Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
G. Giappichelli Editore

indietro

stampa articolo indice fascicolo leggi articolo leggi fascicolo


Le disposizioni in materia di pene sostitutive delle pene detentive brevi (di Alessandro Diddi, Professore associato di Diritto processuale penale – Università della Calabria)


L'ampiezza della riforma delle pene sostitutive ha reso inevitabile l'introduzione di disposizioni dirette a regolare le numerose problematiche derivanti dalla successione delle leggi nel tempo. Tre gli ambiti nei quali è intervenuto il legislatore con disposizioni per lo più ispirate al principio del favor rei: il giudizio di cognizione; il processo di legittimità; i lavori di pubblica utilità. Ciononostante, lascia perplessi, invece, la mancata attenzione per la fase esecutiva, soprattutto tenuto conto della totale assenza di previsioni circa l'applicabilità della pena pecuniaria sostitutiva in executivis.

Law provisions about penalties commined to substitute short custodian penalties

Substitutive penalties reform has a magnitude that inevitably led to the introduction of law provisions aimed at regulating several issues deriving from the sequence of laws over the time. In this respect, the main field where the legislator intervened by issuing specific provisions, mainly ispired by the so called principle of favor rei, are the following: trial judgement (“giudizio di cognizione”); legitimacy process (“processo di legittimità”); public utility jobs (“lavori di pubblica utilità”). Nevertheless, the lack of provisions dealing with the executive phase of the sentence raises many concerns, especially with respect to the total absence of provisions on the applicability of substitutive fines in executivis.

SOMMARIO:

1. Premessa - 2. Rilievi introduttivi - 3. L’applicazione del nuovo regime nei processi di cognizione - 4. L’applicazione del nuovo regime nel giudizio di legittimità - 5. La disciplina transitoria del lavoro di pubblica utilità - 6. Esecuzione - NOTE


1. Premessa

La portata sistematica e l’ampiezza della riforma delle pene sostitutive ha reso inevitabile la previsione di disposizioni dirette a regolare le numerose problematiche derivanti dalla successione delle leggi nel tempo. Ispirate per lo più al principio del favor rei e, dunque, a consentire la immediata applicabilità delle nuove sanzioni ai processi penali in corso ove più favorevoli al condannato, le scelte del legislatore non si sottraggono a riserve critiche e perplessità soprattutto per quanto riguarda la mancata previsione della applicabilità della pena pecuniaria sostitutiva in executivis.


2. Rilievi introduttivi

L’art. 95 del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150 disciplina il regime transitorio applicabile alle pene sostitutive delle pene detentive brevi [1]. Un intervento ad hoc per risolvere le numerose problematiche intertemporali era indispensabile, tenuto conto della portata sistematica e dell’ampiezza della riforma delle pene sostitutive anche se, come si vedrà, esso non si sottrae a riserve critiche e perplessità stante l’ambiguità e la lacunosità di talune scelte.

Come noto l’art. 1, comma 1, lett. a), del d.lgs. n. 150/2022, attraverso l’inserimento nel codice penale dell’art. 20-bis c.p., e l’art. 71, con la integrale riscrittura del capo III della l. 24 novembre 1981, n. 689, oltre ad aver introdotto nuove pene sostitutive di quelle detentive brevi, vale a dire la semilibertà sostitutiva, la detenzione domiciliare sostitutiva, il lavoro di pubblica utilità sostitutivo e la pena pecuniaria sostitutiva, hanno anche fissato nuovi limiti di pena rispetto ai quali è possibile la sostituzione della reclusione e dell’arresto con le nuove figure sanzionatorie.

In tale ambito la dottrina ha evidenziato «che il nucleo forte della riforma del sistema sanzionatorio è costituito dal rilancio delle pene sostitutive» [2]. Nonostante «l’esigenza prioritaria del c.d. efficientamento del processo e l’annosa questione della prescrizione abbiano polarizzato l’attenzione del dibattito pubblico e politico sulla riforma, e nonostante che la riforma del sistema sanzionatorio sia entrata nel programma di governo quasi inaspettata, proprio quest’ultima ha finito per caratterizzare in modo prevalente le scelte riformistiche» [3].

Il risultato ottenuto, almeno nelle intenzioni, non è solo di tipo formale essendosi cercato di rivitalizzare istituti, quelli della pena pecuniaria, della libertà controllata e della semidetenzione, caratterizzati da «un’evidente marginalità applicativa e un’accentuata ineffettività» [4].

