calcolando euro 38, o frazione di euro 38, anziché euro 250, o frazione di euro 250, di pena pecuniaria per un giorno di libertà controllata.

[10] Per fare un esempio, una multa di euro 3.000,00 è, oggi, convertita in 12 giorni di lavoro di pubblica utilità (pari a 24 ore totali), anziché in 120 giorni di lavoro sostitutivo secondo il vecchio criterio di ragguaglio, che sarebbero stati ridotti entro il limite di durata massimo di 60 giorni fissato dal precedente disposto dell’art. 103 l. n. 689/1981. Va, comunque, considerato che il nuovo lavoro di pubblica utilità comporta, al pari della semilibertà e della detenzione domiciliare, le prescrizioni di cui all’art. 56-ter l. n. 689/1981, finalizzate a prevenire la commissione di reati.

[11] Argomentando ex art. 64 l. n. 689/1981 (richiamato dall’art. 107 della medesima legge) che, con riferimento alla «modifica delle modalità di esecuzione delle pene sostitutive», richiede una «istanza del condannato da inoltrare tramite l’ufficio di esecuzione penale esterna».

[12] Relazione illustrativa, cit., p. 467.

[13] Così si legge nella Relazione illustrativa, cit., p. 468.

[14] Cfr. la Relazione finale della Commissione nominata con d.m. 16 marzo 2021, in www.giustizia.it, p. 42.

[15] Relazione finale, loc. cit.

[16] A ben vedere, però, l’esito, già ad una prima lettura, mal si conciliava con il concetto di «disponibilità» versato nei precetti che regolano la misura; concetto che, nel suo significato più pregnante, implica l’attualità, quantomeno al momento della pronuncia della sentenza, del potere di fatto sulle cose confiscate. Come noto, infatti, pur nel contesto di esegesi contrastanti, la giurisprudenza più attenta, nel riconoscere al magistrato requirente la potestà di individuare in executivis i beni da apprendere, l’ha limitata a quelli già presenti nella sfera dell’imputato (cfr., in parte motiva, Cass., sez. III, 4 aprile 2019, n. 29533, inedita); ciò in quanto, stante il carattere afflittivo della manovra, non può investire beni «non individuati e non ricadenti nella [sua] disponibilità», ma che «potrebbero un giorno ricadervi» (così Cass., sez. III, 19 gennaio 2016, n. 4097, in CED Cass., n. 265844; v., altresì, Cass., sez. III, 1° luglio 2021, n. 36369, in Guida dir., 2021, n. 40; Cass., sez. III, 25 maggio 2017, n. 37454, in Riv. pen., 2017, p. 827). Da questo punto di vista, il ricorso alla procedura esattiva dei debiti monetari avrebbe, inevitabilmente, deformato il modello, coinvolgendo l’intera garanzia patrimoniale del debitore, comprensiva di beni presenti e futuri (volendo, in argomento, P. Troisi, L’amministrazione dei beni sottoposti a sequestro e l’esecuzione della confisca, in Proc. pen. giust., 2022, p. 204).

[17] L’art. 735-bis c.p.p. è stato inserito per effetto della ratifica (con l. 9 agosto 1993, n. 328) della Convenzione n. 141 del Consiglio d’Europa sul riciclaggio, la ricerca, il sequestro e la confisca dei proventi del reato, aperta alla firma a Strasburgo l’8 novembre 1990. Sul tema, M.R. Marchetti, sub Art. 9 legge 9 agosto 1993, n. 328, in Leg. pen., 1994, p. 436 ss.; G. Santacroce-M.C. Santacroce, La legge italiana di ratifica ed esecuzione della Convenzione di Strasburgo sul riciclaggio, la ricerca, il sequestro e la confisca dei proventi da reato: uno sguardo d’insieme, in Cass. pen., 1994, p. 2839 ss.

[18] Nella Relazione finale, loc. cit., si evidenziava che l’art. 735-bis c.p.p. già contempla, in relazione ai provvedimenti resi da autorità straniere aventi ad oggetto una «confisca consistente nella imposizione del pagamento di una somma di denaro corrispondente al valore del prezzo, del prodotto o del profitto del reato» (riconducibili, appunto, «alla confisca per equivalente che non si sia già manifestata nell’apprensione di un bene in sede di sequestro»), che l’esecuzione avvenga con le forme prescritte per le pene pecuniarie.

[19] Cfr. M.R. Marchetti, sub Art. 9 legge 9 agosto 1993, n. 328, cit., p. 436 ss.

[20] Cfr. la Relazione illustrativa, cit., p. 347, in cui, peraltro, si riconosce che la nuova disciplina delle pene pecuniarie vada applicata solo «in quanto compatibile», sebbene alcuna clausola di “compatibilità” sia stata impressa nell’art. 86, comma 1-bis, disp. att. c.p.p.

[21] Relazione illustrativa, loc. cit., in cui è richiamata C. giust. UE, sez. I, 10 gennaio 2019, causa C-97/18, ET, la quale ha dichiarato, in sede di rinvio pregiudiziale, che l’art. 12, §§ 1 e 4, della decisione quadro 2006/783/GAI, relativa all’applicazione del principio del reciproco riconoscimento alle decisioni di confisca, deve essere interpretato nel senso che non osta all’applicazione di una legge di uno Stato d’esecuzione che, al fine di eseguire una decisione di confisca emessa nello Stato di emissione, autorizzi, se del caso, l’uso di sanzioni detentive finalizzate alla coercizione dell’adempimento.

