La decisione in commento fissa delle coordinate che contribuiscono a chiarire alcuni aspetti controversi della disciplina sull’interpello della persona offesa nella dinamica de libertate (art. 299, commi 3 e 4-bis, c.p.p.). Ciononostante, permangono diverse criticità che impediscono di assicurare l’equo bilanciamento tra i divergenti interessi coinvolti. In assenza di un corpus organico della materia, il coinvolgimento dell’offeso rischia di tramutarsi in inutile formalità che appesantisce la procedura di revoca o sostituzione della misura cautelare, a discapito del diritto dell’accusato a una rapida decisione sul proprio status libertatis.
Parole chiave: persona offesa dal reato – misure cautelari personali – procedimento di revoca o sostituzione della misura.
The Court of Cassation’s decision helps clarifying some controversial aspects of the provisions related to the participation of the victim in the precautionary procedure (art. 299, par. 3 and 4-bis, c.p.p.). Nonetheless, several critical issues still prevent ensuring a balance between the different interests involved. Since there is no organic corpus of the subject matter, the risk of the victim’s taking part in the procedure is to sacrifice the accused’s right to a speedy decision on his or her status libertatis.
1. Tensioni: inputs europei, dinamiche cautelari pro “vittima” e diritti dell’accusato - 2. L’ambiguo perimetro della disciplina - 3. Le modalità della notifica. Formule polisemiche e deficit di garanzie - 4. Il coinvolgimento della “vittima occasionale” … - 5. (segue)…e dei prossimi congiunti - 6. Bilanci provvisori e scenari futuri - NOTE
Sebbene l’irrobustimento della tutela della persona offesa nel settore cautelare rappresenti un fil rouge della produzione legislativa del nuovo millennio, il ruolo attribuitole in questo ambito sfugge all’inquadramento sistematico. Il graduale passaggio da “postulante senza diritti” [1] a soggetto da proteggere e – sussistendo determinati requisiti – coinvolgere nelle decisioni de libertate è contraddistinto da diverse questioni irrisolte dalla disciplina, rimesse a incerte soluzioni pretorie. Gli innesti normativi, del resto, difettano di visione organica [2]: in luogo di riforme di ampio respiro, si preferisce manomettere l’architettura del codice di rito con manovre frammentarie – spesso servendosi della decretazione d’urgenza – generando «un surplus di disposizioni dal difficile coordinamento» [3]. Ecco allora che la pronuncia in commento costituisce l’ennesima manovra per colmare i deficit del dato positivo, tentando di delineare con maggior nitore i presupposti abilitanti l’intervento dell’offeso da reato nella procedura di “revisione” delle cautele personali (art. 299, commi 3 e 4-bis, c.p.p.). La messa a fuoco degli snodi critici affrontati dalla decisione impone di tracciare gli aspetti salienti dell’itinerario che sagoma la nuova veste della persona offesa nello scenario cautelare. Gli inputs principali del percorso evolutivo provengono dal più ampio panorama “multilivello” che rafforza la salvaguardia della “vittima” [4]. Nell’intento di allestire un nucleo condiviso di tutela “minima”, il diritto eurounitario impone ai Paesi membri di dotarsi di misure protettive idonee a disinnescare il rischio di vittimizzazione secondaria e ripetuta, preservando l’incolumità psicofisica dall’eventuale reiterarsi di condotte criminose nonché da comportamenti ritorsivi o intimidatori dell’accusato (art. 18 direttiva 2012/29/UE) [5]. Agli obblighi di carattere generale, si affiancano ulteriori previsioni che fortificano la salvaguardia delle vittime considerate – all’esito dell’accertamento fondato sulle peculiarità del caso concreto (c.d. individual assessment) – “vulnerabili” e, pertanto, meritevoli di un surplus di protezione (art. 22 direttiva [continua ..]
È soprattutto volgendo lo sguardo all’iter di “revisione in melius” delle cautele personali (art. 299, commi 3 e 4-bis, c.p.p.) che, come accennato, emerge la portata del nuovo ruolo assegnato all’offeso dal reato. In questo segmento procedurale, egli non è più mero ricettore di informazioni, ma è titolare del diritto a partecipare alla decisione sulla vicenda de libertate: l’obbligo, a cura del richiedente, di comunicare alla persona offesa la domanda di revoca o affievolimento delle misure coercitive (salvo quelle previste dagli artt. 281 e 282 c.p.p.) applicate nei procedimenti aventi ad oggetto “delitti commessi con violenza alla persona” è funzionale a garantirne l’intervento nell’incidente cautelare, mediante deposito di memorie al giudice competente entro due giorni dalla notifica. L’interpello dell’offeso – prescritto tanto per la richiesta formulata durante la fase investigativa (art. 299, comma 3, c.p.p.) quanto per quella proposta dopo la chiusura dell’inchiesta preliminare (art. 299, comma 4-bis, c.p.p.) [36] – è, peraltro, irrobustito sotto diversi profili: sul piano sanzionatorio, l’omessa notifica dell’istanza ne determina l’inammissibilità, paralizzando il potere del giudice di vagliarne il merito; sul versante della scansione dei tempi del procedimento, inoltre, l’organo giusdicente deve attendere il decorso del termine di due giorni prima di pronunciarsi sulla richiesta [37]. Siffatto meccanismo sembra però inidoneo a innescare un autentico “contraddittorio cartolare” [38]: non si attribuisce un vero e proprio diritto di opporsi all’iniziativa diretta a ottenere la libertà o l’allentamento della misura; d’altra parte, il deposito delle memorie (art. 121 c.p.p.) non veicola alcuna richiesta capace di azionare obblighi decisori, né impone al giudice di motivare sulle osservazioni ivi formulate. È inoltre significativo che alcuna invalidità colpisce il provvedimento adottato prima del termine dilatorio prescritto dall’art. 299, comma 3-bis, c.p.p. o omettendo di valutare gli argomenti spesi dalla persona offesa [39]. Nel complesso, il diritto a interloquire – pur consentendo al soggetto passivo del reato di fornire il proprio apporto cognitivo mediante elementi fattuali o considerazioni [continua ..]