Attraverso le nuove pene sostitutive, dunque, si è nella sostanza creato un nuovo microsistema sanzionatorio che, nell’intenzione del legislatore, dovrebbe intercettare tutte le condanne a pene limitative della libertà personale per le quali non è possibile l’applicazione della sospensione condizionale della pena e che non superino i quattro anni.

La scelta di tale tetto (coincidente con quello che, a norma dell’art. 656 c.p.p., consente al pubblico ministero in sede esecutiva di sospendere l’ordine di carcerazione per applicare le misure alternative al carcere) nonché la tipologia delle sanzioni, modulate, anche dal punto di vista nominativo, sulle misure alternative al carcere previste dalla l. 26 luglio 1975, n. 354, conferma, appunto, il progetto perseguito dal legislatore di realizzare un nuovo modello sanzionatorio all’insegna di una decisiva decarcerizzazione che si ispira alla esigenza, da tempo avvertita dagli studiosi, di riservare il carcere ai soli fatti più gravi.

L’idea sottesa a tale scelta è chiaramente quella di dare effettività e concretezza al finalismo rieducativo della pena, che, come si deduce dal tenore dell’art. 27 comma 3 Cost. (che non a caso declina al plurale il principio codificato), oltre a non essere prerogativa esclusiva del carcere, mal si concilia con l’esecuzione di pene contenute, come appunto quelle punite con reclusione inferiore a quattro anni. In questi casi, infatti, la privazione della libertà, con le conseguenti ricadute sulla stabilità dei rapporti personali del condannato – come quelli familiari e lavorativi –, oltre a rappresentare un sacrificio, in molti casi addirittura sproporzionato rispetto alla gravità del reato [5], non consente, proprio in ragione del tempo di esecuzione della pena e delle offerte trattamentali che in questo momento storico il ‘carcere’ è in grado di offrire ai detenuti, di realizzare l’unica finalità che secondo la Costituzione può oggi legittimare la sanzione penale.

È del tutto evidente allora che le modifiche relative al sistema sanzionatorio – avendo natura sostanziale [6] ed essendo soggette, oltre che al principio di irretroattività in malam partem, anche a quello di retroattività in bonam partem [7]– devono trovare immediata applicazione, in deroga all’art. 11 delle preleggi, laddove il principio di uguaglianza lo imponga. Il principio di retroattività in bonam partem, infatti, non è perfettamente speculare a quello di irretroattività in malam partem, in quanto esso è suscettibile di deroghe che, quando siano sorrette da giustificazioni oggettivamente ragionevoli, sono legittime sul piano costituzionale.

Esigenze di sistema, dunque, hanno imposto al legislatore di intervenire con un adeguato apparato normativo per regolamentare l’applicazione delle nuove norme non solo rispetto ai reati commessi prima dell’entrata in vigore della nuova legge, posticipata, in forza dell’art. 6 del d.l. n. 162/2022 conv. in l. n. 199/2022, al 30 dicembre 2022, ma anche ai processi già pendenti per tali fatti a quella data [8].


3. L’applicazione del nuovo regime nei processi di cognizione

Principio generale fissato dal legislatore, per effetto dell’art. 95 del d.lgs. n. 150/2022, è che le nuove norme previste dal Capo III della l. 24 novembre 1981, n. 689 e dell’art. 20-bis c.p. si applicano anche ai procedimenti penali pendenti in primo grado o in grado di appello al momento dell’entrata in vigore del decreto a condizione che esse siano più favorevoli.

A ben vedere, sebbene declinata in relazione ai ‘procedimenti’, stante il principio di cui all’art. 25 Cost e 2 c.p., la retroattività delle nuove disposizioni – a condizione ovviamente che esse siano più favorevoli – è destinata ad applicarsi in relazione a tutti i reati commessi prima dell’entrata in vigore del decreto ancorché rispetto ad essi non risulti già avviato un procedimento penale.

Una delle novità principali collegate con il nuovo regime delle pene sostitutive è costituita dal fatto che le pene sostitutive possono essere applicate direttamente dal giudice della cognizione a seguito di pronuncia della sentenza di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti. Lo strumento processuale attraverso il quale avviene la loro applicazione è costituito dall’inedito meccanismo disciplinato dall’art. 545-bis c.p.p., introdotto dall’art. 31 del d.lgs. n. 150/2022 [9].