[22] S. Furfaro, voce Confisca, in Dig. disc. pen., Agg. I, Torino, Utet, 2005, p. 209, il quale osserva che la confisca per equivalente «non può che essere sanzione che, in una considerazione degli effetti penali connotati di concreta afflittività, pare essere principale, posto che essa è obbligatoria, tanto nel caso di condanna, che in quello cosiddetto di patteggiamento». Anche in giurisprudenza si è rimarcato che, siccome l’oggetto non presenta alcun nesso di pertinenzialità col reato, la confisca di valore ne rappresenta «soltanto la conseguenza sanzionatoria: né più né meno, dunque, della pena applicata con la sentenza di condanna» (così Cass., sez. un., 26 giugno 2015, n. 31617, in CED Cass., n. 264437).

[23] Esplicita, al riguardo, è la citata Convenzione n. 141 del 1990 del Consiglio d’Europa, nel cui art. 13 si precisa che l’ordine di confisca di valore verrebbe a tradursi in una sorta di pena pecuniaria, consistendo «nell’obbligo di pagare una somma di denaro corrispondente al valore dei proventi», ordine che, laddove non adempiuto, può essere eseguito dallo Stato «tramite qualsiasi bene appartenente a tale persona, indipendentemente dal fatto che sia stato conseguito legalmente o illegalmente». In dottrina, cfr. P. Balducci, La confisca per equivalente: aspetti problematici e prospettive applicative, in Dir. pen. proc., 2011, p. 232, secondo cui l’ipotesi della confisca per equivalente «ha messo in crisi l’idea della misura di sicurezza patrimoniale, legittimando piuttosto la configurazione di una sanzione pecuniaria». Cfr., altresì, F. Vergine, Il “contrasto” all’illegalità economica. Confisca e sequestro per equivalente, Padova, Cedam, 2012, p. 442, il quale osserva che la confisca di valore consente di attingere sic et simpliciter un bene qualsiasi del patrimonio del reo, purché di valore equivalente al danno cagionato con la condotta illecita, «alla stregua di una qualsiasi sanzione pecuniaria».

[24] Cfr. C. cost., 1° aprile 2009, n. 97, in Foro it., 2009, p. 2596. V., altresì, Cass., sez. un., 26 giugno 2015, n. 31617, cit.

[25] In tal senso, Cass., sez. un., 30 gennaio 2014, n. 10561, in CED Cass., n. 258648.

[26] Che la confisca per equivalente rimanga una «forma di riequilibrio economico» è ben evidenziato dalla dottrina (v., tra gli altri, A.M. Maugieri, voce Confisca (diritto penale), in Enc. dir., Annali VIII, Milano, Giuffrè, 2015, p. 201), che ne individua il fine nel privare il reo di «qualunque beneficio sul versante economico derivante dall’illecito commesso» (così F. Vergine, Il “contrasto” all’illegalità, cit., p. 193).

[27] Cfr. F. Vergine, Il “contrasto” all’illegalità, cit., p. 181.

[28] La funzione «sostanzialmente ripristinatoria della situazione economica», a cui adempie, sia pure in «chiave marcatamente sanzionatoria», la confisca per equivalente, è stata ben evidenziata da Cass., sez. un., 26 giugno 2015, n. 31617, cit., che ne ha individuato la ratio essendi «nell’impossibilità di procedere alla confisca “diretta” della cosa che presenti un nesso di derivazione qualificata dal reato».

[29] Evidenzia la tensione con il principio di legalità, «malgrado la ritenuta natura sanzionatoria della confisca per equivalente», E.N. La Rocca, Amministrazione dei beni sottoposti a sequestro ed esecuzione della confisca, in Dir. pen. proc., 2023, p. 200 ss.

[30] Relazione illustrativa, cit., p. 448.

[31] Si pensi al correo che non abbia incamerato il provento illecito, ma che subisca la confisca in forza del principio di solidarietà, ritenuto, dalla prevalente giurisprudenza, operante in materia (cfr., ex multis, Cass., sez. II, 24 novembre 2020, n. 9102, in CED Cass., n. 280886).

[32] Si esprime, in questi termini, la Relazione illustrativa, cit., p. 450.

[33] In tal caso, l’art. 103 l. n. 689/1981 prevede un regime di favor, stabilendo la sostituzione della pena pecuniaria non già con la semilibertà, bensì con il lavoro di pubblica utilità o, se il condannato si oppone, con la detenzione domiciliare.

[34] Tant’è che la già citata C. giust. UE, sez. I, 10 gennaio 2019, causa C-97/18, si riferisce espressamente solo alla fattispecie in cui la persona condannata «non versi volontariamente la somma» e «non sia insolvente».

[35] Ma lo stesso discorso vale per le nuove pene di conversione. Anche qui, infatti, la minaccia di conversione in pena sostitutiva – che, nell’ipotesi peggiore, sarebbe la semilibertà non superiore a quattro anni (art. 102, comma 2, l. n. 689/1981) – potrebbe, a fronte di confische di notevole consistenza, sortire effetti opposti a quelli sperati, inducendo l’interessato a non pagare, accettando sacrifici alla libertà per salvare ingenti patrimoni.

[36] Con riferimento alla legge delega, cfr. Cass., sez. III, 28 ottobre 2022, n. 45120, in Guida dir., 2022, n. 47, che ha ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 14, lett. a), della l. n. 134/2021 nella parte in cui la stessa non prevede che anche per i fatti commessi anteriormente alla sua promulgazione, prima di procedere all’esecuzione del provvedimento ablatorio, debba essere inviato, in difetto di precedente sequestro, un avviso al soggetto nei confronti del quale è disposta la confisca per equivalente, trattandosi di disposizione ad effetti tipicamente processuali, regolata dal principio tempus regit actum.