La prima questione affrontata dalle sezioni unite riguarda la querelle concernente gli adempimenti prodromici per essere informato della domanda che innesca la revoca dei vincoli coercitivi. L’anodino dato normativo (art. 299, commi 3 e 4-bis, c.p.p.) non consente di chiarire se il diritto dell’offeso a essere notiziato è subordinato al previo rispetto di precisi oneri (nomina del difensore, dichiarazione o elezione di domicilio) o se, viceversa, la notifica è sempre dovuta. Il legislatore, in effetti, riesce a conseguire solo in parte lo scopo di non appesantire eccessivamente i tempi dell’iter cautelare, assicurando la “pronta reperibilità del destinatario” [44]. L’art. 299, comma 3 e 4-bis, c.p.p. prescrive che l’istanza va notificata «presso il difensore della persona offesa o, in mancanza, di questo, alla persona offesa, salvo che in quest’ultimo caso essa non abbia provveduto a dichiarare o eleggere domicilio». Non sorgono quindi particolari perplessità quando il soggetto passivo del reato ha nominato un difensore o, in alternativa, indicato il domicilio: in tali casi il richiedente la revoca o la modifica in melius della cautela è in grado di individuare in maniera puntuale dove eseguire la notifica. Si garantisce così celerità e certezza al procedimento, permettendo di “raggiungere” la “vittima” in luoghi ben determinati, senza aggravare oltremisura la posizione della persona attinta dalla misura coercitiva [45]. Si intuisce invece che le maggiori criticità si addensano attorno alla scelta di non stabilire espressamente se, e con quali modalità, l’offeso va informato dell’istanza qualora sia sprovvisto di difensore e non abbia comunicato il proprio domicilio. Sul piano letterale della disposizione, d’altronde, l’inciso “salvo che in quest’ultimo caso” (riferito all’omessa nomina del difensore) è ambiguo: esso potrebbe essere inteso tanto con valore “condizionale” e, in tale caso, la notifica sarebbe dovuta solo alla persona offesa che si è attivata designando un difensore o indicando il domicilio, quanto con significato “eccettuativo” e, in questa ipotesi, viceversa, la “vittima” andrebbe sempre informata [46]. Trattandosi di letture entrambe corrette – quanto meno sul versante [continua ..]
Proseguendo l’actio finium regundorum della disciplina (art. 299, commi 3 e 4-bis, c.p.p.), il secondo quesito affrontato dalla sentenza in esame investe la nozione di “delitti commessi con violenza alla persona”. Trattandosi di una categoria dai confini magmatici, inidonea a delinearne con chiarezza il perimetro applicativo, essa ha da sempre suscitato consistenti perplessità. Il telaio normativo non consente di definire in maniera univoca la “violenza contro la persona”: il concetto è impiegato tanto per definire ogni impiego di energia fisica nei confronti di un individuo, quanto per indicare gli altri mezzi di coartazione (diversi dalla minaccia) dell’altrui libertà (c.d. violenza impropria) [65]. L’incerta nomenclatura adoperata dalla previsione (art. 299, comma 2-bis, c.p.p.) si rivela, pertanto, “atecnica”, del tutto inadeguata a individuare precise fattispecie criminose: nell’architettura del codice penale, nei “delitti contro la persona” (libro II, titolo XII), il termine “violenza” non è impiegato con funzioni classificatorie bensì quale elemento costitutivo delle condotte vietate [66]. Da questo punto di vista, se ormai possono ritenersi consolidati gli approdi che, in linea con le fonti sovranazionali, estendono le condotte violente includendovi anche le forme di aggressione morale o psicologica [67], l’ambiguità della richiamata categoria delittuosa alimenta ulteriori contrasti interpretativi. Una prima corrente di pensiero sostiene che il diritto dell’offeso di essere informato e interloquire sulla richiesta di revoca o sostituzione in melius della cautela sussiste solo quando la condotta criminosa è germogliata in un pregresso rapporto interpersonale tra “vittima” e accusato [68]. Lo scopo perseguito è circoscrivere l’intervento della persona offesa, bilanciandolo con il diritto dell’indagato a ottenere in tempi rapidi la revisione dei vincoli coercitivi. In questa prospettiva, andrebbe escluso il coinvolgimento della “vittima occasionale”, nei confronti della quale non sussisterebbe alcuna concreta esigenza protettiva: l’assenza di una preesistente relazione con l’accusato, da un lato, escluderebbe il pericolo – derivante dall’affievolimento dei vincoli coercitivi – di recidiva [69], [continua ..]