Non c’è dubbio che, sebbene di natura processuale, e quindi come tale sottoposta al regime del tempus regit actum, detta norma, in quanto al contempo strumentale all’applicazione delle pene sostitutive, non può non trovare applicazione anche nei processi penali pendenti in primo o secondo grado.

In quest’ottica, per evitare il rischio di una dichiarazione di illegittimità costituzionale, è stato necessario prevedere espressamente la retroattività della lex mitior [10], pur potendo la applicabilità delle nuove pene nei giudizi di impugnazione apparire distonica.

A ben vedere, con riferimento al giudizio di impugnazione il legislatore non ha disciplinato alcune situazioni che, almeno nelle primissime applicazioni della nuova legge, non saranno infrequenti. Ad esempio quella della condanna a pena non superiore a quattro anni già deliberata in primo grado al momento dell’entrata in vigore della riforma e con riferimento alla quale penda il termine per depositare la motivazione ovvero quello per proporre appello.

Rispetto a tale questione (che, come si dirà, si pone anche con riferimento ai procedimenti pendenti dinanzi alla Corte di Cassazione), non sembra revocabile in dubbio che, per le stesse esigenze di sistema e di rispetto del principio di parità di trattamento sopra richiamate, la nuova disciplina dovrà trovare applicazione.

Poiché tecnicamente il processo di secondo grado prende avvio dal momento in cui la cancelleria della Corte di appello riceve gli atti, il fatto che nell’art. 95 cit. si faccia espresso riferimento al ‘processo’ di primo o secondo grado come loci ai quali occorre applicare la nuova legge al momento della sua entrata in vigore, sembra inevitabile che sia il giudice che ha pronunciato la sentenza a dover procedere alla celebrazione dell’udienza di cui all’art. 545-bis c.p.p.

Si deve tenere conto peraltro che nel caso di giudizio abbreviato sarebbe addirittura possibile ottenere una ulteriore riduzione della pena irrogata, laddove il difensore e l’imputato non propongano appello avverso la sentenza [11].

Anche in questo caso la mancanza di una regola iuris che disciplini le impugnazioni ha dato luogo ad alcune incertezze giurisprudenziali che, tuttavia, potrebbero essere risolte applicando in maniera letterale l’art. 95 in commento [12].

Quella contenuta nell’art. 95 d.lgs. n. 150/2022, se rapportata all’art. 2 c.p., costituisce soluzione obbligata tenuto conto, come accennato, della necessità di assicurare retroattività ad una lex mitior in una materia che indiscutibilmente, incidendo sulle modalità esecutive delle pene, attraversa territori che appartengono all’ambito del diritto sostanziale.

A tale riguardo, si rammenta che recentemente la Corte costituzionale [13], peraltro in linea con gli orientamenti giurisprudenziali internazionali [14], ha ritenuto le trasformazioni della natura della pena e delle sue concrete incidenze sulla libertà personale del condannato, modificazioni sostanziali della sanzione, sottoposta al principio del favor rei.

Come più volte accennato, condicio sine qua non per l’applicazione retroattiva delle nuove disposizioni è che esse siano più favorevoli.

Premesso che la verifica del trattamento più favorevole per il condannato va sempre condotta in concreto [15] (anche se, in termini generali, le nuove disposizioni appaiono più favorevoli, in quanto evitano per tutte le condanne superiori ai quattro anni l’esecuzione intramuraria), proprio alla luce della recente decisione della Corte costituzionale e del principio, informato anch’esso al favor rei, di cui all’art. 669 c.p.p. commi 3 e 4 [16], non sembra destare particolari problemi la individuazione del regime sanzionatorio che risulterà più favorevole.

In sintesi, la possibilità di applicare la pena pecuniaria e una di quelle ‘ sostitutive’ sarà sempre più favorevole rispetto a quella detentiva.

Per effetto delle nuove disposizioni contenute nel capo III della l. n. 689/1981, anche il criterio di calcolo della pena pecuniaria dovrebbe risultare più favorevole di quello precedente. Per determinare l’ammontare della pena sostitutiva in luogo di quella detentiva, infatti, il giudice è anzitutto chiamato ad individuare il valore giornaliero, che non può essere inferiore a 5 euro e superiore a 2.500 euro ed a valutare le complessive condizioni economiche, patrimoniali e di vita dell’imputato e del suo nucleo familiare.

