La Cassazione, con ferma convinzione, sostiene che “l'abitualità del comportamento”, ostativa al riconoscimento della tenuità del fatto ex art. 131-bis, comma 3, c.p., si configura quando a più reati tenui della medesima indole dichiarati estinti per prescrizione segua un'ulteriore, analoga condotta illecita, integrante il reato in relazione al quale viene chiesta l'applicazione della causa di non punibilità.
La pronuncia lascia alquanto perplessi e impone di fare chiarezza.
The Supreme Court, with firm conviction, argues that “the habitual nature of the behavior”, an impediment to the recognition of the tenuity of the fact pursuant to art. 131-bis, paragraph 3, Criminal Code, occurs when several minor crimes of the same nature declared extinguished by statute of limitations are followed by a further, analogous illegal conduct integrating the crime in relation to which is requested the application of the cause of non-punishment.
The pronunciation is somewhat perplexing and requires clarity.
1. La questione - 2. La tenuità del fatto, l’abitualità del comportamento e l’accertamento della serialità ostativa - 3. La decisione della Corte e il “corto circuito” interpretativo - NOTE
Il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere condannava l’imputato per una serie di reati della stessa indole e la Corte d’appello di Napoli dichiarava non doversi procedere, per intervenuta prescrizione, in relazione alle violazioni compiute sino ad una certa data e rideterminava la pena inflitta in primo grado per la residua violazione commessa successivamente. Avverso la sentenza propone ricorso per Cassazione il difensore dell’imputato che, facendo leva sull’integrazione degli indici-criteri fissati nell’art. 131-bis c.p. – “particolare tenuità dell’offesa” e “non abitualità del comportamento” – invoca, per il reato non prescritto, l’applicabilità della causa di non punibilità [1]. La Corte di Cassazione, con la pronuncia in epigrafe, disattende la tesi difensiva. Secondo il Giudice di legittimità, «poiché la dichiarazione di estinzione del reato per prescrizione non elide le conseguenze penali della condanna (…), il giudice può e deve tener conto, per verificare la sussistenza del necessario requisito della non abitualità del comportamento, di analoghe condotte, integranti il reato in relazione al quale viene chiesta l’applicazione della causa di non punibilità in esame, che siano state dichiarate prescritte nell’ambito del medesimo processo».
Pronuncia singolare quella della Corte di Cassazione, che lascia alquanto perplessi e impone di fare chiarezza. Come è noto, l’art. 131-bis c.p., che disciplina l’esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto [2], ha mutato, schizofrenicamente, in poco più di quattro anni, contenuto e ambito applicativo, con micro interventi di chirurgia normativa operati dal legislatore e dalla Corte costituzionale: il primo, intervenendo sul prerequisito edittale fissato nel comma 1 e sulle presunzioni di “non tenuità” dell’offesa di cui al comma 2, ha stretto le maglie dell’inedito istituto [3]; la seconda, dichiarando incostituzionale la disposizione nella parte in cui non consente l’applicazione della causa di non punibilità ai reati per i quali non è fissato un minimo edittale di pena detentiva, le ha allargate [4]. Indenne è rimasto il comma 3 che, nel precisare i contorni della fattispecie di tenuità del fatto, fissa una presunzione che sagoma in positivo l’abitualità del comportamento. Secondo la citata disposizione, quest’ultima si configura «nel caso in cui l’autore sia stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza ovvero abbia commesso più reati della stessa indole, anche se ciascun fatto, isolatamente considerato, sia di particolare tenuità, nonché nel caso in cui si tratti di reati che abbiano ad oggetto condotte plurime, abituali e reiterate». Dunque, per espressa previsione legislativa, la commissione di più reati tenui della stessa indole (come nel caso sottoposto all’attenzione del Supremo Collegio) è potenzialmente preclusiva della successiva fruizione dell’istituto. L’uso del congiuntivo passato «abbia commesso» non lascia dubbi che la serialità ostativa si realizza quando il giudice abbia “accertato” la sussistenza dei reati tenui (almeno due) [5] e la colpevolezza dell’imputato in ordine ai predetti fatti. Resta, però, da chiedersi quali pronunce siano idonee a contenere un simile accertamento. Il pensiero corre veloce verso tutti i provvedimenti di condanna definitiva nonché quelli che hanno dichiarato la non punibilità ex art. 131-bis c.p., iscritti nel casellario giudiziale ai sensi dell’art. 3, comma 1, d.p.r. 14 novembre [continua ..]
Alla luce dei rilievi poc’anzi svolti, è agevole tracciare, in riferimento a più reati tenui della medesima indole, un preciso spartiacque tra pronuncia di condanna o che dichiara la non punibilità ex art. 131-bis c.p. e sentenza di non doversi procedere ai sensi degli artt. 529 e 531 c.p.p.: nel caso di un’ulteriore, analoga condotta illecita, solo nella prima evenienza i pregressi reati potranno costituire un “precedente” ostativo all’applicazione dell’istituto ex art. 131-bis c.p.; nella seconda, difettando un “accertamento” sul fatto e sulla colpevolezza dell’imputato, non è configurabile l’abitualità del comportamento di cui al comma 3 dell’art. 131-bis c.p. Approdo, quello prospettato, talmente scontato che sembra persino superfluo indugiare. Eppure la Cassazione, nella pronuncia in commento, con disarmante disinvoltura e ferma convinzione [54], sostiene che, per valutare la sussistenza del necessario requisito della “non abitualità del comportamento”, «non vi è alcuna ragione, logica o giuridica [55], per escludere (…) i reati della medesima indole che siano stati dichiarati prescritti nell’ambito del medesimo procedimento penale, proprio perché, non incidendo la prescrizione sulle conseguenze penali della condanna» – «a differenza, ad esempio, dell’estinzione del reato per esito positivo della messa alla prova (…) ovvero dichiarata ai sensi dell’art. 460, comma 5, c.p.p. (…)» – «tali reati sono, appunto, chiaramente indicativi di un “comportamento abituale”, a prescindere dalla loro concreta punibilità». A ben vedere, ripercorrendo la motivazione, si scorge, neppur troppo in filigrana, i segni di un “corto circuito” interpretativo, generato da un accostamento – dichiarazione di estinzione del reato per prescrizione/non elisione delle conseguenze penali della condanna – ab origine difettoso, che ne produce un altro – estinzione del reato per esito positivo della messa alla prova/estinzione del reato dichiarata ai sensi dell’art. 460, comma 5, c.p.p. – altrettanto difettoso. Invero, interrogarsi sulla elisione o non elisione delle «conseguenze penali della condanna» ha un senso, logico e giuridico, unicamente ove l’estinzione del reato sia [continua ..]