Su un piano attiguo, la decisione in esame, affronta un’ulteriore questione concernente le prerogative assegnate ai prossimi congiunti della persona offesa nei procedimenti per omicidio. In questi casi, il numero dei destinatari dell’informazione prescritta dall’art. 299, commi 3 e 4-bis, c.p.p. potrebbe rivelarsi particolarmente elevato, imponendo all’accusato che intende ottenere la modifica del regime cautelare l’onere “diabolico” [77] di rintracciare tutti i soggetti legati da un rapporto di parentela (art. 307, comma 4, c.p.) o da relazione affettiva e stabile convivenza (art. 90, comma 3, c.p.p.) con il de cuius. Al fine di contenere simili rischi, connessi a «un’espansione elefantiaca del subprocedimento di revoca o sostituzione della misura», alcune decisioni negano in radice agli “eredi” la titolarità dei diritti riconosciuti dall’art. 299, commi 3 e 4-bis, c.p.p. [78]. In tal senso, avallando una esegesi teleologicamente orientata, si reputa incompatibile l’estensione ai prossimi congiunti delle prerogative assegnate alla persona offesa (art. 90, comma 3, c.p.p.) con le finalità sottese all’interpello nell’incidente cautelare. Quest’ultimo, essendo giustificato soltanto al ricorrere di concrete esigenze protettive, andrebbe escluso rispetto agli “eredi” atteso che nei loro confronti non sussisterebbe alcun pericolo di subire fenomeni di “vittimizzazione secondaria e ripetuta”, conseguenti all’allentamento dei vincoli coercitivi. Sul punto però le sezioni unite seguono un itinerario diverso. L’attribuzione ai prossimi congiunti dei diritti e delle facoltà dell’offeso si pone in una più ampia prospettiva, valorizzata sin dall’entrata in vigore del codice di rito, diretta a soddisfare la «improrogabile necessità di apprestare forme di tutela» alla vittima qualora quest’ultima sia deceduta in conseguenza del reato [79]. Siffatta esigenza ben si colloca nello scenario europeo che include tra le vittime «i familiari della persona la cui morte è stata determinata da un reato» (art. 2 direttiva 2012/29/UE); d’altronde, il legislatore interno, proprio in adempimento agli obblighi derivanti dalle fonti eurounitarie, ha ulteriormente ampliato la platea dei destinatari della tutela, estendendola anche [continua ..]
Nonostante la decisione in esame costituisca un importante tassello per sciogliere i nodi critici dell’apparto normativo, l’equilibrio tra le garanzie dell’accusato e i diritti della “vittima” resta imperfetto. Volendo tracciare un bilancio complessivo, occorre interrogarsi sull’effettività delle prerogative assegnate alla persona offesa. A tal riguardo, le aspettative di maggior tutela derivanti dal suo intervento nella dinamica cautelare restano insoddisfatte. Ai già illustrati deficit della disciplina, connessi all’inadeguatezza del compendio informativo da somministrare – che si rivela carente nella misura in cui non permette all’offeso di conoscere le facoltà assegnate – e al mancato riconoscimento di un autentico contraddittorio, si aggiungono altre lacune. L’efficacia dell’interpello dell’offeso è notevolmente depotenziata durante l’inchiesta preliminare: la segretezza che governa questa fase impedisce – in assenza di una esplicita disposizione – di accedere al fascicolo cautelare e di conoscere i documenti allegati all’istanza di revoca o sostituzione della misura, ivi inclusi i risultati delle eventuali investigazioni difensive [81]; in questo modo ogni velleità di proficuo intervento è ridimensionata dalla mancata ostensione degli atti che sorreggono la misura e degli elementi probatori offerti dalla difesa, con la conseguenza di non poter calibrare le proprie osservazioni rispetto alla domanda sull’esame relativo ai vincoli coercitivi. Anche sotto altro aspetto la tutela dei diritti partecipativi si rivela poco efficiente: l’omesso coinvolgimento dell’offeso è sì sanzionato con l’inammissibilità dell’istanza (art. 299, commi 3 e 4-bis, c.p.p.), ma nessun rimedio gli viene offerto per dolersi della violazione delle proprie facoltà interlocutorie. In effetti, al fine di contestare la mancata notifica della domanda che innesca l’incidente cautelare o l’inosservanza del termine dilatorio per presentare memorie, la persona offesa, non essendo legittimata a impugnare le decisioni de libertate, può soltanto sollecitare il pubblico ministero affinché si attivi in tal senso (art. 572 c.p.p.) [82]. Si tratta, però, di un’arma assai debole: la petizione non produce alcun effetto vincolante e il titolare [continua ..]