È ovvio che, in ogni caso, qualora tale nuovo regime dovesse risultare meno favorevole, troverebbe applicazione il precedente regime.

Sempre a proposito della pena pecuniaria, si rammenta, poi, che la riforma Cartabia ha introdotto significative modifiche sia per quanto riguarda l’esecuzione delle stesse (affidate oggi al pubblico ministero), sia per quanto riguarda il regime della conversione in caso di insolvenza del condannato. Per effetto dell’art. 97 d.lgs. n. 150/2022, anche le nuove disposizioni in materia di conversione delle pene pecuniarie (di cui al Capo V della l. 24 novembre 1981, n. 689, come modificate dal medesimo decreto), si applicano ai reati commessi dopo la sua entrata in vigore, solo se più favorevoli [17].


4. L’applicazione del nuovo regime nel giudizio di legittimità

Se la disciplina del regime transitorio per la applicazione delle pene sostitutive nei giudizi di cognizione era, per così dire, a rime obbligate, certamente più delicata e frutto di scelte ampiamente discrezionali è stata la individuazione del criterio di applicazione del nuovo microsistema sanzionatorio nei procedimenti pendenti dinanzi i alla Corte di Cassazione al momento della sua entrata in vigore.

Indubbia l’operatività delle nuove norme anche nei procedimenti pendenti in fase di legittimità, il legislatore ha dovuto individuare una soluzione compatibile con la natura di quel giudizio, notoriamente e fisiologicamente refrattario a confrontarsi con questioni di puro fatto quali, appunto, quelle concernenti la quantificazione della pena.

Per evitare di incrinare le geometrie del sistema, due sono state le opzioni offerte: la prima, che in effetti può considerarsi “naturale”, per il caso di annullamento con rinvio della sentenza; l’altra, del tutto inedita, per il caso in cui, invece, la Corte definisca con l’inammissibilità o il rigetto i ricorsi presentati dopo il 30 dicembre 2022.

Nel primo caso ad occuparsi della applicazione delle pene sostitutive e della celebrazione della nuova udienza ex art. 545-bis c.p.p sarà il giudice del rinvio; diversamente, nel secondo caso, a mente del secondo periodo del comma 1 dell’art. 95 d.lgs. n. 150/2022, viene previsto che il condannato a pena detentiva non superiore a quattro anni possa provocare, entro 30 giorni dalla irrevocabilità della sentenza, incidente di esecuzione, presentando al giudice dell’esecuzione istanza di applicazione di una delle pene sostitutive di cui al Capo III della l. 24 novembre 1981, n. 689.

Va rilevato che non è specificata la natura del termine entro il quale deve essere attivato l’incidente di esecuzione. In mancanza di diversa previsione, considerato il principio di tassatività di cui all’art. 173 c.p.p., si deve ritenere tuttavia che il termine non sia perentorio.

Nulla è detto neppure in riferimento alla possibile interferenza tra il procedimento di applicazione in executivis, in questa particolare ipotesi, delle pene sostitutive e quello di applicazione delle misure alternative alla detenzione avviato a seguito dell’emissione del decreto di sospensione dell’ordine di esecuzione ai sensi dell’art. 656, comma 5, c.p.p. Ragioni di economia, però, dovrebbero consigliare che il giudizio dinanzi al tribunale di sorveglianza debba essere sospeso in attesa delle determinazioni del giudice dell’esecuzione.

Nessuna questione particolare sembra sorgere per quanto concerne le forme con le quali si dovrà svolgere il conseguente procedimento di applicazione in executivis delle pene sostitutive. Esso, per effetto di quanto prevede l’art. 95 d.lgs. n. 150/2002, si dovrà celebrare con le forme di cui dell’art. 666 c.p.p. vale a dire attraverso il procedimento camerale partecipato.

Tale soluzione è certamente condivisibile, tenuto conto del fatto che in sostanza quella in questione costituisce una posticipata udienza di applicazione delle pene sostitutive ex art. 545-bis c.p.p. nella quale, trovando applicazione sia le norme del Capo III della l. n. 689/1981 che quelle del codice di procedura penale relative alle pene sostitutive, non potrebbero tollerarsi compromissioni del contraddittorio.

Come accennato, la norma non contempla il caso in cui la Corte abbia deciso un ricorso avente ad oggetto sentenze deliberate in secondo grado prima del 30 dicembre 2022 e rispetto alle quali alla stessa data non sia stata depositata la motivazione.

Si tratta di fattispecie analoga a quella già esaminata in relazione alla situazione che si potrebbe verificare con riferimento alla sentenza di primo grado pronunciata prima dell’entrata in vigore del decreto legislativo. Essa non può ritenersi riconducibile al segmento di «procedimento pendente innanzi la Corte di Cassazione» alla data di entrata in vigore del decreto, bensì al procedimento di secondo grado, per cui, anche in questo caso è giocoforza ritenere che sia il giudice di appello a dover celebrare l’udienza ex art. 545-bis c.p.p.


5. La disciplina transitoria del lavoro di pubblica utilità

Norma transitoria (nel senso che ha introdotto una disciplina ad hoc) è quella contenuta nel comma 3 dell’art. 95 per disciplinare le modalità di svolgimento del lavoro di pubblica utilità.

Si deve rammentare che, a norma dell’art. 56-bis, comma 4, l. n. 689/1981 le modalità di svolgimento della nuova pena sostitutiva del lavoro di pubblica utilità saranno determinate con decreto del Ministro della giustizia, d’intesa con la Conferenza unificata di cui all’art. 8, del d.lgs. 28 agosto 1997, n. 281 [18].

Orbene, sino all’entrata in vigore del decreto ministeriale è prescritto che si applichino, in quanto compatibili, il d.m. 26 marzo 2001 [19] ed il d.m. 8 giugno 2015, n. 88 [20], mutuando cioè la disciplina prevista per il lavoro di pubblica utilità irrogabile dal giudice di pace e quella applicabile per il caso della sospensione del procedimento con messa alla prova dell’imputato, con l’effetto di rendere così possibile estendere alla nuova previsione del lavorio sostitutivo le convenzioni già avviate nell’ambito delle citate misure.


6. Esecuzione

Poche e scarse le norme applicabili ai procedimenti che, dopo il 30 dicembre 2022, risultano essere già definiti con sentenza irrevocabile.

In relazione a tali ipotesi il legislatore si è anzitutto curato di precisare il regime delle sanzioni sostitutive della semidetenzione e della libertà controllata, già applicate o in corso di esecuzione alla data del 30 dicembre 2022.

Come emerge dalla Relazione, con riferimento a tali situazioni il legislatore si è sostanzialmente fatto carico degli effetti conseguenti alla abolizione delle vecchie sanzioni sostitutive della semidetenzione e della libertà controllata di cui agli artt. 53, 55 e 56 della l. n. 689/1981.

In effetti, in assenza di una disposizione transitoria l’abolizione, per effetto della introduzione delle nuove pene, delle predette sanzioni sostitutive avrebbe comportato la cessazione dell’esecuzione nei confronti dei condannati già sottoposti a provvedimenti nel momento dell’entrata in vigore della riforma [21]. Tale esito, tuttavia, sarebbe risultato irragionevole perché, sebbene le vecchie ‘sanzioni’ siano state abolite per introdurre le nuove ‘pene’, non è venuto in alcun modo meno il disvalore penale del fatto per il quale è in esecuzione la pena (non vi è alcuna abolitio criminis), né è mutata la valutazione sulla meritevolezza e il bisogno di punire il fatto con una pena sostitutiva della pena detentiva [22].

Poiché, dunque, in questo caso le ragioni dell’abolizione sono da rinvenirsi solo nel rinnovamento della tipologia delle pene sostitutive, al fine di salvaguardare le suddette valutazioni il legislatore è dovuto intervenire con una disciplina transitoria ad hoc.

Essa, in linea di massima, si ispira ad una deroga al principio di retroattività della lex mitior – abolitrice delle sanzioni sostitutive della semidetenzione e della libertà controllata – perché stabilisce che alle medesime sanzioni sostitutive, già disposte, continuino ad applicarsi le norme previgenti.

La scelta non è di per sé incostituzionale perché, come accennato, retroattività in bonam partem ed irretroattività in malam partem non sono due facce della stessa medaglia e deroghe alla prima regola possono essere comunque giustificate.

Unica eccezione all’ultrattività concerne i condannati alla semidetenzione ai quali è consentito di chiedere al magistrato di sorveglianza la conversione nella semilibertà sostitutiva.

In questo caso, la scelta è ispirata al favor rei perché la semidetenzione, sebbene presenti contenuti analoghi alla semilibertà, è comunque caratterizzata da una disciplina nel complesso più favorevole come, ad es., per quanto concerne il numero minimo di ore da trascorrere in istituto [23].

Dall’esame delle disposizioni transitorie resta escluso qualsiasi riferimento alla fase esecutiva e il silenzio apre la porta ad una delicata questione interpretativa e se cioè, in forza del principio per cui ubi lex noluit, tacuit, in tal modo il legislatore abbia inteso precludere l’applicazione delle nuove pene sostitutive alle sentenze cresciute in giudicato prima del 30 dicembre 2022.

La risposta positiva a tale quesito sembra obbligata, perché in assenza di previsioni ad hoc l’appli­cazione del principio del favor rei sarà sbarrato dal limite del giudicato che l’art. 2, comma 4 c.p. pone quale ostacolo alla applicazione retroattiva di norme più favorevoli.

La volontà di evitare un’applicazione in executivis delle pene detentive trova probabilmente spiegazione nel fatto che esse corrispondono, nella sostanza, alle misure alternative alla detenzione che possono essere applicate dopo il passaggio in giudicato della sentenza.

L’affinità, per quanto concerne la detenzione domiciliare e la semilibertà, oltre che dal punto di vista definitorio è anche sul piano delle limitazioni e degli obblighi che derivano dalla loro applicazione, a prescindere cioè dal fatto che conseguano a decisione del giudice di cognizione o dal tribunale di sorveglianza.

Non è invece contemplata, tra le pene sostitutive, l’affidamento in prova; tale asimmetria – non priva di perplessità dal punto di vista sistematico [24] – rispetto alle pene che potrebbero essere intercettate da tale istituto, potrebbe far risultare addirittura più favorevole la disciplina contenta nella l. n. 354/1975, anche laddove, a costo di non marginali forzature, si volesse ritenere che al beneficio di cui all’art. 47 della citata legge possa essere equiparato il lavoro di pubblica utilità, che comunque non potrebbe essere applicato per pene superiori a tre anni.

A ben vedere una certa disparità di trattamento è ipotizzabile con riferimento a quelle pene che potrebbero essere interessate dal nuovo regime della pena pecuniaria sostitutiva di condanne a pene detentive fino ad un anno, perché in questi casi la sostituzione di una pena detentiva con una pecuniaria risulterebbe sicuramente più favorevole.

Pur potendo la scelta del legislatore risultare non priva di ricadute sul piano della corretta attuazione del principio di uguaglianza, in mancanza di una disciplina ad hoc, è ancora una volta l’art. 2, comma 4, c.p. ad ostacolare una applicazione in executivis della nuova pena sostitutiva pecuniaria.

In tal senso sembra orientarsi la prassi applicativa [25], sebbene si debba considerare che il comma 3 dell’art. 2, inserito dall’art. 14, l. 24 febbraio 2006, n. 88, stabilisce che se vi è stata condanna a pena detentiva e la legge posteriore prevede esclusivamente la pena pecuniaria, la pena detentiva inflitta si converte immediatamente nella corrispondente pena pecuniaria, ai sensi dell’art. 135 c.p.


NOTE

[1] Sebbene la terminologia non sempre sia utilizzata in maniera appropriata, occorre tenere distinte le norme transitorie da quelle intertemporali. Le prime, infatti, creano una disciplina ad hoc di diretta applicazione diversa dalle norme coinvolte nel fenomeno di successione temporale; le seconde, invece, hanno natura strumentale ed individuano la norma applicabile tra quelle interessate dalla modifica legislativa. Sull’argomento, cfr. O. Mazza, La norma processuale penale nel tempo, Milano, Giuffrè 1999, p. 91 ss.

[2] F. Palazzo, Uno sguardo d’insieme alla riforma del sistema sanzionatorio, in Dir. pen. proc., 2023, 1, p. 11.

[3] F. Palazzo, Uno sguardo d’insieme alla riforma del sistema sanzionatorio, in Dir. pen. proc., 2023, 1, p. 11.

[4] Cfr., A. Gargani, Le “nuove” pene sostitutive, in Dir. pen. proc., 2023, 1, p. 18 il quale ha evidenziato come i dati statistici abbiano inesorabilmente evidenziato l’inarrestabile declino nella prassi applicative delle ‘vecchie’ sanzioni sostitutive che, alla data del 15 aprile 2022, vedeva 5 soggetti in esecuzione della semidetenzione e 121 in libertà controllata.

[5] Il principio di proporzionalità del trattamento sanzionatorio, secondo cui la pena deve essere calibrata, tanto a livello legislativo quanto in concreto, al disvalore e alla offensività della fattispecie, è affermato dall’art. 49, comma 3, della Carta dei diritti dell’UE, e ad esso, oltre che la giurisprudenza della Corte costituzionale (cfr C. cost. 8 marzo 2019, n. 40, con la quale ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 73, comma 1, d.p.r. 9 ottobre 1990, n. 309), si rivolge spesso la Corte di giustizia (cfr Corte giust. UE, grande sezione, 8 marzo 2022, C-205/20 UE).

[6] Cfr. Relazione illustrativa al decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150: «Attuazione della legge 27 settembre 2021, n. 134, recante delega al Governo per l’efficienza del processo penale, nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari», in G.U., n. 245 del 19 ottobre 2022 – Serie generale, p. 428.

[7] Sull’argomento, cfr. C. cost., 23 novembre 2006, n. 393, in Dir. pen. proc., 2007, 2, p. 194, con note di A. Ardizzone, Limiti all’applicabilità dei nuovi termini di prescrizione ed illegittimità costituzionale e D. Pulitanò, Deroghe alla retroattività in mitius nella disciplina della prescrizione, secondo la quale il principio di retroattività della norma più favorevole ha una valenza distinta rispetto al principio di irretroattività della norma penale sfavorevole in quanto, se quest’ultimo si pone come essenziale strumento di garanzia del cittadino contro gli arbitri del legislatore, espressivo della esigenza di calcolabilità delle conseguenze giuridico-penali della propria condotta, quale condizione necessaria per la libera autodeterminazione individuale, il primo, invece, non ha alcun collegamento con tale libertà, in quanto la lex mitior sopravviene alla commissione del fatto, al quale l’autore si era liberamente determinato in base al pregresso panorama normativo. Perciò, mentre la irretroattività della norma sfavorevole trova diretto riconoscimento nell’art. 25, comma 2, Cost., non altrettanto può dirsi per la retroattività della legge favorevole, il cui fondamento va, invece, individuato nel principio di eguaglianza, che impone, in linea di massima, di equiparare il trattamento sanzionatorio dei medesimi fatti, a prescindere dalla circostanza che essi siano stati commessi prima o dopo l’entrata in vigore della lex mitior. Tale orientamento ribadisce quanto sul punto affermato anche da C. cost., 20 maggio 1980, n. 74 e Cass. pen., sez. VI, 8 aprile 1994, n. 1490 secondo le quali l’applicazione delle disposizioni penali più favorevoli al reo può subire limitazioni o deroghe da parte del legislatore ordinario, purché razionalmente giustificabili. In dottrina, per una ricognizione della questione, C. Scaccianoce, La retroattività della lex mitior nella lettura della giurisprudenza interna e sovranazionale: quali ricadute sul giudicato penale? in, Archivio Penale 1/2013, p. 97 ss.

[7] Sull’argomento, cfr. A. Marandola-L. Eusebi-M. Pelissero, Entrata in vigore, regime transitorio e differimento della riforma, in Dir. pen. proc., 1/2023, p. 7 ss.

[8] Sull’argomento, cfr. A. Marandola-L. Eusebi-M. Pelissero, Entrata in vigore, regime transitorio e differimento della riforma, in Dir. pen. proc., 1/2023, p. 7 ss.

[9] Cfr. sull’argomento, A. Chelo, Saldi intenti di razionalizzazione e timidi tentativi di recupero delle garanzie nel giudizio “secondo Cartabia”, in Dir. pen. proc., 1/2023, p. 176.

[10] Cfr. Relazione illustrativa, cit., p. 429.

[11] Cfr. art. 442, comma 2-bis, c.p.p., inserito dall’art. 24, comma 1, lett. c), del d.lgs. n. 150/2022.

[12] Sul tema, cfr. B. Fragasso, Mancata impugnazione nel giudizio abbreviato e riduzione di un sesto della pena a seguito della riforma Cartabia: i tribunali di Milano e di Vasto escludono la rimessione in termini, in Sist. pen., 14 febbraio 2023. Le sentenze che hanno dato avvio ai controversi indirizzi giurisprudenziali sono quelle del Trib. di Perugia, ord. 18 gennaio 2023, Signal (Giud. Ciliberto) con nota G. L. Gatta, Riforma Cartabia e giudizio abbreviato: il Tribunale di Perugia Riforma Cartabia e giudizio abbreviato: il Tribunale di Perugia ammette la rimessione in termini per la richiesta del rito dopo la previsione di una ulteriore riduzione della pena di un sesto in caso di mancata impugnazione, in Sist. pen., 19 gennaio 2023; Trib. di Perugia, sent. 18 gennaio 2023 (dep. 31 gennaio 2023), n. 130, con nota di F. Lombardi, Rinuncia all’impugnazione nel giudizio abbreviato e riduzione di un sesto della pena (art. 442 co. 2-bis c.p.p.): il problema della rimessione in termini a giudizio in corso, in Sist. pen., 9 febbraio 2023.

[13] C. cost., 26 febbraio 2020, n. 32, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della c.d. «legge spazzacorrotti» per contrarietà all’art. 25, comma 2, Cost., ove interpretato nel senso che le modificazioni con la stessa introdotte si applichino anche ai condannati per fatti commessi prima della sua entrata in vigore, con riferimento alle misure alternative alla detenzione, alla liberazione condizionale e al divieto di sospensione dell’ordine di esecuzione della pena.

[14] Cfr. Corte e.d.u. Del Rio Prada c. Spagna del 2013. In senso contrario, Cass., sez. un., 30 maggio 2006, n. 24561

[15] Così, tra le tante, Cass. pen., sez. III, 17 novembre 2016, n. 3385; Cass. pen., sez. IV, 24 ottobre 2014, n. 50047.

[16] Si tratta come noto delle previsioni volte a disciplinare il caso in cui il giudice dell’esecuzione debba decidere quale, tra plurime sentenze per il medesimo fatto irrogate contro la stessa persona, debba essere posta in esecuzione.

[17] Per una ricostruzione della disciplina della pena pecuniaria sostitutiva, cfr. L. Massari, La pena pecuniaria, in G. Spangher (a cura di), La riforma Cartabia. Codice penale, Codice di procedura penale, Giustizia riparativa, Pisa, Pacini, 2022, p. 801 ss.

[18] La conferenza unificata, ai sensi dell’art. 9 del d.lgs. n. 281/1997 assume deliberazioni, promuove e sancisce intese ed accordi, esprime pareri, designa rappresentanti in relazione alle materie ed ai compiti di interesse comune alle regioni, alle province, ai comuni e alle comunità montane.

[19] Emanato dal Ministro della Giustizia e pubblicato nella G.U. 5 aprile 2001, n. 80. Esso reca Norme per la determinazione delle modalità di svolgimento del lavoro di pubblica utilità applicato in base all’art. 54, comma 6, del d.lgs. 28 agosto 2000, n. 274.

[20] Emanato dal Ministro della Giustizia e pubblicato nella G.U. 2 luglio 2015, n. 151. Esso reca Regolamento recante disciplina delle convenzioni in materia di pubblica utilità ai fini della messa alla prova dell’imputato, ai sensi dell’art. 8 della l. 28 aprile 2014, n. 67.

[21] Poco più di 100 unità. V. supra n. 3.

[22] Cfr. Relazione illustrativa, cit. p. 429.

[23] Ai sensi dell’art. 56 l. n. 689/1981 la semidetenzione comportava in ogni caso l’obbligo di trascorrere almeno dieci ore al giorno in istituto. A mente dell’art. 56 l. n. 689/1981 come modificato dall’art. 71, comma 1, lett. b), d.lgs. n. 150/2022, la semilibertà sostitutiva comporta l’obbligo di trascorrere almeno otto ore al giorno in un istituto di pena.

[24] Il mancato inserimento tra le pene sostitutive dell’affidamento in prova non è passato inosservato alla più attenta dottrina la quale ha non solo evidenziato come «si è creata una discrasia tra cognizione ed esecuzione, essendo peraltro l’affidamento in prova applicabile ab initio» ma che «purtroppo la discrasia piò influire negativamente sulle sorti pratiche del sistema delle pene sostitutive, sterilizzandone gran parte delle potenzialità». Così, F. Palazzo, Uno sguardo d’insieme, cit., p 13.

[25] Cfr. Trib. di Paola, ord. 16 febbraio 2023, Di Giorno (giudice Cominato), ined.